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Commento alle modalità di espulsione con accompagnamento alla frontiera

Diamo conto di un comunicato stampa del 31 maggio scorso (comunicato congiunto del Sindacato italiano lavoratori di Polizia (Silp) e della Cgil Lombardia) che ha fornito non solo una serie di dati sulla lista d’attesa per il rilascio del permesso di soggiorno ai migranti nella Regione Lombardia, ma anche delle osservazioni interessanti relativamente alle spese e alle modalità di utilizzo dei provvedimenti di espulsione con accompagnamento alla frontiera.

Sono state infatti illustrate le proposte del sindacato di Polizia sul problema delle pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno e i dati provenienti dalle Province sui tempi di espletamento delle pratiche stesse e sulla presenza dei lavoratori extracomunitari. Questa raccolta di dati si è basata su una ricognizione capillare svolta dai centri stranieri delle Camere del lavoro che sono diffusi in tutta la Regione Lombardia e dal confronto coi dati forniti da altre associazioni e di istituzioni.

Secondo le indicazioni fornite, in Lombardia sono presenti 580 mila immigrati in condizione di soggiorno regolare ai quali vanno aggiunti – in base alle stime – circa 60 mila irregolari.
A poca distanza dalla chiusura di una massiccia regolarizzazione (la più grande che si sia vista nella storia italiana), abbiamo quindi accumulato un aliquota di oltre il 10% – rispetto alla presenza di regolari – di immigrati in condizione irregolare; è un segno evidente che qualcosa non funziona.
Viene sottolineato poi come la normativa adottata dalla legge Bossi – Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189), stia producendo con rapidità sorprendente una grande quantità di irregolari tra coloro che devono rinnovare il permesso di soggiorno.

A questo riguardo anche la Corte dei Conti, nel formulare le proprie osservazioni relativamente ai regolamenti di attuazione della Bossi – Fini stessa – come si accenna nel comunicato stampa -, osserva come pure in presenza di un fenomeno che ha caratteristiche strutturali come l’immigrazione (e come dovrebbe essere riconosciuto ormai da tutti) c’è invece una politica che affronta il fenomeno con logiche di pura emergenza, spendendo ben 230 milioni di euro destinati ad attività di sicurezza e contrasto che in altre parole sono assorbiti, quasi esclusivamente, da tutto il sistema di esecuzione dei provvedimenti di espulsione, dei Cpt e dalle relative attività di accompagnamento. Peraltro – sottolinea il Sindacato di Polizia – in questo modo si sottraggono almeno 700 operatori di Polizia ad attività che potrebbero essere invece utilizzate per tutelare la sicurezza dei cittadini anziché vessare persone che non stanno svolgendo alcuna attività illecita e normalmente stanno lavorando e producendo ricchezza in Italia.

I tempi del rinnovo e la durata dei pds
Un’osservazione molto importante è quella che riguarda i tempi di rinnovo del permesso di soggiorno e la loro durata.
Le due questioni sono strettamente collegate, perché la riduzione del periodo di durata del permesso di soggiorno introdotta dalla legge Bossi – Fini (che ha agganciato la durata del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro), accompagnata all’aumento delle pratiche relative ai cittadini immigrati dovute all’ultima sanatoria, ha aumentato in maniera esponenziale il carico di lavoro degli uffici immigrati delle questure; e ciò per un motivo molto semplice.
Gli immigrati complessivamente presenti sul territorio sono costretti a tornare più volte negli uffici per rinnovare più frequentemente i permessi di soggiorno. Questo naturalmente non ha mancato di intasare le questure, producendo tempi di rinnovo lunghissimi. Nel frattempo gli immigrati difficilmente trovano un lavoro regolare e sono, quindi, “costretti” ad accettare offerte di lavoro nero.

Peraltro la mancanza di un regolamento applicativo (che avrebbe dovuto essere emanato entro sei mesi dall’approvazione della legge Bossi – Fini) lascia spazio alle più varie interpretazioni della normativa sul rinnovo del permesso di soggiorno, producendo naturalmente dei comportamenti differenziati tra le diverse questure.

Alcuni esempi pratici
– Un’assistente domiciliare che ha fatto la regolarizzazione, se cambia datore di lavoro non ha diritto al rinnovo del permesso di soggiorno se non in caso di decesso dell’anziano assistito.
Addirittura, secondo la Questura di Cremona, una badante non potrebbe cambiare datore di lavoro nemmeno se continuasse ad operare nel lavoro domestico e ciò potrebbe essergli consentito ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, solo nel caso di documentato decesso del precedente datore di lavoro.

