
Le ore trascorse sui binari alla frontiera tra Serbia (Horgoš) e Ungheria (Roszke), nel tratto in cui la recinzione di filo spinato non c’è e i rifugiati passano, non potremo più dimenticarle.
Spesso ci siamo chiesti che parole usare per definire quello che abbiamo visto. Non le abbiamo trovate.
Ti rimane la rabbia e la voglia di tagliare quel filo spinato e di far passare tutti. Di liberare tutti.
Perché l’Unione Europea non apre canali umanitari sicuri per chi vuole andarsene dal proprio paese, perché non viene stracciato il Regolamento di Dublino (prevede che la domanda la esamini lo stato dove il richiedente ha fatto ingresso nell’Unione), perché non viene riformato radicalmente il sistema d’asilo Europeo, perché continuare a lasciar morire uomini, donne e bambini dentro un tir, dentro un barcone, nei nostri mari?
Pensavamo a questo, mentre calpestavamo quei binari segnati dal passaggio di migliaia di vite che cercano un futuro in Europa.

Li avevamo lasciati al check point ungherese su un prato, senza acqua né medici, sei bagni chimici in tutto, seduti in mezzo alle immondizie ad aspettare il loro turno, e poi in fila indiana accucciati a terra, circondati dalla polizia ungherese che li organizza in gruppi per salire sugli autobus e portarli al centro di identificazione di Roszke, a pochi chilometri da lì.
Il giorno successivo allora raggiungiamo questo centro. Non si può entrare. L’area è delimitata da una recinzione di filo spinato. Si vedono le tende, blu e verdi, sul ciglio della strada stazionano alcune troupes televisive.
Appena arrivati vediamo un gruppo di rifugiati seduti a terra dietro gli orsogrill e davanti a loro i poliziotti ungheresi con guanti in lattice e mascherine, a presidiarli.
C’è tensione, questo è un luogo sensibile perché qui vengono prese le impronte digitali. Il 26 agosto la polizia aveva lanciato gas lacrimogeni. Circa 200 migranti volevano andarsene senza lasciare le impronte.
Proprio per non essere portati a Roszke, tantissimi, ogni giorno, cercano di passare oltre la rete metallica che ha installato il governo ungherese.
Non ricevono informazioni adeguate e non sanno che la Germania, dove tanti vogliono andare, ha sospeso il Regolamento di Dublino per i siriani, quindi, almeno chi arriva da quel paese, può stare tranquillo.
Appena ci avviciniamo al filo spinato i migranti iniziano ad alzare la voce e gridano “Freedom! Freedom! No fingerprints!“. Lo vorremmo gridare anche noi, forte, insieme a loro, per fargli capire che non sono soli.
Quando torniamo, dopo qualche ora, il centro è stato svuotato per far posto agli altri che arrivano in pullman dalla frontiera.
Di ritorno a casa troviamo il video (Radio Free Europe) di alcuni migranti che scavalcano la recinzione. Tre di loro, vengono ripresi e riportati nel campo. Qualcuno, però, ce l’ha fatta.
Subotica (SRB), 29 agosto 2015
Vedi anche le altre tappe del viaggio:
– Sui binari, alla barriera di filo spinato sul confine serbo-ungherese
– In transito. Racconto e fotografie dai campi rifugiati a Subotica e a Kanjiža in Serbia /confine con l’Ungheria
– Ciglana e “the jungles”. Intervista a David Varga, ONG Eastern European Outreach
Links utili:
– Migrant solidarity group of Hungary (Pagina Facebook)