L’ordinanza della Corte di Cassazione ancora una volta ribadisce quello ampiamente motivato dai criteri enunciati dalle SS.UU. in particolare nella ormai famosa sentenza n. 24413/2021.
Fondamentale nella decisione del caso in esame è il seguente passaggio (sottinteso dall’ordinanza di cui sopra):
“situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d’origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell’art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.
Questo aspetto della comparazione tra la condizione in Italia rispetto a quella del paese di origine è un elemento decisivo per l’applicazione di quelle tipologie di protezioni – umanitaria prima, protezione speciale poi – che i giudici devono tener in particolare conto, soffermandosi non solo sulla condizione del singolo, ma allargando il ragionamento anche sullo stato della sua famiglia, anche se ancora residente nel paese di origine, poiché il sostentamento dei familiari può dipendere dalle rimesse che il richiedente riesce a inviare loro.
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Si ringrazia l’Avv. Michele Pizzi per la segnalazione.