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Commento alla decisione della Corte Costituzionale relativa ai provvedimenti amministrativi di espulsione da eseguirsi con accompagnamento coattivo alla frontiera

Abbiamo dato più volte notizia di questioni di illegittimità costituzionale sollevate da diversi tribunali relativamente non solo alla legge Bossi – Fini, ma più in generale, alla normativa disciplinante l’immigrazione.
I dati sul numero delle questioni poste all’esame dalla Corte Costituzionale sono stati nel frattempo aggiornati e se, fino a poco tempo fa si parlava di 460 ordinanze da esaminare, notizie non ancora ufficiali ci dicono che si è arrivati ad oltre 674 ordinanze trasmesse alla Corte Costituzionale per l’esame della legittimità di numerosi profili di applicazione ed interpretazione della legge Bossi – Fini.

Recentemente si è avuta notizia di una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara la illegittimità costituzionale della espulsione coattiva dell’immigrato con accompagnamento a mezzo della forza pubblica fuori dal territorio italiano, laddove sia eseguita senza un provvedimento di effettiva convalida da parte del magistrato, ovvero senza che l’interessato sia sentito a sua difesa.

La violazione rilevata riguarderebbe l’art. 13 della Costituzione che vieta tassativamente le limitazioni della libertà personale, che siano applicate da parte delle autorità competenti senza il controllo della magistratura. Lo stesso in particolare prevede che non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
La decisione in realtà non riguarda nello specifico la legge Bossi – Fini, ma un’altra norma che – di fatto usata come “ apripista” rispetto alla nuova legge sull’immigrazione – è stata approvata d’urgenza dal governo di centro destra, poco tempo prima dell’approvazione della Bossi – Fini stessa. Si tratta della legge 7 giugno 2002, n. 206 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, concernente disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera, G.U. n. 133 dell’8 giugno 2002) che ha modificato (art. 2) la formulazione originaria del Testo Unico del 1998 inserendovi l’art. 13, comma 5 bis, ove si dispone che in tutti i casi in cui l’esecuzione del provvedimento amministrativo di espulsione deve avvenire con la modalità dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. Il tribunale in composizione monocratica, verificata la sussistenza dei requisiti, convalida il provvedimento entro le quarantotto ore successive alla comunicazione.

Si ricorda in tal senso che già la legge Turco – Napolitano prevedeva nel testo originario la modalità dell’espulsione con accompagnamento coattivo o forzato alla frontiera, e disponeva che il provvedimento potesse essere eseguito senza alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria. Si poteva pertanto verificare il caso di un provvedimento di espulsione eseguito immediatamente, senza che l’interessato dovesse passare attraverso i centri di permanenza temporanea (CPT); ciò perché magari era immediatamente disponibile il mezzo di trasporto o il soggetto da espellere era già identificabile e munito di documenti che potessero consentirne l’espatrio. E’ ovvio comunque – sia che vi sia l’internamento in un Cpt, sia nel caso di esecuzione immediata del provvedimento di espulsione – che siamo di fronte ad una restrizione della libertà personale; in altre parole l’espellendo viene preso con la forza e, se oppone resistenza, commette un reato.
Il concetto di restrizione della libertà personale non è quindi riferibile unicamente alla condizione del soggetto arrestato o detenuto in senso tecnico, ma è riferibile anche a qualsiasi condotta o azione direttamente incidente sulla libertà personale che il soggetto debba subire senza poter opporre resistenza o senza potervisi sottrarre.

La legge Turco – Napolitano già allora aveva fatto sollevare obiezioni rispetto alla compatibilità di tale disciplina con i principi generali sanciti dalla Costituzione, in particolare con il principio previsto dall’art. 13 sopra citato.

Con la legge 106/2002 prima menzionata, il governo di centro destra ha messo come si suol dire “le mani avanti”, tentando maldestramente di evitare, attraverso l’inclusione nel T. U. della previsione di cui all’art. 13, comma 5 bis sopra riportato, che fossero sollevate questioni di legittimità costituzionale che potessero ostacolare l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione.

Si precisa però che non si era previsto espressamente che nell’ambito del procedimento di convalida, dovesse necessariamente essere sentito personalmente lo straniero interessato dall’espulsione, per consentirgli di esercitare il diritto alla difesa e di fare le sue osservazioni in merito. Addirittura era consentito che il provvedimento di convalida stesso fosse adottato da parte dell’autorità giudiziaria, sempre entro il termine di 48 ore, ma, magari, ad espulsione già avvenuta. legge 7 giugno 2002, n. 206
In altre parole, considerato che la convalida era una pura proforma – non comportando, si ripete, la presenza del soggetto sottoposto alla limitazione della libertà personale per consentirgli la sua difesa – poteva avvenire anche ad espulsione già avvenuta, dato che la stessa si limitava sostanzialmente a constatare la regolarità formale – per così dire – del provvedimento di espulsione.

E’ pertanto importante evidenziare che la Corte Costituzionale, con una sentenza la cui motivazione non è ancora disponibile – ma che sicuramente considera le argomentazioni sopra riportate -, ha ritenuto necessaria una convalida effettiva del provvedimento di espulsione da parte dell’autorità giudiziaria.
La convalida quindi deve sempre precedere il provvedimento di espulsione – non è possibile immaginare una convalida formale ad espulsione già eseguita – e deve sempre consentire l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’interessato; non si tratta di un semplice sfizio da garantisti o di una semplice argomentazione elaborata per dare fastidio a chi vorrebbe ben governare, ma di un principio fondamentale.

