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Afghanistan, traffico di migranti e tratta di persone

I nodi inestricabili dell'economia sommersa afghana

Photo credit: Carla Dazzi dal sito di CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane)

Il primo marzo 2021 il governo afghano, caduto nelle ultime settimane con la rapida scalata dei talebani al potere e la loro riconferma dopo la ventennale e infruttuosa parentesi americana, aveva approvato un nuovo National Action Plan con cui nei prossimi tre anni si sarebbe impegnato ad affrontare con più forza le questioni della tratta di esseri umani (‘human trafficking’) e del traffico dei migranti (‘migrant smuggling’). Allo sviluppo del Piano aveva contribuito anche UNODC 1 , che ne aveva allineato gli obiettivi con gli standard e le norme internazionali; l’approvazione del Piano era avvenuta tra Kabul e Vienna e non poteva prescindere dalla presenza di attori internazionali.

Ecco che di nuovo compare il binomio, in Afghanistan particolarmente solido, fra traffico di migranti e tratta di persone. Per definizione, lo smuggler facilita a scopo di lucro il passaggio irregolare in un territorio qualora non vi siano possibilità di accesso regolare, mentre il traffico di esseri umani è una pratica di sfruttamento delle persone a scopo di lucro. Nonostante le due operazioni si ritrovino sovrapposte in numerose rotte storiche, esse differiscono per l’entità del reato commesso – nei confronti di uno stato d’accesso per lo smuggling, nei confronti degli esseri umani per la tratta di persone.

E proprio nell’analisi più recente di UNODC 2 sulla tratta di esseri umani a livello globale, datata 2020, si documenta un nesso fra traffico di migranti e tratta di esseri umani, nell’identificazione degli smuggled migrants con le vittime di tratta e degli smugglers con gli anelli più o meno forti di un’economia sommersa più ampia, che sfruttando la vulnerabilità dei migranti è in grado di assorbirli nella sua rete come nuovo materiale umano per il profitto di terzi.

Del resto, è ampiamente documentato che la tratta di persone in Afghanistan si avvale di un’ambiguità difficile da districare: non sempre i soggetti sotto tratta sono coinvolti in occupazioni illecite (commercio di droga, armi o altro materiale illegale), ma talvolta vengono sfruttati per occupazioni regolari come l’agricoltura, l’edilizia, la pesca e il lavoro domestico; i trafficanti legati a questo tipo di sfruttamento non sono necessariamente parte del mercato sommerso, irregolare non solo nei mezzi ma anche nei fini, ma possono anche risultare associati a compagnie regolarmente registrate, o operare in un sistema economico informale in senso lato, nel quale le condizioni del lavoro sono talmente lasche da rendere possibile lo sfruttamento di persone. Per occupazioni che si pongono in questo crinale, è difficile stabilire dove finisce la regolarità e dove inizia lo sfruttamento. In questo senso bisognerebbe dunque porre limiti formali alle condizioni di lavoro affinché la pratica della tratta non invada porzioni sempre maggiori di lavoro regolare.

Un punto di vista interessante per affrontare il tema è quello portato dall’International Centre for Migration Policy Development, che un suo report ha dichiarato: “In Afghanistan there are serious data problems […] not only because of inadequate legal and policy tools but also due to terminological confusions…”. La confusione a cui si fa riferimento è quella fra i concetti di migrant smuggling e di human trafficking. È un caso piuttosto emblematico di situazioni in cui un’ambiguità concettuale, e di riflesso pragmatica, è generata dal linguaggio: la parola dari ghachag è usata indifferentemente per indicare tutti i tipi di trasporto illegale, sia esso di droga, armi o persone.

IOM ha lungamente promosso l’uso di una parola alternativa per indicare il “commercio umano” in modo da sciogliere questa ambiguità. In un discorso del 2015 il portavoce presidenziale Sediq Sediqqi affermò: “Many individuals and groups were arrested last week for deceiving people and trafficking them illegally to foreign countries”, una frase svela in modo inequivocabile la confusione intorno ai due concetti; inoltre, il fatto che la questione sia centrata sull’illegal trafficking e non vi sia nessun riferimento al tema delle migrazioni e alle politiche locali sulle migrazioni mostra una difficoltà nel concepire che tali pratiche facciano ormai parte di un universo collaudato e siano sistematiche.
In un suo report, IOM sostiene che la mancanza di chiarezza nei termini utilizzati rappresenta una difficoltà fondamentale nell’identificazione dei carnefici e delle vittime, nella consapevolezza del problema e nella ricerca di possibili soluzioni 3.

