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Abolire Frontex per liberare tuttə

Un dialogo con Yasha Maccanico, ricercatore di Statewatch

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Gli scandali di corruzione, le dimissioni di Leggeri, le violazioni sistematiche dei diritti umani rivelate dal rapporto Olaf (Agenzia antifrode della UE) 1. Gli aerei che sorvolano il Mediterraneo, le macchine della polizia tedesca lungo i confini balcanici. E le proteste del mondo accademico contro gli accordi tra l’agenzia e il Politecnico di Torino, la rete Abolish Frontex, il Parlamento Europeo che si rifiuta di approvare il bilancio consuntivo del 2020.

Di Frontex nell’ultimo anno si è fatto un gran parlare, ma rimane la sensazione di non riuscire a cogliere del tutto il significato di quest’agenzia: cos’è, cosa fa, a chi risponde, la sua importanza strategica.

È per questo che ne abbiamo parlato con Yasha Maccanico, ricercatore di Statewatch, che da molti anni si occupa di fare luce sull’opacità di quest’agenzia europea. Al di là delle statistiche, al di là della notizia: con Yasha proveremo ad andare al cuore di Frontex, ovvero al cuore del disegno europeo. Un dialogo che abbiamo suddiviso in 3 parti, di cui oggi vi proponiamo l’ultima parte.

Leggeri in visita: “Qui sull’isola di Lesbo, vedo che la Grecia è più forte e Frontex è più forte” – Ph: Facebook Frontex
Tornando al caso Leggeri, quanto sono state importanti le sue dimissioni? Sono state solo uno specchietto per le allodole, far cadere una testa per non cambiare nulla?

Le sue dimissioni sono state importantissime, perché era un personaggio pericolosissimo che stava diventando una minaccia per la sicurezza europea, essendo al comando di una forza di otto mila guardie di frontiera. Negli anni ha essenzialmente cercato di affermare un sistema di esclusione dai diritti, facendo un continuo uso di dati per creare allarmismo – che la crisi ucraina in pochi mesi ha evidentemente sbugiardato – su come l’entrata di poche migliaia di persone avrebbe distrutto l’Unione europea. Non solo, la retorica di Leggeri si fondava su una sorta di victim blaming, secondo cui le persone vittime delle violenze non dovevano nemmeno lamentarsi, avendo scelto loro di entrare illegalmente. E poi questa complicità con l’estrema destra era un ulteriore problema. Leggeri utilizzava politicamente i movimenti e partiti esplicitamente razzisti in modo ricattatorio verso le altre parti istituzionali, della serie “fate come diciamo noi, perché altrimenti ci sono queste altre persone molto più estreme di noi”.
Comunque, queste dimissioni sono state sicuramente in parte uno specchietto per le allodole, però era veramente andato troppo oltre. Frontex poteva benissimo fare quello che sta facendo senza farsi beccare, perché è stato creato un sistema che la protegge, che è quello di assenza di responsabilità di cui parlavamo prima. È andato troppo oltre con la partecipazione nell’attività di respingimento nel Mar Egeo, con violazioni dei diritti umani che si potevano benissimo evitare perché sarebbero successe uguali anche sotto il controllo greco. È stato un delirio di onnipotenza.
Ora, per quanto riguarda il Mediterraneo centrale, Frontex stessa ha espresso preoccupazioni alla Commissione nel collaborare2 con la guardia costiera libica, dato che potrebbe avere delle ripercussioni sull’agenzia, ma è stata la Commissione ad incoraggiarla a continuare, sostenendo che i libici stavano migliorando le loro performance. Quindi c’è stato un ordine diretto da parte della Commissione. Io credo che Leggeri abbia potuto dare le dimissioni senza che ci fossero delle investigazioni sul suo operato proprio perché era ed è la Commissione a guidare gli eventi. Inoltre, Leggeri oggi può ricattare tutte le persone che gli hanno detto che erano d’accordo col suo modo di operare, a partire da Avramopoulos.

Come ha gestito mediaticamente l’agenzia queste dimissioni e il periodo immediatamente successivo? Nella continuità o nella discontinuità?