Diversamente, come è avvenuto sinora, non è consentito un pieno ed effettivo controllo da parte dell’autorità giudiziaria, ma si mette la stessa in condizione di limitarsi a controllare che un pezzo di carta sia ben fatto e che, in altre parole, l’espulsione sia adottata dal prefetto ed eseguita dal questore, non vi sarà nemmeno la possibilità di verificare se la polizia ha commesso degli errori; e di errori può capitare – trattandosi di grandi numeri – di commetterne. Del resto quando si lavora con il cronometro (quando c’è un aereo che deve partire e che è necessario riempire), è chiaro che forse si corre il rischio di non avere il tempo di fare le opportune verifiche ed è, quindi, possibile trascurare alcuni particolari che forse non sono tanto importanti per gli operatori del settore, ma sono di importanza vitale per chi può vedere vanificato un proprio progetto di vita e per chi, soprattutto, in realtà vive legalmente in Italia, ma non ha la possibilità di dimostrarlo perché gli viene negato il diritto di parlare con il magistrato e di far disporre verifiche che, magari, non sono state precedentemente effettuate.

Proviamo di seguito a delineare alcune situazioni che potrebbero essere evitate se fosse garantito un diritto di difesa effettivo e, soprattutto, se fosse consentita la temporanea sospensione entro 48 ore, al fine di consentire la convalida effettiva del provvedimento di espulsione da parte del magistrato.

Il caso di un cittadino pakistano e la scarsa conoscenza delle norme delle forze di polizia
Tempo fa ho assistito un cittadino pakistano, da anni regolarmente soggiornante in Italia, che lavora, paga le tasse, i contributi, il mutuo della casa, ecc.
Dopo alcuni anni, il padre ha deciso di venire in Italia – con visto d’ingresso per turismo – per conoscere il nipote e rivedere suo figlio. Ebbene, il giovane cittadino pakistano è partito con il treno dal Veneto per andare a ricevere il padre in aeroporto a Roma e, dovendo viaggiare di notte, ha preferito lasciare a casa il permesso di soggiorno per evitare che potesse essergli rubato, essendo noto che durante le tratte notturne è possibile che vi siano dei borseggi; ha quindi viaggiato munito della carta d’identità italiana.
Il possesso della stessa dimostrava già ampiamente che egli era regolarmente soggiornante in Italia (specie se si considera che essa viene normalmente rilasciata con durata di validità corrispondente a quella del permesso di soggiorno), ma ciò evidentemente non è bastato alla polizia di frontiera dell’aeroporto, magari per insufficiente conoscenza delle norme. Infatti, non potendo esibire in quel momento il permesso di soggiorno e pure avendo riferito non solo i dati dello stesso e la questura lo aveva rilasciato – dati che avrebbero consentito, in base ad un semplice controllo al terminale, di verificare la regolarità del suo soggiorno – egli è stato colpito dal provvedimento di espulsione
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Per pura fortuna il cittadino pakistano non è stato caricato sullo stesso aereo da cui proveniva il padre – forse perché i posti erano già tutti prenotati – e, quindi, espulso con la forza verso il suo paese. Di conseguenza egli ha potuto ricorrere avverso il provvedimento di espulsione stando in Italia ed ottenere giustamente l’annullamento del medesimo (comunque a sue spese !).
Si precisa peraltro che, diversamente, la difesa successiva all’eseguita espulsione sarebbe risultata molto più complicata e peraltro più onerosa. E’ difficile immaginare che l’interessato sarebbe riuscito dall’estero ad individuare un avvocato (che gli garantisse un’assistenza adeguata ed efficace, nei tempi strettissimi al fine di promuovere il ricorso), formalizzare un incarico, vincere il ricorso e ottenere poi un visto di reingresso con tempi di attesa facilmente immaginabili; ancora più difficile immaginare un effettivo risarcimento di tutti i danni subiti. Pensiamo per esempio ai costi di trasporto, ma anche a conseguenze ancor più gravi, poiché nel frattempo l’interessato avrebbe potuto perdere il posto di lavoro e, non pagando l’affitto, perdere anche l’abitazione ottenuta con notevoli sforzi.

Si può bene immaginare che se in un caso come questo fosse stata prevista e applicata un’effettiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria, qualsiasi magistrato avrebbe sicuramente disposto la verifica sul possesso del permesso di soggiorno ed avrebbe rifiutato la convalida dell’espulsione, non considerando legittimo il provvedimento che, quindi, avrebbe dovuto essere ritirato.
Ma questo non sarebbe avvenuto sulla base della normativa che è stata applicata fino ad oggi e che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima.
Infatti, in base alla suddetta, il magistrato si sarebbe trovato sul tavolo (ai fini della convalida) soltanto un pezzo di carta e avrebbe potuto soltanto controllare se il medesimo era scritto bene; il punto è che ci sarebbe stato scritto che lo straniero era privo del permesso di soggiorno e si tratteneva sul territorio italiano in condizioni irregolari.
In mancanza di un contraddittorio – cioè senza poter sentire l’altra parte interessata – il magistrato avrebbe infatti dovuto necessariamente fidarsi di quanto detto erroneamente dalla autorità di polizia, convalidando il provvedimento di espulsione.
Peraltro la convalida non avrebbe comunque influito – perfino nel caso in cui il magistrato avesse ritenuto di rifiutarla – sulla effettività dell’espulsione, perché nel frattempo la stessa avrebbe potuto benissimo essere eseguita, costringendo l’interessato a promuovere un ricorso dal Pakistan, con tutte le difficoltà che sono state prima delineate.

Il caso di una ragazza nigeriana regolare, espulsa dopo essere stata prelevata dal lavoro
Affrontiamo ora un ulteriore esempio di come la mancanza di un esercizio effettivo del diritto di difesa possa comportare, sia pure involontariamente, abusi ed ingiustizie. Ci viene esposto il caso da un cittadino italiano che vive a La Spezia e che ci riferisce quanto è accaduto alla sua ragazza.

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