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L’assurda vicenda di Emilio Scalzo: ancora una volta l’ingiustizia si fa legge

Intervista al regista Luigi D’Alife

Illustrazione: Militanza grafica

«La solidarietà sposta le montagne»

«Emilio è probabilmente la prima persona che ho incontrato e intervistato il primo giorno che sono arrivato a Bardonecchia. Erano le 21:55 del 22 Dicembre 2017. Da quel giorno sono cambiate moltissime cose. Eppure le parole di Emilio, nella loro splendida semplicità, restituiscono al meglio la fantastica persona che è, compagno generoso, sempre presente, che restituisce valore ad una parola troppe volte utilizzata con leggerezza come quella di “umanità”. Non posso che chiudere queste 4 righe con le stesse parole di Emilio”: “Tanto noi non ci arrendiamo”».

Così Luigi D’Alife, regista del documentario The Milky Way ambientato sulla frontiera alpina italo-francese, introduce qualche minuto di video a Emilio Scalzo 1 a poche ore dalla sua estradizione in carcere in Francia. Emilio è uno storico attivista No Tav impegnato a supporto delle persone in transito nella Alta Val di Susa, in uno dei passaggi più pericolosi in cui si è registrato un incremento esponenziale del numero di persone che hanno valicato la frontiera del Monginevro. 

Il mandato di arresto europeo è stato emesso dalla Francia il 15 settembre scorso.
Il 3 dicembre Emilio è stato estradato in Francia dal carcere di Torino. Ora si trova nella prigione di Aix en Provence vicino Marsiglia, a 300 km da casa 2.
L’accusa: aggressione a pubblico ufficiale (un gendarme francese) durante una manifestazione per i migranti e insieme a loro al confine fra Claviere e Monginevro del maggio scorso. 

Una serie di misure senza fondamento giuridico, spropositate, gravissime.
Un accanimento giudiziario ingiustificato che ormai, troppo spesso, colpisce chi con generosità e passione si schiera dalla parte dei diritti sociali, chi lotta contro le devastazioni ambientali, chi in varie forme si spende a supporto delle persone in transito. Tante le iniziative promosse dal movimento No Tav che si è stretto attorno ad Emilio. «Ha sempre guardato gli occhi e il cuore delle persone incontrate sul suo percorso, cercando di capirne i bisogni e di condividerne i destini e le battaglie», scrivono

«Cercare di fermare un popolo che migra, è come provare a fermare il mare con le mani», dice Emilio.
Abbiamo deciso di iniziare così, con questo video, l’intervista a Luigi D’Alife.
Le sue, di parole, valgono più di mille altre. 

Su tutte, però, ne vogliamo spendere due. Emilio libero.

Il trasferimento nel carcere di Torino è stato emesso per via della “presenza costante di un presidio volto a ostacolare la consegna all’autorità francese”. Puoi ripercorrere i vari passaggi giudiziari?

Quello che è venuto fuori in maniera evidente riguardo a questa accelerazione del processo di estradizione in Francia è stata giustificata dalla Procura proprio con il fatto che c’era un presidio sotto casa di Emilio che appunto era stato lanciato alla notizia della conferma dell’estradizione da parte della Cassazione; con questa scusante, che il presidio poteva essere pericoloso, hanno deciso di velocizzare la procedura di estradizione. Anche già dal principio questa vicenda è folle: il 15 settembre viene emesso un mandato di arresto internazionale per Emilio per via di una manifestazione di solidarietà verso i migranti avvenuta tra Claviere e Monginevro nella primavera 2021, durante la quale Emilio era stato accusato di violenza a pubblico ufficiale; per questa vicenda Emilio viene mandato in carcere a Torino, poi la custodia in carcere era stata trasformata in arresti domiciliari, durati fino all’estradizione.

Fa già sorridere amaramente il fatto che per un reato sostanzialmente modesto è stato emesso un mandato di cattura europeo e un’estradizione; e poi il fatto che nella Procura di Torino si sia trasformata una sorta di battaglia personale contro Emilio e contro ciò che rappresenta Emilio. Sì, perché Emilio è stato arrestato in questo caso per una manifestazione di solidarietà con i migranti sul confine, ma Emilio è anche uno storico attivista No-Tav, cosa che fa innescare nella Procura di Torino tutta una serie di accelerazioni che per una persona diversa non verrebbero attuate.

Che idea hai dell’estradizione di Emilio? È l’ennesimo gesto programmato nei confronti di una persona che rappresentava un modello pericoloso per il vivere collettivo?

Ci sono chiaramente questi due piani: da un lato su questo confine vengono portate avanti tutta una serie di pratiche solidali, sia su lato italiano sia sul lato francese, che, come su altri confini, sono puntualmente oggetto di repressione. La criminalizzazione della solidarietà è una prassi che è aumentata negli ultimi anni; dall’altro, c’è la questione No-Tav: Emilio, storico attivista No-Tav, ha sempre messo il proprio corpo e la propria testa nelle cause e nelle battaglie combattute in Val Di Susa, e questo ha prodotto un accanimento da parte della Procura di Torino sulla sua vicenda giudiziaria; un accanimento perfettamente in linea con quanto ha fatto la magistratura francese: da quando Emilio è stato arrestato, incarcerato a Torino e portato in Francia, è trascorso del tempo; la Francia ha fatto in dodici ore quello che in Italia si fa in minimo ventuno giorni.