– La decorrenza del rinnovo del permesso di soggiorno non inizia dalla data di scadenza del permesso stesso – come sarebbe naturale secondo il buon senso – ma dalla data di assunzione; ciò secondo una prassi applicata dalla Questura di Mantova nel caso in cui sia stato cambiato datore di lavoro nel corso della validità del permesso di soggiorno.
– A Bergamo chi ha fatto la regolarizzazione con la legge Bossi – Fini per ottenere il rinnovo deve avere un contratto di almeno un anno o a tempo indeterminato, e non può svolgere lavoro autonomo.Questa è una situazione che si verifica anche a Padova, Vicenza e in tantissime altre questure.

C’è poi il problema che durante il tempo di attesa del rinnovo del permesso di soggiorno non è possibile fare tutta una serie di cose come, ad esempio, tornare nel paese d’origine nel periodo estivo per le vacanze; e ciò nemmeno se l’azienda chiude, come normalmente succede nel mese di agosto, e assegna le ferie ai lavoratori che sono obbligati ad utilizzarle in quel periodo. Senza contare poi l’ impossibilità di muoversi e di tornare temporaneamente nel proprio paese, magari per far fronte a gravi problemi famigliari o urgenze.
In questo modo peraltro non solo si “paralizzano” le persone, ma, soprattutto, si produce inevitabilmente una forma di irregolarità perché, in un modo o nell’altro, le stesse saranno portate, per i motivi di cui sopra, a uscire dall’Italia, e a rientrarvi magari anche sottostando a qualche organizzazione poco lecita.

Il possesso del tagliando di prenotazione per il rinnovo del permesso di soggiorno non consente, di fatto, di poter cambiare lavoro, nel senso che questo sarebbe possibile e lecito oggi secondo la nuova formulazione dell’art. 22, comma 12, del Testo Unico sull’Immigrazione, ma la stragrande maggioranza dei datori di lavoro risponde a colui che si candida ad essere assunto, “torna quando avrai il permesso di soggiorno rinnovato”. Questo perché gli stessi non vogliono rischiare di occupare una persona che poi si potrebbe vedere rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno.Il possesso del tagliando di prenotazione comporta anche conseguenze indirette per quanto riguarda la fruizione dell’assistenza sanitaria. Durante la fase del rinnovo del pds infatti, le Asl rinnovano l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, per un tempo limitato (normalmente tre mesi) rifiutando di rinnovarlo ulteriormente (in attesa che il pds sia rinnovato).
Ma è palesemente assurdo pretendere che si debba rinnovare per soli tre mesi l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, quando poi, per fare un esempio, a Venezia si attendono dodici mesi per avere il permesso di soggiorno rinnovato, senza aver fatto nulla di male.

Nel frattempo ci sono problemi anche per quel che riguarda l’iscrizione anagrafica. Molti Comuni (qualcuno addirittura discostandosi da indicazioni già fornite da alcune questure) rifiutano di rinnovare l’iscrizione anagrafica nel caso di permesso di soggiorno scaduto, pure a fronte della presentazione della ricevuta di prenotazione, disponendo quindi la cancellazione dai registri dell’anagrafe della popolazione residente. Ciò comporta ulteriori problemi di vario genere quali, ad esempio, difficoltà per ottenere o richiedere la conversione della patente, perché gli uffici delle Motorizzazioni civili, a loro volta, chiedono normalmente, sia pure a torto, il permesso di soggiorno in corso di validità. Si evidenzia comunque il caso della Motorizzazione di Firenze che, diversamente, ammette anche il semplice possesso della ricevuta attestante il rinnovo in corso.
E’ evidente pertanto come tale situazione comporti tutta una serie di questioni legate anche alla vita quotidiana dell’immigrato.
In particolare la permanenza coatta nel territorio italiano cui sono sottoposti gli immigrati, è il problema che forse più di tutti grida vendetta; lo stesso, invero, potrebbe trovare una soluzione fin troppo semplice e a portata di mano. Talmente a portata di mano che alcune Questure, senza dover attendere modifiche della legge, hanno adottato delle soluzioni sicuramente di buon senso.

Una soluzione di buon senso
La Questura di Pavia, ad esempio, ha già stabilito una regola generale per cui a chi ha il permesso di soggiorno in scadenza ed ha già chiesto il rinnovo, rilascia direttamente la proroga del permesso di soggiorno, che, quindi, mantiene tutta la sua validità consentendo all’immigrato anche di tornare nel paese d’origine e successivamente di rientrare in Italia.
Tale proroga di validità viene fatta in modo molto semplice contemporaneamente al rilascio della ricevuta della domanda del rinnovo del permesso di soggiorno, con l’apposizione sul permesso di soggiorno originale di un timbro che, appunto, proroga la validità del pds fino alla data coincidente con l’appuntamento assegnato allo straniero per il rinnovo.
Esempio pratico – Se uno straniero ha un permesso di soggiorno che scade a giugno e l’appuntamento in questura per il rinnovo è fissato ad ottobre, si vedrà apposto sul p.d.s. un timbro (un’autorizzazione temporanea) che proroga la validità del permesso di soggiorno direttamente fino alla data dell’appuntamento fissato in ottobre. Quindi con quel pds in corso di validità, sia pure prorogato per poco tempo, ha la possibilità di fare le ferie a casa sua e di rientrare in modo regolare in Italia.

