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Accertamento della cittadinanza italiana “jure sanguinis” di figlio di madre italiana

La normativa di riferimento è la L. 92/91, che detta norme in materia di cittadinanza. In particolare l’art. 1, comma 1, prevede che “è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini”.

Dunque, chi è figlio di madre o padre italiani è cittadino italiano e di conseguenza non sussistono dubbi sulla cittadinanza italiana della persona in oggetto.

Il possesso di tale status, pertanto, dovrà essere oggetto di un apposito accertamento, dato che, alla nascita, l’interessato non è stato mai registrato nei registri dell’anagrafe per il tramite delle autorità consolari italiane in Iran. Ciò che dunque sarà necessario fare è verificare la presenza, in capo all’interessato, di quei requisiti che la legge italiana richiede ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, appena citato.
Vi sono tuttavia degli aspetti problematici che devono essere esaminati.

In primo luogo, nel caso di specie la madre, cittadina italiana per nascita, ha contratto matrimonio con un cittadino iraniano nel 1970. In tale periodo la normativa di riferimento in materia di cittadinanza era la L. 555/1912 che, all’art. 10, comma 3, prevedeva che “la donna cittadina che si marita con uno straniero perde la cittadinanza italiana, semprechè il marito possieda una cittadinanza che per il fatto del matrimonio a lei si comunichi”.

Successivamente, con sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 1975, tale norma è stata dichiarata illegittima, per il suo contrasto con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, nella parte in cui prevedeva che la cittadina italiana perdesse la cittadinanza per il solo fatto di essersi sposata con uno straniero la cui cittadinanza le si comunicasse in virtù del solo matrimonio.
Gli effetti di tale pronuncia retroagiscono sino alla data di entrata in vigore della nostra Costituzione e cioè sino al 01.01.1948.

Il matrimonio, pertanto, contratto dalla donna cittadina italiana per nascita con persona straniera la cui cittadinanza le si trasmette per il fatto del solo matrimonio, come nel caso di specie, non porta più alla perdita della originaria cittadinanza da parte della donna cittadina, con la conseguenza che il figlio nato in costanza di matrimonio è senz’altro cittadino italiano per nascita. A supporto di tali conclusioni vedi, Cass. Civ., Sez. Un., 27.11.98 n. 12061; Cass. Civ., Sez. I, 18.11.96 n. 10086.

Il secondo aspetto problematico da esaminare, è relativo alla prestazione del servizio militare, da parte della persona oggetto del presente parere, a favore dello stato iraniano. Deve essere accertato se, in particolare, tale circostanza determini la perdita della cittadinanza italiana.
Per meglio chiarire i contorni del situazione, ci si trova in presenza di una persona in possesso della doppia cittadinanza, italiana e iraniana. I casi di cittadinanza plurima sono regolati dalla Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963, sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima.
Rileva, in particolare, l’art. 6, comma 3, della suddetta convenzione, che regola i problemi connessi alla prestazione del servizio militare da parte di cittadini con cittadinanza plurima, secondo cui “l’individuo che ha la propria abituale residenza sul territorio di una parte contraente di cui non è cittadino o di uno stato non contraente, avrà facoltà di scegliere fra le parti contraenti dì cui possiede la nazionalità quella nella quale desidera compiere i propri obblighi militari”.

Inoltre, il comma 6 del suddetto articolo specifica che “l’applicazione delle disposizioni del presente articolo non pregiudicano in nulla la nazionalità degli individui”.

Va detto che tra i paesi firmatari della convenzione di Starsburgo non rientra l’Iran, tuttavia il principio dettato dall’art. 6, comma 6 citato, ha senz’altro portata generale, cosicchè chi presti il servizio militare per uno dei paesi di cui è cittadino, non perde le altre cittadinanze che possiede.
A conferma di quanto esposto, si cita l’art. 103, D.P.R. 14.02.1964 n. 237 e successive modifiche, secondo cui coloro che sono nati all’estero e che possiedono la cittadinanza estera locale, i quali provino di aver prestato nelle forze armate del Paese di nascita un periodo effettivo di servizio alle armi non inferiore a sei mesi, qualora rientrino in Italia prima del compimento del ventottesimo anno d’età, non sono obbligati al compimento del servizio di leva in Italia.

Coloro che rimpatriano dopo il compimento dell’età indicata (anni 28) sono dispensati definitivamente dal compiere la ferma di leva, salvo l’obbligo di rispondere alle eventuali chiamate della loro classe.

Vi è pertanto implicita conferma legislativa che l’assolvimento degli obblighi militari per uno dei paesi di cui si possiede la cittadinanza non fa perdere l’altra, o le altre, cittadinanze possedute.
E’ dunque assodato che nel caso di specie non è stata persa la cittadinanza italiana per aver prestato servizio militare a favore dell’Iran.
In conclusione, l’interessato deve considerarsi cittadino italiano dalla nascita perché figlio di madre cittadina italiana; egli non dovrà quindi chiedere alcuna concessione ma avrà solo l’onere di richiedere il semplice accertamento del possesso fin dalla nascita della cittadinanza italiana. Infatti, l’accertamento da effettuarsi in via amministrativa non ha lo scopo di costituire ex novo in capo all’interessato uno status (ovvero la cittadinanza italiana) che prima non possedeva, bensì solo quello di dichiararne l’esistenza, in altri termini, di portare alla luce del sole uno status che egli possedeva sin dalla nascita ma che non era ancora conosciuto dalle autorità italiane.

Tale accertamento dovrà essere effettuato dall’anagrafe del Comune in cui verrà chiesta la residenza (al riguardo si richiama il contenuto della circolare del Ministero dell’Interno, n. 28/2002).
In pendenza della procedura amministrativa di accertamento, inoltre, sarà possibile chiedere alla competente Questura il rilascio di un permesso di soggiorno per “attesa di cittadinanza”, al fine di non vedere pregiudicato l’esito della suddetta procedura d’accertamento.