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Certificato di idoneità all’alloggio – Pronunciamento della giurisprudenza “Serve solo al primo ingresso”

Commento ad una ordinanza del giudice del lavoro di Milano.

Come è noto il contratto di soggiorno (art. 5 bis del T.U. sull’Immigrazione) è stato introdotto dalla legge c.d. Bossi-Fini (art. 6, L. 30 luglio 2002, n. 189), esso consiste in un formulario contenente le condizioni essenziali del contratto di lavoro, nell’ambito del quale il datore di lavoro deve sottoscrivere una dichiarazione con cui assicura – sotto la propria responsabilità – di avere verificato che il lavoratore dispone di un alloggio idoneo. E’ tale un alloggio che “rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica” (art. 5, comma 1, lett. a)), con cui si stabilisce un rapporto minimo tra la superficie dell’alloggio e il numero degli occupanti.
Come è noto questo requisito ha creato enormi disagi ai lavoratori immigrati proprio perché tale ulteriore ostacolo blocca la possibilità di assunzione regolare.
Molti datori di lavoro e agenzie interinali, infatti, da tempo rifiutano di assumere lavoratori che si presentano con il solo permesso di soggiorno, perché non riescono a produrre il certificato di idoneità all’alloggio.
Si tratta di un argomento preso in considerazione dallo stesso ministro Amato in una recente audizione presso la Commissione Affari Costituzionali il verbale è consultabile anche sul sito di Melting Pot, in cui il Ministro dell’Interno ha sottolineato l’assurdità di questa normativa che provoca una evidente discriminazione.

Il pronunciamento della giurisprudenza
Finalmente abbiamo un primo provvedimento dell’autorità giudiziaria che si occupa di questo problema, in particolare del rifiuto dell’avviamento al lavoro di una lavoratrice straniera che non era in condizione di esibire il certificato di idoneità all’alloggio.
Si tratta di un ordinanza, ovverosia di un provvedimento di urgenza, emanata in base all’art. 700 del c.p.c , depositata in data 24 maggio 2006 dal Giudice del Lavoro di Milano, con la quale si ordina al datore di lavoro di ammettere immediatamente al lavoro la cittadina extracomunitaria anche in mancanza del certificato di idoneità all’alloggio.
Nel caso specifico si trattava di una lavoratrice dipendente di un’impresa di pulizie che, in occasione della cessazione dell’appalto alla stessa assegnato, aveva il diritto (previsto dal contratto collettivo) di continuare l’attività lavorativa con l’impresa subentrante (art. 4 CCNL del settore pulizie).
L’impresa si è invece rifiutata di avviare al lavoro l’interessata unicamente in ragione della mancata produzione del certificato di idoneità all’alloggio.
Il provvedimento del giudice del lavoro di Milano, pur essendo molto sintetico, non manca di precisare che non si può ritenere che la mancata esibizione del certificato costituisca titolo legittimo per rifiutare l’avviamento al lavoro.
Lo stesso giudice del lavoro rileva che dalle informazioni assunte presso la Questura di Milano [emerge che il requisito della “sistemazione alloggiativa” deve essere dimostrato solo nei casi di primo ingresso (autorizzato in base al sistema delle quote).

Cosa prevede la legge Bossi Fini?
La pronuncia sopra commentata ci conferma quanto già sosteniamo da diverso tempo e cioè che la legge c.d. Bossi-Fini prevede l’istituto del contratto di soggiorno – con conseguente accertamento dell’idoneità dell’alloggio – solo con riferimento a chi deve arrivare dall’estero in base ai decreti flussi annuali (art. 3, comma 4 del T.U.sull’Immigrazione).
Da nessuna parte nel testo della legge c.d. Bossi-Fini si parla di questo tipo di requisito con riferimento a chi è già regolarmente soggiornante in Italia e si appresta ad essere assunto presso un nuovo datore di lavoro o a rinnovare il pds.
È solo con il successivo regolamento di attuazione (dpr 31 agosto 1999, n.394 come modificato dal dpr 18 ottobre 2004, n. 334) che si prevede la estensione dei requisiti del contratto di soggiorno, anche a chi è già regolarmente soggiornante in Italia e deve semplicemente cambiare datore di lavoro o rinnovare il pds (si vedano gli artt. 13, comma 2 bis e 36 bis, del dpr 99/394).
Ma così facendo il regolamento di attuazione è andato ben oltre i limiti previsti dalla normativa generale considerato che lo stesso può solo attuare una legge, ma non può inventare nuovi limiti, prescrizioni e obblighi.
Da questo punto di vista il giudice avrebbe potuto addirittura disporre la disapplicazione del regolamento di attuazione potendolo ritenere illegittimo per eccesso di delega, avendo il governo abusato della delega conferita dalla legge.

Nel provvedimento in commento si sottolinea inoltre che l’art. 35 del regolamento di attuazione prevede che il lavoratore in sede di sottoscrizione del contratto di soggiorno, deve presentare la sola “richiesta (rectius l’attestazione della presentazione della richiesta alla competente autorità amministrativa) di certificazione d’idoneità alloggiativa” e non il certificato definitivo. Sicchè a maggior ragione – osserva il giudice – è illegittimo il rifiuto del datore di lavoro di avviare al lavoro l’interessata che stava già prestando la sua attività presso l’impresa precedentemente titolare dell’appalto.