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PH: Massimiliano Pretto
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Silos di Trieste: il “riparo” dei richiedenti asilo abbandonati dalle istituzioni

Costretti a vivere in condizioni durissime in attesa di un posto in accoglienza

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Testo e fotografie di Massimiliano Pretto

Mentre nel Mediterraneo si continua a morire in cerca di una vita migliore, in questo periodo è risalita agli onori della cronaca la situazione di Trieste e della “Rotta balcanica” che, nel capoluogo giuliano, trova il primo approdo in Italia. In special modo la lente di giornali e tv si è focalizzata sul Silos, un edificio in totale abbandono situato accanto la stazione ferroviaria, vicino a quella piazza, denominata “piazza del mondo”, che vede ogni sera operare le associazioni di volontari nella cura di chi riesce a superare i confini dei paesi balcanici.

Il Silos, proprietà del colosso dei supermercati Coop Alleanza 3.0, posto sotto vincolo della Soprintendenza ai Beni Architettonici, da decenni non trova una sua destinazione d’uso, tanto che, già a gennaio di quest’anno, la società cooperativa stava valutando assieme al Comune, la sua messa in vendita.

Ma, se si può bloccare la finanza immobiliare, non si possono bloccare le persone, e, in questo edificio ormai fatiscente, da tempo trovano riparo centinaia di migranti che, giunti in città, rimangono in attesa da parte dell’amministrazione italiana dei documenti per il riconoscimento della protezione internazionale e di un posto letto nel sistema di accoglienza; centinaia di persone che però non trovano ospitalità in nessuna struttura, in un sistema, quello dell’accoglienza, messo sempre più in ginocchio dagli innumerevoli decreti e leggi che si sono susseguiti negli anni. 

Le associazioni di volontariato riferiscono di 450 richiedenti asilo – 200 secondo la prefettura -, ai quali si devono aggiungere le persone in transito, che si trovano quindi a dover condividere gli spazi di questo edificio fatiscente. Chi è fortunato ha una tenda, gli altri riescono a malapena a costruirsi un giaciglio, ma in entrambi i casi nulla li protegge dalle intemperie; sopravvivono tra il caldo torrido dell’estate ed il freddo pungente dell’inverno, al quale si aggiunge il gelido vento di Bora, a combattere con insetti, topi e serpenti che infestano ciò che non può chiamarsi casa, ma è così che, chi qui è costretto a viverci, indica il pezzetto di terra e fango che si è riuscito a farsi proprio.

Una situazione grave, che rende necessarie soluzioni urgenti, anche visti i numeri in deciso aumento degli arrivi, che registrano un +335% nella sola provincia di Trieste nei primi quattro mesi del 2023. A maggio, un vertice con i prefetti delle province del Friuli-Venezia Giulia, presieduto dal commissario per l’emergenza migranti Valerio Valenti, paventava l’idea della costruzione di due hotspot in regione, strutture deputate all’identificazione e alla successiva ricollocazione dei migranti sul territorio, in attesa della burocrazia italiana, o del rifiuto di permanenza sul suolo nazionale.

Da maggio ad oggi il silenzio totale delle istituzioni, nessuna proposta concreta sui siti da adibire a questo uso finché, ai primi di agosto, la macchina del ministero dell’interno ha, evidentemente, voluto accelerare i tempi, ritenendo inaccettabile (?) che, dopo anni di arrivi lungo il confine orientale, degli esseri umani siano abbandonati a se stessi e non accolti in un sistema palesemente incapace di far fronte all’emergenza umanitaria. 

Il primo agosto si è tenuto, nella prefettura di Trieste, un tavolo di confronto con il comitato per l’ordine e la sicurezza al quale ha partecipato anche la proprietà dell’immobile, quella Coop Alleanza che per decenni ha ignorato lo stato del suo bene, ma che, pochi giorni dopo, ha sporto denuncia per invasione di edificio, permettendo, di fatto, lo sgombero forzoso, in qualsiasi momento, da parte delle forze dell’ordine. 

«Bisogna avviare un percorso perché quella situazione non si può mantenere» ha dichiarato il prefetto di Trieste Pietro Signorello «ma al tempo stesso bisogna creare le condizioni necessarie sia per poter affrontare dal punto di vista giuridico una possibilità di sgombero, ma anche per la messa in sicurezza dell’area». Dure come al solito le parole dell’assessore regionale per la Sicurezza e immigrazione Pierpaolo Roberti: «Una presenza inaccettabile dal punto di vista della sicurezza e della salute pubblica». Un diritto di chi detiene la proprietà, certamente, anche se i tempi possono lasciar intuire qualche pressione da parte delle istituzioni, ma soluzioni alternative e concrete per la ricollocazione di quanti vivono nel silos, per ora, non sono state presentate. 

Dal confronto di inizio agosto sono spuntate proposte per adibire edifici e caserme dismesse alla prima accoglienza, progetti molte volte bloccati da sindaci e cittadini che non vogliono avere a che fare con i richiedenti asilo. In prima fila, su questa linea, lo stesso sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (che aveva già fantasiosamente avanzato l’idea di far recintare tutta la piazza antistante la stazione per impedirne l’accesso ai migranti), il quale rifiuta ogni indicazione di siti che interessino il territorio comunale: «Non sarà Trieste a ospitare l’hotspot per i migranti» ha dichiarato.

Un nuovo tavolo di confronto tra Prefettura, Questura, Comune e Coop Alleanza 3.0 si è tenuto il 9 agosto ma anche questa volta si è registrato un nulla di fatto. Intanto le persone presenti al Silos, continuano a permanere in un limbo: attendono che la prefettura decida se possono restare o se debbano essere allontanati, nonostante abbiano pieno diritto ad accedere al sistema di accoglienza nel momento in cui hanno presentato domanda di asilo o sono intenzionate a farlo. Una situazione che prosegue da tempo e che è stata più volte denunciata dalla rete solidale triestina, anche attraverso un articolato report che si conclude con diverse raccomandazioni, rimaste del tutto inascoltate. Nel frattempo non vengono fornite valide soluzioni per la loro permanenza, finché, dovendosi arrangiare per vivere, sono considerate solo un problema di sicurezza ed ordine pubblico.