Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Silvia Di Meo (Sulla spiaggia di Zarzis)

Ciao Awa, sorella nostra

Una delle fondatrici e anime di FreeFemmes vittima del regime di frontiera

Start

Awa, sorella nostra, oggi il tuo corpo è arrivato privo di vita sulla costa di Sfax, da dove eri partita verso l’Europa. Proprio all’indomani delle CommemorAzioni che hanno omaggiato le vittime delle frontiere per mano della Fortezza Europa. 

Un cadavere considerato “disperso” , il tuo, insieme a quello del tuo piccolo, Mohamed, con cui eri partita dal limbo tunisino-libico pochi giorni fa. Due corpi abbandonati lì sulla spiaggia, in tutta la violenza che il confine può generare, a ricordare che il regime di frontiera continua a mietere vittime senza tregua. 

La prima volta che ti ho incontrata eri in strada a protestare con altre donne, ivoriane, guineane e camerunesi. Era inverno a Medenine e il centro di accoglienza per le persone migranti stava sfrattando voi e i vostri figli: avete lottato con fatica per non finire in strada. Mi ricordo che avanzavi senza timori verso l’ingresso, posizionata in prima fila, furiosa, pronta insieme alle altre a riprenderti ciò che volevi. 

Da allora sei stata una delle fondatrici e anime di FreeFemmes, il collettivo che abbiamo costruito insieme. Eri anche tu un’”artigiana per la libertà di movimento”, che aveva trovato nella lotta femminile il modo per cercare vita e autonomia; per sfuggire allo sfruttamento e per combattere la discriminazione che hai vissuto costantemente, come le altre, fino alla morte.

Anche tu hai ricamato il “vestito della libertà” incidendo parole di lotta e di coraggio; anche tu hai cucito quelle borse splendide che abbiamo spedito in Europa. Quelle creazioni che hanno permesso a te e alle compagne di creare la vostra casa e il vostro spazio di vita condiviso.  

Anche tu hai contribuito alla costruzione di una rete di mutuo-aiuto tra le donne migranti e lavoratrici. Tu che hai soccorso le altre sorelle che arrivavano dalla Libia con le ferite di violenze inaudibili. Tu che hai alzato la voce contro i soprusi delle autorità o hai protetto in silenzio le tue compagne. 

Awa, sorella nostra, ti hanno uccisa per impedirti di arrivare in Europa. 

Una verità che, per quanto ormai familiare, vicina e ripetuta, non riusciremo mai ad accettare con rassegnazione: la tua morte violenta, frutto di una delle più grandi ingiustizie del nostro tempo, non è tollerabile.

Il malessere che ci attraversa non arriva ad esprimersi del tutto: ma tu le conosci quelle parole, quante volte le hai tirate fuori – urlate, scritte, ricamate – quando hai condiviso i frammenti della tua vita travagliata alla ricerca di libertà. 

Tu che avevi già perso per mano delle frontiere tante persone care in quella rotta migratoria che oggi ti ha trascinata via insieme al corpicino di tuo figlio: il piccolo Mohamed che amava disegnare se stesso e la sua mamma sul pavimento della sartoria. 

Awa, sorella nostra, la collera ci protegge dalla frustrazione. L’ingiustizia la guardiamo in faccia: mentre ti pensiamo, insieme, ci chiediamo chi effettivamente pagherà per la tua morte, quali responsabili verranno riconosciuti se i noti aguzzini continuano a vivere, faccia al sole, impuniti, grazie a quell’indifferenza silenziosa che nega e minimizza queste morti, grazie al silenzio di chi – complice – volta le spalle per non guardare il mare nero. 

Ci dà forza la consapevolezza che noi questo silenzio continueremo a lacerarlo, come un tessuto strappato dalla forza delle mani di donne che tu ben conosci. Noi continueremo ad accusarli i tuoi assassini. Noi continueremo a nominarti e a ricordare l’immagine di te sorridente in mezzo a quelle stoffe che ti avevano ridato un po’ di libertà. 

Nella sartoria femminile piena di luce o nella strada polverosa e violenta del confine libico dove ti sei battuta per i diritti delle persone migranti, porteremo ancora – con tutta la nostra forza – la tua voce. 

Ciao Awa, sorella nostra. 

Il collettivo FreeFemmes insieme alla Coalizione delle Associazioni Umanitarie di Medenine organizzerà a Medenine un atto di memoria per Awa e per il suo bambino.

Silvia Di Meo

Sono antropologa, ricercatrice e dottoranda in Scienze Sociali, attivista antirazzista. Opero nell’area del Mediterraneo, in particolare in Sicilia e in Tunisia. Mi occupo di etnografia delle frontiere, delle mobilità e delle mobilitazioni migranti, oltreché dell’analisi delle politiche migratorie ai confini esterni ed esternalizzati. Sono attiva nelle reti nazionali e internazionali per la libertà di movimento e per il supporto alle persone migranti.