Palermo, Piazza Marina- Via Ruggero Settimo, 28/10/2008
Gli stati moderni diventano imprenditori della paura a causa delle crescenti diseguaglianze che li caratterizzano, frutto della dimensione finanziaria dell’economia, dell’impoverimento dell’economia reale e della esternalizzazione dei processi produttivi, che deprimono il valore della forza lavoro e determinano una crescente concorrenza all’interno degli strati più deboli della società.
Per legittimare una risposta repressiva alla domanda di giustizia sociale e di redistribuzione del reddito occorre alimentare un clima di paura nella popolazione.
La paura come strumento per una politica di dominio che travolge la garanzie dello stato di diritto. Il diffondersi della paura è accresciuto dalla utilizzazione che ne fanno i mezzi di informazione, che diffondono allarmi continui rispetto a minacce sociali rappresentate prima dai migranti e poi, a seguire, dai ceti più poveri della società e quindi dai gruppi sociali che si ribellano al sistema di potere economico e culturale dominante.
L’intervento di Francesco Cossiga su Libero del 23 ottobre, nel quale si richiama addirittura il pericolo di un risorgente terrorismo nelle università in lotta contro i provvedimenti del governo, è un esempio di questo uso strumentale della paura.
Accanto ai mezzi di informazione gli istituti che conducono sondaggi contribuiscono a rafforzare con le loro indagini le posizioni dei gruppi dominanti, abbattendo la fiducia dei subalterni nella possibilità di rivendicare i loro diritti negati e costituendo, per le decisioni politiche che strumentalizzano la domanda di sicurezza, un terreno di legittimazione che non deriva più dalla scelta elettorale, di fatto negata dal sistema maggioritario e dalle soglie di sbarramento ad una parte crescente dei cittadini..
Gli immigrati hanno costituito negli ultimi anni la “minaccia”, il nemico interno per antonomasia, sino alla costruzione di un vero e proprio “stato di eccezione”, che è diventato ormai “normale”, sovvertendo la costituzione materiale a partire dal principio di eguaglianza affermato dall’art. 3 della Costituzione.
Per gli immigrati, regolari e soprattutto irregolari, si è costruito un diritto speciale, un diritto penale speciale, un diritto privato speciale, un diritto amministrativo speciale, mettendo a rischio il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona solennemente sanciti dalle Convenzioni internazionali, dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, dalla Costituzione italiana.
Gli articoli 10 ( riserva di legge e diritto di asilo) 13 ( diritto alla libertà personale), 24 ( diritto di difesa) della Costituzione sono stati traditi dalla legislazione più recente in materia di immigrazione.
Mentre la globalizzazione dell’economia abbatteva le frontiere, la sovranità degli stati si scaricava sui controlli delle frontiere, con il risultato che la libera circolazione delle merci e la esternalizzazioni dei processi produttivi trasformavano i migranti in una merce di scambio, non più persone ma soggetti deprivati di ogni diritto fondamentale.
Lo straniero è stato considerato come il “capro espiatorio” per eccellenza, strumento essenziale per distogliere l’attenzione della popolazione ( e degli elettori soprattutto) dalle vere cause che alimentavano giorno dopo giorno la insicurezza collettiva.
La paura del diverso e la criminalizzazione degli immigrati ( non solo) irregolari, e dunque le correlate misure repressive, si sono allargate a macchia d’olio nella società e si estendono adesso a tutte le figure sociali che, di fronte alla caduta di rappresentanza del sistema politico, producono opposizione autorganizzata e rivendicano il mantenimento delle garanzie e dei diritti tipici dello stato sociale. Come nel caso di quanti difendono il carattere pubblico della scuola e dell’università, l’accesso garantito per tutti alle cure mediche, il diritto all’abitazione, il diritto ad un ambiente salubre, i diritti dei lavoratori.
Alla fine di questo processo, quando le manifestazioni di dissenso minacciano di intaccare il consenso sul quale si posa il potere dei gruppi economici e politici dominanti, si intaccano i diritti di rappresentanza (con la modifica dei sistemi elettorali), la libertà di associazione e di manifestazione del pensiero (soffocando i giornali scomodi con il cappio della raccolta della pubblicità), il diritto di sciopero.
La paura continuamente riprodotta a livello istituzionale come metodo di governo dei conflitti, con la moltiplicazione degli strumenti di repressione e la sottrazione della discrezionalità di polizia ad un effettivo controllo giurisdizionale, come si è verificato a partire da Genova nel 2001, sta portando alla fine dello stato di diritto. Come la lotta al terrorismo internazionale ha sconvolto alle radici i principi del diritto internazionale. Siamo alla fine della democrazia costituzionale, come si è conosciuta per generazioni nell’Europa dopo la seconda guerra mondiale.
Noi non abbiamo paura. Non abbiamo paura dei migranti, non abbiamo paura degli esclusi, non abbiamo privilegi da difendere, chiediamo giustizia e coesione sociale.
La difesa dei loro diritti è la difesa dei nostri diritti, come la difesa dei diritti dei bambini stranieri che frequentano la scuola è la difesa di tutti i bambini che frequentano la scuola.
