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Le donne e i luoghi di frontiera: Schmoll ci aiuta a “femminilizzare lo sguardo” sulle migrazioni

Una recensione del libro di Camille Schmoll, “Le dannate del mare. Donne e frontiere nel Mediterraneo”

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Le dannate del mare. Donne e frontiere nel Mediterraneo” è un libro di Camille Schmoll, pubblicato a marzo 2022 da Astarte Edizioni e tradotto da Marco Galiero.

L’autrice Camille Schmoll, geografa e sociologa, è direttrice di ricerca di Studi di Scienze Sociali (EHESS) e membro del laboratorio di ricerca Géographie-cités e dell’Institut Convergences Migrations. I suoi studi analizzano le nuove dinamiche migratorie (trans-nazionalismo, migrazione di genere, migrazione circolare) in area euro-mediterranea e le conseguenti implicazioni sociali e territoriali.

Il libro si ispira al celebre manifesto anticoloniale “I dannati della terra” di Frantz Fanon elaborato durante la guerra di liberazione algerina. Si tratta del primo titolo della collana Hurriya, diretta da Federico Oliveri. Hurriya (in arabo, libertà) raccoglie ricerche multidisciplinari sulle migrazioni mediterranee, accomunate dalla critica verso l’attuale regime dei confini e dell’interesse per le molteplici forme in cui rivive la più antica libertà umana: quella di scegliere dove vivere.

Il saggio si sviluppa in cinque diversi capitoli, ognuno dei quali affronta un aspetto diverso legato alla dinamica e alla narrazione delle migrazioni. Questa etnografia mette finalmente in risalto le grandi assenti dei racconti sulle migrazioni: le donne. L’obiettivo è quello di dare risalto e dignità alle storie di tutte quelle donne che lasciano le proprie case e i propri affetti per intraprendere il lungo viaggio attraverso il deserto e il Mediterraneo.

Parlare di donne e volgere l’attenzione verso le esperienze femminili vuol dire affrontare alcuni aspetti poco trattati, come le politiche dell’intimità, il ruolo delle emozioni o dei corpi; vuol dire sollevare il velo su altre scale, altri luoghi, altri processi comunemente poco esposti o esplorati.

Nonostante i numeri non lascino dubbi circa il fatto che le donne migrano, in genere i media o le cronache si soffermano maggiormente sulla narrazione di donne che migrano per raggiungere i proprio mariti o, viceversa, che attendono l’arrivo dei loro compagni di vita; quindi in un’ottica esclusiva di ricongiungimento familiare o vittime di perdite. Le dannate del mare sovverte questo ordine di narrazioni, racconta di donne che si autodeterminano, che decidono autonomamente di non voler sottostare alle regole di un mondo che non appartiene loro e decidono di partire.

Nel soffermarsi sulle migrazioni femminili, Schmoll non nega di certo i processi di deprivazione e di espropriazione, che ne costituiscono la realtà quotidiana. Anzi, grande protagonista è proprio la “violenza del confine”; ma non manca lo spazio per narrare i desideri e i motivi che portano queste donne ad abbandonare le proprie terre.

Nella nota metodologica Schmoll consegna al lettore gli strumenti per poter intraprendere correttamente il viaggio. L’autrice è partita dallo studio dei luoghi di frontiera, visitando i centri in cui le migranti vengono accolte, o meglio, confinate. Si è principalmente interessata ai centri presenti a Malta e in Italia, in quei posti ormai crocevia del Mediterraneo.

Come afferma l’autrice: «Osservare le questioni migratorie a partire dal punto di vista delle donne permette di considerare diversamente le società di partenza e di accoglienza. Ora, questo sguardo non fa sempre comodo. Ciò equivale, in fin dei conti, ad accordare un potere alle donne, un potere femminile che può essere insopportabile. Equivale a costituire le donne come soggetti politici della loro propria storia».

Schmoll chiarisce che «femminilizzare lo sguardo vuol dire sostenere una prospettiva che ci allontana da certi discorsi vittimizzanti e sovrastanti sulla migrazione femminile, mettendo in luce la capacità delle donne di attraversare le frontiere e di costruire le proprie traiettorie; ma vuol dire anche rifiutare una visione lineare e univoca della migrazione come necessariamente emancipatrice». In altre parole significa prendere le distanze da facili stereotipi sulla migrazione femminile legati esclusivamente alla tratta o al soggetto debole, evidenziando, invece, la capacità autonoma delle donne di attraversare le frontiere e di costruire le proprie traiettorie. Al tempo stesso, l’autrice, non enfatizza questo aspetto, ricordandoci che la migrazione non sempre riesce a spezzare le catene della condizione di oppressione.

Né vittime né eroine, dunque: Le dannate del mare contribuisce a rifiutare le due facce della stessa medaglia, dello stesso stereotipo. Nelle conclusioni, l’autrice precisa ancora: la migrazione deriva da e produce una ridefinizione della femminilità. Diventando migrante si diventa un’altra.

Serena La Marca

Laureata in Giurisprudenza, con l'ambizione di poter dare un contributo concreto circa la gestione del fenomeno migratorio.
Attualmente sono operatrice volontaria presso il SAI Casa Makeba, presente sul territorio di Bologna.
Svolgo anche volontariato per Avvocato di Strada ODV a Bologna, dove gestisco, insieme ad altr* volontar*, un help desk immigrazione.