Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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La Bosnia che si ingabbia. Velika Kladuša e il confine della paura

La campagna Lesvos calling lungo la rotta balcanica. Un articolo di Bozen solidale

Foto di repertorio (manifestazione al confine bosniaco-croato)

Il “Brennero bosniaco” è uno sperduto paesino collinare nel nord est della Bosnia, confine militarizzato con la Croazia. Velika Kladuša è, nell’immaginario delle migliaia di persone che scappano verso il vecchio continente, l’ultimo avamposto prima di entrare in un’Europa sempre più Fortezza di se stessa.

All’entrata del paese, ai margini della strada che porta a Bihac, moltissime persone stazionano in strada alla ricerca di qualche raggio di sole, da queste parti particolarmente avaro. Centinaia di afgani, iracheni, pachistani, per lo più sotto i 25 anni, vivono in un centro di accoglienza appena visibile ma composto da decine di containers che ricordano molto gli insediamenti “istituzionali” dei braccianti del sud Italia.
Verso la metà di febbraio, in un momento di intenso passaggio di persone, i migranti hanno cercato di organizzare una manifestazione al confine che ha immediatamente allarmato le autorità bosniache; nel giro di qualche giorno la città è stata militarizzata, anche attraverso pesanti restrizioni verso gli attivisti e le attiviste presenti sul territorio. La manifestazione, alla fine, è diventata un presidio spontaneo davanti al centro di accoglienza, presidio comunque circondato, quasi soffocato, dalle forze di polizia e dai reparti speciali dell’esercito bosniaco. Come a dire, voi provateci pure ma avete già sperimentato le conseguenze.

Intorno a Velika sopravvivono centinaia di persone rinchiuse in squat o edifici abbandonati, in condizioni che non hanno nulla da invidiare agli insediamenti informali di Bihac.
Anche qui, come in Serbia a Šid, l’unica associazione che abbiamo visto operare in strada, se si escludono alcuni cittadini e cittadine del posto, è No Name Kitchen che, nonostante la stretta delle forze dell’ordine, riesce a raggiungere con cibo e indumenti tra le 500 e le 700 persone la settimana. Un numero che è circa un decimo dei migranti che passano nel comune di Velika e che, come a Bihac, tentano ripetutamente “The Game“, il passaggio del confine verso la Croazia.

Un’attivista di No Name Kitchen che si occupa in particolare di monitorare i migranti che tentano di sconfinare, racconta di torture continue da parte della polizia croata in un crescendo di abusi e violenza che arriva a casi di strangolamento e sevizie psicologiche che fanno parte dei momenti più bui della storia del Novecento. Una galleria dell’orrore che viene lautamente finanziata dall’Unione europea 1 attraverso contribuiti di milioni di euro che Zagabria usa, illegalmente, per equipaggiare, e aumentare, la polizia di confine.
Il tutto alla luce del sole, nel silenzio degli altri stati e della presidenza del Consiglio dell’UE, guarda caso croata dal primo gennaio 2020.

Video a cura di Angela Disanto e Matilde Ramini.

  1. La “gestione dei confini” è stata ampiamente finanziata da Bruxelles con 23,2 milioni di euro

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
Contatti: [email protected]