Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Prossima fermata Bihać, dove i diritti non esistono

La campagna Lesvos calling lungo la rotta balcanica

Photo credit: Bozen Solidale

Bihač è una ridente cittadina turistica bosniaca al confine con la Croazia, 60mila abitanti e rivoli d’acqua limpida ovunque.

Nascosti, nella prima periferia, e visibili solo per il via vai intorno alla zona, i migranti stazionano in un grande capannone industriale, il Bira Camp, e in un complesso abbandonato e decadente, a tratti pericolante. Quest’ultimo è diventato rifugio per oltre 300 persone che, per più volte, hanno tentato di superare il confine per entrare in Croazia allo scopo di provare a lasciarsi alle spalle i Balcani.
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Il campo istituzionale (Bira) contiene più di 2.000 migranti, per lo più afgani e pachistani, che – ci viene riferito – vivono assiepati in container sporchi e maleodoranti. Gestito dall’OIM, rappresenta il classico mantenimento dello status quo di una situazione che è oramai diventata la normalità, e che non si pone assolutamente come veicolo di critica ai dispositivi brutali di respingimento che le persone subiscono dalla polizia croata 1.

Il complesso adiacente, “Rifugio” per centinaia di migranti, è il simbolo di quanto le politiche europee siano fallimentari e finalizzate a distribuire milioni di euro “a pioggia” senza un criterio e una strategia lungimirante. L’umanità si ferma lì, tra macerie e muri pericolanti, immondizia, puzza di plastica bruciata, persone che cercano scampo dopo una vita di sofferenze, pericoli, fatiche.

Restiamo attoniti, basiti, a tratti fermi non sapendo cosa fare. È una pagina che non avremmo mai voluto scrivere.

Ragazzi afgani e pachistani, alcuni di loro visibilmente minorenni, vivono in condizioni indegne respirando tutto quello che riescono a bruciare, con i piedi bucati dalle vesciche, svuotati da tutta quella energia che potrebbe avere un diciottenne, ma ancora incredibilmente speranzosi e tenaci, però, di poter superare l’ennesimo maledetto confine.

K. racconta di essere stato costretto a fuggire dal Kashmir, territorio conteso tra India e Pakistan scenario di un conflitto taciuto. “Conducevo una vita agiata“, ci spiega, “ma sono dovuto fuggire per la mia incolumità e ora mi trovo a vivere in condizioni disumane, a subire violenze e torture e a sentire nel corpo il disprezzo della popolazione locale. Forse pensano che siamo rilegati qui per aver commesso chissà quale atroce crimine, che siamo ladri o terroristi“, si ferma, la voce spezzata, prende fiato per qualche secondo, respira nuovamente e riprende “ma non siamo terroristi, molti di noi fuggono da guerre e sognano solamente di poter raggiungere un posto sicuro in cui potersi ricostruire una vita dignitosa e ricongiungersi con le proprie famiglie“.
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C’è chi desidera raggiungere l’Austria, chi ha i parenti in Germania, chi l’amico in Italia. Sono consapevoli di quanto il viaggio sarà ancora lungo, degli ostacoli, dei pericoli e dei costi. Come hanno già chiaro che possono contare solo sulle loro forze e sull’aiuto di qualche persona solidale e che i diritti fondamentali, quelli tanto decantati dall’Unione europea, qui, semplicemente non esistono.

Video a cura di Angela Disanto e Matilde Ramini.

  1. Il rapporto annuale di Border Violence Monitoring Network raccoglie svariati casi di pushbacks illegali https://www.meltingpot.org/Tortura-e-trattamenti-crudeli-inumani-o-degradanti-ai-danni.html#.Xk1BM-F7k1k

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
Contatti: [email protected]