Il tentativo dell’agenzia è stato di provare a mettere a tacere tutte le critiche, anche lo scrutinio che sta avvenendo per conto del Parlamento Europeo, di spazzare tutto sotto il tappeto perché “se n’è andato Leggeri”. Si sta provando a dire che “quelli erano tempi vecchi” e che ora ci sarà una situazione molto migliore.
Ma dal rapporto Olaf emerge un’ostilità diffusa e neanche troppo velata all’interno dell’agenzia verso chi si occupava dei diritti umani per conto di Frontex stessa, fino a casi di mobbing fra colleghi. Quindi c’era un clima intimidatorio verso chi per lavoro era incaricato di sorvegliare sul rispetto dei diritti umani, oltre all’ostilità che già arrivava dalle forze di polizia nazionali. Infatti, questi ufficiali avrebbero dovuto mettere in rilievo le mancanze delle polizie locali, osservare e studiare ciò che avveniva ai punti di sbarco e nelle varie situazioni di confine, ma nei loro confronti c’è stato vero e proprio ostruzionismo.
In questo senso, rimane il rischio di intimidazione e potenziale “blacklist” da parte delle polizie nazionali nei confronti degli ufficiali per i diritti umani di Frontex, ovvero che tra polizie ci si scambi informazioni sugli ufficiali “problematici”. Perché la collaborazione tra Frontex e le polizie di frontiera avviene senza frizioni solo se entrambe le parti sono disposte a chiudere un occhio sui chiari casi di violazione dei diritti umani. E di questo c’è sempre stata una forte consapevolezza all’interno dell’agenzia, anche nei suoi più alti livelli teoricamente predisposti alla tutela dei diritti.
Il problema di Frontex infatti sta alla radice, perché dal 2005, quando è stata fondata, è stato tutto un continuo lavoro per legittimare le discriminazioni, una continua giustificazione delle violazioni dei diritti umani sostenute sistematicamente nel tempo, un continuo tentativo di segmentare le popolazioni. Essenzialmente, Frontex dalla sua nascita è promotrice di razzismo.

Foto washing – Ph: Facebook Frontex
Quali sono i nuovi orizzonti di sviluppo dell’agenzia? Quale sarà il prossimo passo di questo disegno razzista?

La principale prospettiva di impegno per Frontex è quella delle espulsioni. All’interno dell’agenzia è stata creata la divisione per i rimpatri, ed è già uno dei settori principali. Usando un eufemismo, dicono che devono “ristabilire la credibilità del sistema europeo dei rimpatri”, ma non parlano della violenza che questo comporta. Con questa retorica delicata Frontex sta chiedendo a tutti i paesi, in particolare quelli di prima linea, di ampliare la disponibilità dei posti nei centri di detenzione, ovvero di aprire più CPR, e in Italia sappiamo cosa significano.
L’obiettivo di base è aumentare drasticamente il numero di rimpatri. Il problema è che quando aumentare il numero delle espulsioni diventa l’obiettivo dei governi, diventa meno importante chi espellere. Una volta designato questo obiettivo, infatti, comincia il lavoro di ricerca delle persone da espellere. Nel Regno Unito ne abbiamo avuto recentemente un esempio con il tentativo di deportazione verso la Giamaica di persone arrivate nel paese da oltre cinquant’anni3. Questo caso estremo esplica le conseguenze di una politica volta a massimizzare i rimpatri: diventa meno sicuro lo status, proliferano i motivi per i quali si può perdere la cittadinanza o il permesso di soggiorno, che partono da crimini gravi ma poi piano piano si arriva al punto in cui una rissa da bar può comportare la perdita di un diritto come il permesso di soggiorno.
Per il resto, è evidente come l’interesse maggiore di Frontex sia nella cooperazione con i paesi terzi, nelle missioni nei paesi esterni all’Unione. Questo anche perché gli stati membri non gli hanno permesso di svilupparsi internamente nel nome della sovranità nazionale, poiché non volevano interferenze in tema di sicurezza. Come dicevo precedentemente, Frontex è diventata quasi un’agenzia per le questioni diplomatiche e di politica estera.
Per quanto riguarda il territorio europeo, la prospettiva che si è in realtà già realizzata sono gli stati di eccezione alle frontiere, come è avvenuto in Polonia. Questo significa non solo il mancato vaglio delle richieste d’asilo e la proliferazione dei crimini da parte degli stati, ma anche la non accessibilità per giornalisti e attivisti. Le zone di frontiera diventano così aree militari ad accesso ristretto, e ci sono già delle leggi che stanno provando ad imporre la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza in modo semplice e anticipato. Anche questo rientra nella tendenza a far collassare l’immigrazione nella politica estera in termini di difesa e di sicurezza interna.

