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Sono sopravvissuta attraversando il confine tra Polonia e Bielorussia. Una testimonianza

Salam lab, febbraio 2022

Photo credit: Grupo Granica

Mi chiamo Ola Sabah Hamad. Sono la mamma di quattro bambini e voglio raccontarvi la mia storia. Vengo da Baghdad. Vivere nel mio paese natale è molto difficile, specialmente per le famiglie che sognano una vita serena. Lì non riuscivo a sentirmi libera con i miei figli ma, cosa più importante, non potevo tenerli al sicuro.

Laboratorio Salam 1 pubblica una lettera aperta scritta da OIa Hamad e indirizzata alle persone che vivono in Polonia. Ola è una donna forte, che ha preso la difficile decisione di fuggire dalla violenza diffusa ovunque in Iraq, in cerca di sicurezza e pace per lei e la sua famiglia.

Alcuni attivisti del Grupa Granica (N.d.T: Gruppo Border, che riunisce diverse organizzazioni e gruppi che svolgono azione di monitoraggio sulla situazione al confine tra Polonia e Bielorussia), hanno incontrato Ola e la sua famiglia nei boschi lungo il confine, verso la metà di ottobre 2021. Ola guidava un gruppo di 30 persone, fra cui 16 bambini. Provati dall’ipotermia e dopo aver subito con paura e sgomento le violenze dei militanti bielorussi, hanno chiesto protezione internazionale in Polonia. Grazie alla pressione esercitata dai media, dai volontari e dalle ONG, è stato possibile evitare il loro respingimento nella pericolosa zona al confine tra Polonia e Bielorussia. Ola e la sua famiglia hanno trascorso i successivi due mesi in un centro di detenzione per rifugiati, dove le condizioni di vita erano pessime. Oggi, dopo essere stata rilasciata dal centro, in attesa di ricevere l’esito della procedura di richiesta di asilo, Ola chiede rispetto per i diritti e la dignità dei migranti e si appella al nostro supporto e alla nostra solidarietà.


Sogni

Tutti sanno cosa è successo in Iraq dopo la caduta dell’Isis. Il paese è diventato un’area di conflitti implacabili e le milizie terroriste hanno preso il potere. Come donna, io non avevo il diritto né la libertà di fare le mie scelte e di esprimere le mie opinioni. Non mi è stato mostrato alcun rispetto, perché in una società patriarcale e conservatrice i diritti delle donne non sono mai rispettati.

Per me era come trovarmi immersa nell’oscurità e invece volevo vivere alla luce del sole. È stato questo sogno a portarmi alla decisione di percorrere il cammino attraverso la foresta. Volevo crescere i miei figli lontano dal pericolo, dal razzismo e dai conflitti di religione. Volevo che avessero la possibilità di scegliere come vivere e quale dio pregare. In modo che possano crescere in pace e imparare cosa significa essere umano.

Il confine tra Polonia e Bielorussia

Arrivata in Bielorussia, ho tentato molte volte di entrare in Polonia. Su entrambi i fronti, ci rimbalzavano da un lato all’altro del confine come delle palle, e ci sentivamo sempre più sfiniti e disperati. Non avevamo né cibo né acqua. Abbiamo pregatole guardie di frontiera bielorusse di darci un po’ d’acqua per i bambini. Ma hanno reagito con violenza e ci hanno inseguiti fino al confine polacco aizzandoci contro i cani. I miei bambini gridavano e piangevano, spaventati dai soldati.
Negli occhi delle persone intorno a me vedevo solo disperazione. Da allora, ho una pessima opinione della politica e del potere. Su entrambi i lati del confine, eravamo solo degli ostaggi nelle mani dei poliziotti. Che, comunque, sono tutti uguali.

Dopo molti sforzi, quando finalmente siamo riusciti a superare il confine, abbiamo deciso di uscire allo scoperto, anche a rischio di metterci in pericolo. Abbiamo fatto richiesta di asilo in Polonia. Sfortunatamente, non siamo stati accolti bene.

Siamo stati trattenuti per 8 giorni in una struttura della Guardia di Frontiera. Poi ci hanno portati in un campo di detenzione a Biala Podlaska. Sembrava proprio una prigione: mura alte muri, filo spinato, telecamere che controllavano ogni nostro passo. Ci hanno portato via tutti i nostri effetti personali, compresi i telefoni. Tutti i giorni venivamo svegliati dalle grida dei detenuti. Per molti non era mentalmente possibile resistere in spazi così ristretti. Chiunque, dopo essere rimasto lì per un po’, iniziava a dare segni di squilibrio. Quelli che soffrivano di più erano i bambini e le donne – alcuni erano tormentati da pensieri suicidi, altri arrivavano a cercare di metterli in pratica. Attacchi di panico, scoppi di rabbia e depressione cronica erano molto comuni, anche tra i più giovani. Perché siamo trattati così, dopo tutti i tormenti che abbiamo già attraversato? Siamo dei criminali? Perché dei bambini devono vivere come in prigione per mesi?

Dopo due scioperi della fame e numerosi interventi da parte di avvocati, psicologi, attivisti ma anche dei funzionari dell’ufficio del Difensore Civico, alla fine la mia famiglia è stata trasferita in una struttura aperta, dove la nostra libertà è meno limitata. Tuttavia, non riesco ad apprezzare completamente la mia libertà. Ci sono ancora altre famiglie che soffrono e lottano nei boschi e nelle strutture di detenzione.

Rivolgo questo mio appello a tutte le persone oneste e corrette, perché intercedano in difesa di rifugiati e migranti innocenti. Abbiamo bisogno del vostro sostegno. Non restate indifferenti. Aiutatemi a proteggere i miei amici e i miei cari, supportateci nel nostro sogno di vivere in pace. Siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti gli stessi diritti.

Vorrei anche ringraziare le persone che ci hanno aiutati e salvati da morte sicura nel gelo dei boschi. E tutti coloro che, attraverso il loro attivismo e il loro lavoro, sostengono i diritti dei rifugiati e dei migranti.

Vi auguro ogni bene.
Ola Hamad

  1. (Il Laboratorio della Pace) è una piattaforma dedicata all’informazione su migrazioni e diritti umani