Il pattern ricorrente nei casi studio affrontati da IOM nell’analisi del nesso smuggling-tratta in Afghanistan è quello del trasferimento dalla comunità di origine. Di solito si tratta di spostamenti interni, causati dai conflitti o disastri ambientali, che provocano la rottura con il precedente stile di vita e con i punti di riferimento originari, predisponendo alla tratta di persone e ad altre forme di sfruttamento; infatti, gli spostamenti e i trasferimenti possono recidere o indebolire i legami famigliari e tribali e dunque rendere più difficile per chi si sposta – che diventa un soggetto isolato – ricevere supporto dal proprio gruppo fidato. Le categorie più sensibili alla tratta sono i minori non accompagnati, vulnerabili soprattutto allo sfruttamento sessuale e della manodopera, e i migranti irregolari in esilio, cui manca uno status legale come rifugiati o richiedenti asilo; è la loro irregolarità a renderli più propensi a pratiche di sfruttamento.

È stato calcolato che più della metà dei casi studiati dal centro di ricerca Samuel Hall che prevedevano ragazzi di genere maschile forzati in settori illeciti erano stati precedentemente dei migranti irregolari.

L’inglobamento nella tratta di persone avviene tendenzialmente tramite l’uso della forza o per adescamento da parte di coloro che sono ai vertici della piramide illegale. Sono documentati episodi di sequestri di donne o minori che vengono costretti a lavorare – lavoro sessuale in primis – senza ricevere retribuzione ma soltanto vestiario e nutrimento. Oltre all’uso della forza, una modalità ampiamente usata per fare nuove reclute è quella dell’inganno; specialmente i soggetti in condizione di estremo bisogno e per di più inesperti delle prassi regolari del lavoro vengono facilmente assorbiti da una via che, ad una prima vista, si presenta immediata in termini pratici e contrattuali, se non l’unica percorribile.

Per concludere, nel contesto delle migrazioni irregolari i soggetti migranti sono posti in una condizione di invisibilità; se privi di documenti di identità, dunque depotenziati in termini legali e di garanzie, l’accesso a delle forme di retribuzione può avvenire unicamente per le vie illegali del lavoro. In questo scenario di estrema vulnerabilità si registra il maggior rischio di cadere nelle reti della tratta di persone; vi è una propensione fisiologica dei migranti irregolari a cadere in questa rete, dal momento che sono isolati, sradicati da un contesto memore della loro storia, giuridicamente scoperti ed economicamente fragili.

All’inizio di quest’anno l’U.S. Department of State ha affermato che il Governo afghano non raggiunge gli standard minimi per l’eliminazione della tratta di persone e non sta facendo sforzi sufficienti per farlo, nonostante l’epidemia da COVID-19, al netto di tutte le complicazioni, possa avere una capacità anti-tratta; si fa riferimento soprattutto a pratiche di sfruttamento sessuale di minori e di donne che ancora tardano a sradicarsi dal territorio.

Tuttavia, in questi venti anni di occupazione occidentale, l’Afghanistan ha ratificato il Palermo Protocol on Trafficking nel 2015, lo Smuggling Protocol nel 2016; e nella prima metà del 2021 era stata fissata una lista di obiettivi per accrescere la consapevolezza del problema nel paese, tramite il coinvolgimento di numerosi organi internazionali a tutela dei diritti umani, dei diritti delle donne e dei minori; è un altro esempio di comunicazione fallimentare tra Afghanistan e Occidente.

Nonostante si sia percepita una crescente volontà politica di punire i colpevoli, la mancanza di risorse da parte del governo ed una crescente instabilità interna hanno affievolito gli sforzi per giungere a delle leggi punitive della tratta di persone. La magistratura era a corto di fondi e di personale preparato a gestire quello che non è solo una ridefinizione normativa ma anche un salto culturale, in un paese come l’Afghanistan in cui il bacha bazi è ancora una pratica istituzionalizzata e uno status symbol dei maschi adulti di un certo rango sociale.

E ora? Con i talebani al governo, il quadro politico, sociale e normativo del paese è tutto da ridefinire. La mediazione, seppur parziale e difettosa, degli enti internazionale a tutela delle persone viene meno; bisognerà fare i conti con un governo che è esso stesso finanziato da attività illecite, in primis il narcotraffico 4, che cercherà nuovi seguaci.

  1. https://www.unodc.org/unodc/en/human-trafficking/glo-act/index.html
  2. https://bedbible.com/research-sex-trafficking-statistics/
  3. https://static1.squarespace.com/static/5cfe2c8927234e0001688343/t/5d2dbfb9ac5f49000175e98a/1563279331439/IOM-Smuggling-Report_Afghanistan-chapter.pdf
  4. https://www.reuters.com/world/asia-pacific/profits-poppy-afghanistans-illegal-drug-trade-boon-taliban-2021-08-16/

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.