Per battere gli strateghi della paura ed i loro tanti dipendenti occorre uno sforzo straordinario di partecipazione e di controinformazione. La conoscenza diretta dei processi che inducono paura e dei soggetti che vengono rappresentati come “pericolosi”, costituisce lo strumento essenziale per distruggere il senso di allarme sociale e praticare una prospettiva di inclusione sociale e di rispetto della dignità delle persone, di tutte le persone.
Il capovolgimento di prospettiva per quanto riguarda i migranti non può che partire dalla considerazione della loro condizione di lavoratori precari sottoposti allo sfruttamento nel mercato del lavoro, i nuovi schiavi, nei nostri paesi, e nei paesi di transito che attraversano per raggiungere l’Europa, come la Libia.
Gli immigrati sono sempre più spesso ostaggio di organizzazioni criminali, tanto per entrare in Europa, in assenza di canali di ingresso legale, quanto, una volta raggiunto il nostro paese, per accedere al mercato del lavoro irregolare, con un rischio costante di essere rigettati nei mercati illegali ( della droga e della prostituzione, se non della falsificazione dei documenti e della microcriminalità).
La gestione “criminale” del mercato delle migrazioni irregolari è favorita dall’inasprimento continuo delle misure repressive che dovrebbero contrastare a livello internazionale e interno la cd. immigrazione clandestina. Solo una depenalizzazione della condizione giuridica dei migranti irregolari, a partire dall’apertura di concrete possibilità di ingresso legale e da una regolarizzazione permanente di quanti si trovano irregolarmente in Italia (oltre 500.000 persone secondo stime non ufficiali), potrà consentire una legalizzazione del mercato del lavoro in modo da contrastare efficacemente anche il lavoro nero dei lavoratori italiani ( che in alcune regioni raggiunge il 40 % dell’intero mercato del lavoro).
La legge Turco-Napolitano nel 1996 tentava di bilanciare le esigenze di repressione dell’immigrazione irregolare con la necessità di inclusione sociale e di lotta contro le discriminazioni. Nelle applicazioni concrete da parte delle autorità amministrative quella legge è stata sbilanciata ed è prevalsa la caratterizzazione repressiva, poi ripresa ed accentuata dalla legge Bossi- Fini del 2002.
Negli anni successivi i diversi governi che si sono succeduti giungevano a negare persino importanti richiami dei giudici costituzionali ( nel 2004 con le sentenze n.222 e 224) e si limitavano ad interventi attuativi di direttive comunitarie, ad esempio in materia di asilo e di ricongiungimento familiare, e poi negli ultimi sei mesi, fortemente restrittivi, anche rispetto alla legge Bossi-Fini ( in particolare per quanto concerne la disciplina dei respingimenti in frontiera e delle espulsioni).
Oggi, di fronte ad un governo che procede a colpi di decreto, smantellando le garanzie dello stato di diritto riconosciute dalla Costituzione, occorre riappropriarsi dei canali di informazione, o inventarne altri, nuovi ed autogestiti, costruire reti e legami di solidarietà, entrare nei conflitti con strumenti che riescano a scalfire o a disarticolare i poteri decisionali a livello centrale e periferico, costruendo nuovi rapporti di rappresentanza ed individuando ovunque necessario proposte alternative e strumenti di difesa legale.
Questo occorre per difendere i diritti fondamentali dei migranti, di tutti i migranti, regolari ed irregolari, questo occorre per accrescere la sicurezza di tutti, la sicurezza non è un bene divisibile se non si vogliono trasformare le città ed i quartieri in fortini assediati, questo occorre per ritrovare una prospettiva di inclusione e di coesione sociale.
E a livello internazionale occorre inaugurare una nuova stagione che chiuda la fase degli interventi “umanitari” per riportare la democrazia, che si trasformano poi in aree di guerra e di instabilità a tempo indeterminato. Di fronte alla insicurezza sociale derivante dalle crisi finanziarie di questi mesi la società si trova davanti ad un bivio: o accrescere gli strumenti repressivi per difendere le aree di privilegio, trasferendo risorse dal soddisfacimento dei diritti sociali ai mercanti della sicurezza, oppure praticare una politica autenticamente redistributiva che protegga l’economia reale ed i lavoratori dalle speculazioni della finanza globale, con un intervento dello stato e degli enti locali finalizzato alla protezione dei soggetti più deboli e del salario dei lavoratori dipendenti e non, come si sta verificando, al sostegno delle banche e del sistema finanziario che si è arricchito prima che l’esplosione della bolla speculativa impoverisse i risparmiatori, i pensionati( vittime predestinate dell’implosione dei fondi pensione), i lavoratori precari e quelli con una retribuzione più bassa. Un tempo, si potrebbe dire, nel quale sta tornando la schiavitù, e non solo per i migranti.
Letture: Z.Bauman, Paura liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006; A.Dal Lago, Non-persone, Feltrinelli, Milano, 2004; S.Palidda, Mobilità umane.Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Cortina, Milano, 2008