La progressiva espansione di Frontex continua anche da un punto di vista economico, nonostante la bocciatura del Parlamento. Dall’ordine dei milioni siamo passati a quello dei miliardi, con il budget 2021-2027 che tocca i 5,6 miliardi. Come si spiega questa continua crescita a fronte delle molte criticità ormai riconosciute?

La quantità di fondi che sono andati a questa agenzia è impressionante, soprattutto considerando che dopo dieci anni il suo risultato era deficitario. Ma nel 2014/15, invece di effettuare la dovuta valutazione dopo dieci anni di attività, gli si è cambiato il nome e il regolamento, allargando le competenze e i fondi. Mantenendo le cose in costante evoluzione poi vengono meno anche i cosiddetti “checks and balances”. E la cooperazione con le autorità nazionali era garantita anche dal fatto che la presenza di Frontex assicurava l’arrivo di fondi europei, da poter usare con una certa discrezionalità.
Ma l’espansione economica dell’agenzia è stata supportata perché rientrava nella strategia di espansione delle strutture comunitarie di sicurezza, polizia, cooperazione giudiziaria e immigrazione. L’obiettivo era erodere il ruolo del Consiglio e quindi dei governi nazionali, che nei temi di giustizia e affari interni l’avevano sempre fatta da padrone, e trasferire progressivamente poteri e competenze ad organi europei, come successo aumentando le competenze della Corte di Giustizia Europea in ambito delle politiche GAI con il Trattato di Lisbona, mossa neutralizzata in parte nello stesso trattato dalla creazione del Comitato Permanente per la Sicurezza Interna (COSI), un organo pensato per garantire continuità nell’indirizzo di tali politiche e per sfuggire al controllo di Commissione e CGE. Bisogna quindi capire l’architettura istituzionale UE, la sua divisione dei poteri e le tensioni che l’attraversano, per capire quanto nel lungo periodo l’espansione di Frontex sia cruciale per il rafforzamento dell’Unione.
E questo spiega perché, anche dopo la sospensione del budget per il 2020 e le dimissioni del direttore esecutivo, non sia stata fatta una valutazione approfondita e generale di come questa agenzia sta operando e si sta sviluppando. Infatti, un’analisi seria dovrebbe guardare non solo alle continue violazioni dei diritti, agli scandali e alle complicità, ma anche all’ordinario lavoro ideologico con cui l’agenzia influenza la Commissione, con il tono allarmista dei suoi rapporti che identificano nell’immigrazione tutti i mali dell’Europa.

Frontex punta a rimpatriare almeno 850 cittadini afghani all’anno dall’aprile 2022 – Grafico di Altreconomia
Ci avviamo verso la conclusione, e ti pongo una questione più generale. Perché è così importante oggi occuparsi di Frontex e delle politiche migratorie dell’UE?

L’immigrazione non ha mai raggiunto un tale livello di importanza per l’Unione europea come negli ultimi anni. È stata rappresentata come un problema, nonostante gli studi economici e demografici dell’Onu dicessero che per l’economia europea era necessario un livello più alto di immigrazione.
A mio parere, uno dei nodi centrali è che “l’emergenza immigrazione” è stata un pretesto per sviluppare le strutture di sicurezza europea. A livello nazionale è stata usata dai governi per accrescere i loro poteri sulle persone, ignorando i limiti sanciti anche dalle costituzioni e dal diritto europeo ed internazionale. Praticamente l’immigrazione è diventata il mezzo per poter fare tutto ciò che non era permesso.
Quindi ci sono stati degli interessi congiunti sia nazionali che europei, interessi che poi entrano in conflitto e scateno politiche di egoismo. Anche i regolamenti come quello di Dublino penalizzano alcuni paesi, ma sono stati fatti in questa logica, perché sapevano che ci sarebbero state molte persone che sarebbero emigrate dai paesi del sud Europa verso i paesi del nord. Ma nel momento in cui ogni Stato ragiona in una logica egoista si rischia di smontare l’Europa, in questo senso l’intervento europeo sull’immigrazione sembra quasi compensatorio.
Come dicevo, non è solo quello che fanno ai migranti, è soprattutto quello che fanno attraverso i migranti. Per esempio, nel rapporto su Europol che abbiamo fatto uscire recentemente, agenzia che ha molti problemi in comune con Frontex. Le due agenzie collaborano sempre di più, soprattutto nella gestione dei dati, attraverso triangolazioni che eludono i limiti di conservazione e di scopo delle informazioni. Il trattamento dati di Europol è scandaloso: profilano centinaia di migliaia di persone che non hanno commesso nessun reato, e quando il Garante europeo per la protezione dei dati (GEPD) ha ordinato di distruggere queste informazioni è intervenuto un regolamento UE per legalizzare l’illegalità4.
Servono più dati possibili per sviluppare soluzioni di intelligenza artificiale allo scopo, per esempio, di far passare come minaccia per la sicurezza o per l’ordine pubblico le persone che invece avrebbero diritto alla protezione. Tra non molto risulterà che chi scappa dall’Afghanistan – non potendogli negare l’asilo – dopo uno screening di massa sarà espulso in quanto minaccia per l’ordine pubblico. E l’ordine pubblico è ancora più preoccupante della sicurezza, perché si può ricondurre non solo alla pericolosità dei soggetti, ma alle reazioni che questi scatenano. Per cui se un gruppo di razzisti farà una manifestazione violenta fuori da un centro di accoglienza, il problema di ordine pubblico sarà il centro di accoglienza, non i razzisti.
Questo fatto di unire tutti i discorsi di criminalità organizzata, terrorismo, sicurezza, ordine pubblico e immigrazione da veramente carta bianca alle autorità. Con questi processi, che devono essere garantiti da una forte base di dati interoperabili, l’UE sta implementando un moderno progetto di governabilità della popolazione. Da qui viene il resto, come la normalizzazione dei rimpatri.