Photo credit: The Milky Way

Che tipo di attivismo viene fatto su quel confine in difesa dei migranti?

A partire dal 2016 alcuni migranti hanno iniziato nuovamente a percorrere questa via della migrazione che dall’alta Val di Susa porta nel brianzonese; inizialmente l’epicentro della storia era Bardonecchia; poi la rotta migratoria si è spostata sul colle del Monginevro. Le cose sul fronte solidale hanno iniziato ad attivarsi nel 2017; quell’anno sono arrivato per la prima volta a Bardonecchia, qualche giorno prima di Natale, e già c’erano i primi attivisti, che alla stazione di Bardonecchia portavano un tipo di solidarietà molto concreto, ma fondamentale: informazioni, pasti, indumenti, scarpe e scarponi e tutto quello che poteva essere necessario per affrontare quella difficile traversata nel modo meno doloroso possibile.

E’ particolare il fatto che la prima persona solidale che intervistai quella sera fu proprio Emilio, che era già lì quando la cosa né aveva la risonanza mediatica che ha avuto in seguito, né erano ancora emerse iniziative solidali più organizzate. Da lì si è provato a dare una forma e un’organizzazione alla solidarietà, da Bardonecchia all’occupazione di Claviere e di Oulx. Sul lato italiano, attualmente è presente un solo rifugio ufficiale a Oulx, che può ospitare fino a 70/80 persone per la notte, in cui vengono distribuiti pasti, indumenti e informazioni; ma spesso questo non è sufficiente e molti non vengono accolti.

La casa cantoniera, che restava aperta 24 ore su 24, è stata sgomberata ormai alcuni mesi fa e questa è stata una grande perdita per l’attivismo solidale; dal lato francese c’è un altro rifugio a Briançon, chiamato Refuges Solidaires, che può ospitare fino a un centinaio di persone. E’ un attivismo molto duro, perché le cose cambiano continuamente in termini di entità dei flussi (più che raddoppiati dal 2018 all’anno corrente) e della loro composizione, ma anche perché vi sono molte fragilità: bambini, donne incinte, anziani, in viaggio già da molti anni e costretti ad avventurarsi di notte per le alte innevate sulle nostre case per poter attraversare il confine.

Ci sono altre persone sotto indagine o criminalizzate per le loro azioni solidali su quel confine?

Sì, ci sono processi aperti relativi alle occupazioni di Chez JesOulx a Claviere e allo sgombero della Casa Cantoniera. In queste vicende, la Procura di Torino ha messo in atto le procedure giudiziarie classiche, pur a fronte di piccoli reati: allontanamento dal territorio, obbligo di firma, divieto di entrare in un certo numero di comuni, e così via. Questo tipo di repressione di persone solidali con i migranti ci sono e su entrambi i lati del confine; mi viene da dire che probabilmente sono più dure sul lato francese perché la Francia vede giungere i migranti nel territorio, mentre in Italia li vediamo partire.

Ci sono poi delle vicende di singoli, quella di Benoit Ducos, un abitante della zona del brianzonese, che nel 2018 era stato fermato mentre trasportava in macchina una coppia di migranti, tra cui una donna incinta che era vicina al parto. Benoit era stato accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma c’è stato anche il processo in seguito alla marcia del 22 aprile 2018 da Claviere a Briançon in cui erano state denunciate sette persone tra italiani, francesi e svizzeri, e poi il processo si è concluso con un’assoluzione, tranne una condanna di uno dei sette, condannato per resistenza a pubblico ufficiale.

8 dicembre 2021, manifestazione in Valle

Come ha reagito la comunità alla notizia dell’estradizione?

La Val di Susa è una comunità che si stringe molto forte attorno alle sue persone, sia nei momenti di manifestazione o di festa sia nei momenti di necessità. La risposta è stata immediata e si è visto già prima dell’estradizione anticipata con il presidio sotto casa di Emilio, ma sono state messe in campo anche altre iniziative, benefit di supporto, ma anche inviando delle lettere di conforto e di supporto a Emilio: un gesto che non porta alcun cambiamento concreto, ma che deve essere fondamentale per il morale di chi è dietro le sbarre. Anzi, colgo l’occasione per invitare chiunque senta di farlo a rivolgere un messaggio a Emilio. Su Scriviamo ad Emilio, inondiamo il carcere di lettere! | notav.info ci sono tutte le informazioni.

  1. A testa alta – Emilio Scalzo, un libro di Chiara Sasso (Edizioni Intra Moenia, 2020)
  2. Scriviamo ad Emilio. Inondiamo il carcere di lettere

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.