Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Photo: Andrea Rizza Goldstein - Bihać
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N.N. – No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise

Borders kill. Morti per i confini lungo la rotta balcanica

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di Diego Saccora, Lungo la rotta balcanica APS e Andrea Rizza Goldstein, Arci Bolzano-Bozen

É a partire dalla fine del 2017 che il flusso delle persone in movimento per le rotte dei Balcani ha cominciato a interessare in maniera sempre più consistente la Bosnia-Erzegovina. Se all’inizio del 2018 la via di accesso principale passava dal Montenegro e prima ancora dalla Grecia e dall’Albania, già qualche segnale di quella che sarebbe poi diventata la via più utilizzata dal 2019 lo si registrava lungo le rive del fiume Drina, al confine tra Serbia e Bosnia-Erzegovina.

Uno degli indicatori di questi attraversamenti, sicuramente il più tragico, è il ritrovamento di corpi riemersi dalle acque della Drina, già considerata una delle più grandi fosse comuni delle guerre degli anni Novanta. E sin dai primi mesi del 2018 nell’area di Zvornik e poi a giugno in quella di Bratunac, ci sono stati rinvenimenti e conseguenti sepolture di persone di cui non si conoscono le identità, le provenienze, le storie. Rimangono senza nome. NN (o HH in cirillico) è il simbolo che appare sulle loro lapidi. 

Nel 2017 e 2018, il progetto di monitoraggio lungo la rotta balcanica – collaborazione tra i Comitati Arci Bolzano-Bozen, Arci del Trentino e l’associazione Lungo la rotta balcanica di Venezia – ha incrociato la storia di Madina Hussiny – trattata come un cane –- morta a 6 anni nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2017, travolta da un treno in transito dopo un respingimento da parte della polizia croata al confine Serbia-Croazia tra Šid e Tovarnik. Dopo vari tentativi da parte della Croazia di insabbiare il caso, nel 2021 la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha confermato le responsabilità croate per aver infranto gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 34 della Convenzione. 

Il ritorno lungo la rotta balcanica nel 2023 e all’inizio del 2024 per tre missioni di monitoraggio ha purtroppo confermato che sempre più persone muoiono lungo le linee di confine  e che, nonostante la situazione drammatica, in Italia, come in tanti altri Paesi europei, se ne parla pochissimo. Queste persone in movimento non sono morte per aver provato ad attraversare i confini, ma per colpa delle politiche europee di respingimento, esternalizzazione e militarizzazione delle frontiere. Bisognerebbe anche tematizzare le responsabilità – individuali e collettive – che  ci si assume nel sostenere politiche che uccidono o nel pensare che quello che succede ai confini dell’Unione Europea non ci riguardi. 

Alcune associazioni, attivistə, volontariə e ricercatorə della Croazia, Bosnia-Erzegovina e Serbia si stanno occupando del tema perché il numero delle salme negli obitori di confine e delle sepolture frettolose, inadeguate e indegne è in continuo aumento. La tomba di Madina a Šid, per esempio, è stata sistemata dignitosamente ed è diventata un luogo della memoria per quella parte di società civile croata e serba che vuole sollevare una discussione sulle responsabilità europee per le morti ai confini e tenere il punto sulla denuncia delle violazioni dei diritti umani. 

PH: Andrea Rizza Goldstein

No Name, No Nation, Not Necessary, No Noise. Invisibilizzati come persone in movimento nella categoria di migranti o peggio di clandestini. Resi ancora più invisibili da morti. 

Grazie all’associazione Lungo la rotta balcanica durante il monitoraggio c’è stata la possibilità di conoscere Nihad Suljić, attivista di Tuzla, che da un paio di anni è uno dei riferimenti della primissima accoglienza per le persone in movimento che passano di là. Nihad, con il sostegno di SOS Balkan Route di Vienna, Lungo la rotta balcanica e Arci Bolzano-Bozen, sta facendo un lavoro incredibile per dare dignità alle persone morte lungo la rotta, in particolare lungo i confini fluviali tra Serbia e Bosnia-Erzegovina. 

No Name. Not Necessary. No Nation. No Noise. 

Un grande cimitero di senza nome è quello di Bihać all’estremo opposto nord-occidentale della Bosnia-Erzegovina, altro punto caldo del flusso di persone in movimento lungo la rotta balcanica. 

Le tombe – N.N. – dei cadaveri ripescati dalla Drina sono letteralmente buttate lì, in qualche modo, nei cimiteri di confine. “Sto cercando di dare una sepoltura dignitosa a queste persone. Con una piccola lapide, in modo che rimanga un segno. Queste tombe senza nome peseranno sulla nostra coscienza prima o poi e bisogna preservarne la memoria”, dice Nihad.  

L’anniversario della strage di Cutro ci ricorda che, nonostante lungo la rotta balcanica non siano ancora successe tragedie analoghe, è comunque in atto uno stillicidio di morti silenziose. Che invece dovrebbero urlare sulle coscienze di chi sostiene queste politiche. 

Diego Saccora, operatore sociale, già tutore legale di minori stranieri non accompagnati all’interno del sistema di accoglienza del Comune di Venezia. Ha vissuto e operato nei centri di accoglienza formali e informali in Bosnia-Erzegovina e nei Balcani. Esperto in rotte migratorie, riferimento formativo per reti e associazioni interessate al tema del monitoraggio delle violazioni dei diritti umani delle persone richiedenti asilo e in transito.

Andrea Rizza Goldstein, formatore e coordinatore dei progetti di cittadinanza “Ultima fermata Srebrenica”, “Promemoria Auschwitz” e “On the Road – sulle rotte dei migranti”, per Arci e Arciragazzi Bolzano-Bozen. Referente del partenariato tra il Memorial Center Srebrenica e Arci Nazionale. Esperto di ex-Jugoslavia, autore di numerosi reportage, pubblicazioni e mostre fotografiche.