Ph: Abolish Frontex
Per terminare, ti faccio la classica domanda: che fare?

Serve abolire Frontex, perché quello che sta facendo è ciò per cui è stata creata. Però è importante sottolineare le responsabilità del modello scelto a livello europeo. Un po’ come in tutti i processi istituzionali i cambiamenti sono sul lungo periodo, ma hanno una direzione chiara e bisogna “stargli addosso”.
Per me è stato molto importante vedere tutte queste inchieste, vedere che il Parlamento Europeo prestava un po’ di attenzione, vedere che ogni tanto siamo riusciti a scalfire il muro di silenzio e di opacità. Però ricordiamoci che il problema di Frontex è altro. Siamo di fronte ad un’espansione gigantesca dell’agenzia: stanno concludendo accordi con tutti i paesi terzi, dai Balcani all’Africa centrale. In Senegal si vuole implementare un sistema di schedatura biometrica di massa della popolazione, finalizzata a facilitare i rimpatri. Siamo al punto in cui i governi stranieri attuano politiche estremamente costose per permettere agli europei di maltrattare i loro cittadini. È veramente folle.
Di fronte a tutto ciò, dobbiamo creare delle reti che siano il negativo del modello europeo, che ricostruiscano i ponti che loro vogliono tagliare. Come Statewatch, per esempio, siamo coinvolti in alcune reti internazionali su vari temi, come la rete Migreurop, che è euroafricana e composta da realtà che operano in ambiti e luoghi diversi. Dobbiamo provare a costruire una comunità transnazionale e transcontinentale, unirci contro chi ci vuole divisi.

Grazie veramente per questa tua analisi, che è stata capace di guardare allo sviluppo di Frontex nel lungo periodo, di scavare in profondità nei processi che la determinano e di inscriverla in una più ampia cornice europea politica ed istituzionale. Le tue parole sono importanti per capire cos’è Frontex e soprattutto per capire cos’è l’Europa. Grazie!

Grazie a voi per l’interesse. Penso sia importante produrre contenuti critici come fate voi, “stargli addosso”, appunto. Rimango a disposizione. A presto!


Approfondimenti

Sulla questione degli hotspot e la farsa delle relocations:

Leggi la prima e la seconda parte dell’intervista

  1. Scarica il rapporto
  2. EU: Frontex Complicit in Abuse in Libya, HRW 12.12.2022
  3. Windrush scandal explained, JCWI
  4. EDPS takes legal action as new Europol Regulation puts rule of law and EDPS independence under threat

Giovanni Marenda

Studente magistrale di Sociologia e Ricerca Sociale all'Università di Trento. Ho trascorso la maggior parte del 2020 ad Atene, in Grecia, impegnato nel lavoro di solidarietà. Sono un attivista del Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino, che promuove la libertà di movimento e supporta le persone migranti lungo le rotte balcaniche e sui confini italiani.