Una soluzione di questo genere sembra possa essere perfezionata anche dall’ufficio immigrazione della Questura di Padova, che ha preso seriamente in considerazione le osservazioni a questo riguardo e che deve fare i conti “solamente” con 10 mila permessi di soggiorno da rinnovare nell’arco dell’estate e, quindi, con altrettante persone che normalmente lavorano, hanno le ferie assegnate in agosto o luglio e che, giustamente, non vedono l’ora di tornare a casa loro; specialmente se si tratta di persone che avendo ottenuto la regolarizzazione, sono state costrette a rimanere per molto tempo in Italia senza potersi muovere e quindi senza poter visitare i loro parenti, prossimi congiunti.

Si tratta evidentemente di soluzioni di semplice buon senso e che, a ben guardare, trovano un preciso fondamento nei principi giuridici del nostro ordinamento.
C’è chi dice che il permesso di soggiorno quando è scaduto non consente più l’esercizio di nessuna facoltà e, quindi, non permette nemmeno di uscire dal territorio italiano per poi rientrarvi.
Il problema è molto semplice però. Situazioni come quelle delineate si verificano semplicemente perché le persone sono costrette a sopportare tempi di attesa molto più lunghi di quelli previsti dalla legge. Anche una persona che si presenta nei termini previsti dalla legge per chiedere il rinnovo in anticipo rispetto alla scadenza del pds, è infatti costretta normalmente ad attendere un tempo molto più lungo. E anche chi, al fine di prevenire in qualche modo questo tipo di rischio, si presenta in anticipo – proprio calcolando il tempo di rinnovo e, quindi, il momento in cui gli serve il permesso di soggiorno per andare a casa sua – non riesce ad ottenere il rinnovo.

D’altra parte non gioverebbe in tal senso presentare un’istanza di sollecito, sia pure giustificando la possibilità di tornare nel paese d’origine. Si tratterebbe infatti della stessa motivazione che tutti quelli che sono in attesa del rinnovo del pds potrebbero addurre; ne discende che, se tutti chiedono un’anticipazione dei tempi, è come se nessuno la chiedesse, perché nessuno la potrebbe ottenere….ovviamente!.

Questo di certo non giova a nessuno. Da una parte non giova sicuramente ai lavoratori immigrati, alle loro famiglie e alla loro serenità che dovrebbe essere la peculiarità propria delle ferie di ogni lavoratore; dall’altra non giova naturalmente all’ordine pubblico e al controllo del territorio.

Facciamo di seguito una considerazione molto semplice.
Se una persona ha un permesso di soggiorno in corso di validità, e, entro la scadenza, seguendo le prescrizioni della legge, si presenta correttamente in questura per chiederne il rinnovo e ottiene un biglietto di prenotazione (quindi una ricevuta che attesta l’avvenuto adempimento di un obbligo previsto dalla legge) e, nonostante ciò, non riesce ad ottenere tempestivamente il rinnovo del soggiorno, si può forse dire che è in condizione irregolare?
Indubbiamente no. Credo invece che la sua condizione di soggiorno sia perfettamente regolare e che la medesima abbia il diritto di stare in Italia per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Ma se si deve considerare in una condizione di soggiorno regolare, non si vede perché non dovrebbe esercitare tutte le facoltà e le prerogative che sono riconosciute ad uno straniero che soggiorna regolarmente quali quella di lavorare, di spostarsi sul territorio, quella di poter tornare a casa propria temporaneamente e di rientrare in Italia.

Ecco che quindi la soluzione di prorogare o meglio di apporre un semplice timbro sul permesso di soggiorno (che valga come proroga del soggiorno fino alla data in cui si avrà la possibilità di ottenere la risposta sulla richiesta di rinnovo) non è altro che un’applicazione di un principio di piena legalità. Significa riconoscere ciò che dovrebbe essere già pacifico, ovvero la legittimità della posizione di soggiorno della persona nel tempo di attesa della risposta relativa al rinnovo del permesso di soggiorno.
Legittimità che dovrebbe quindi garantire tutte le stesse prerogative che sono riconosciute ad uno straniero legalmente soggiornante, in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità. Infatti non avrebbe senso pensare che durante l’attesa del rinnovo del soggiorno – e pur potendo confidare legittimamente in un rinnovo – lo straniero abbia dei diritti limitati rispetto a quelli di cui gode uno straniero che ha un soggiorno in corso di validità.
Questa idea, in qualche modo repressiva, non trova nel nostro ordinamento giuridico alcun fondamento, anche se purtroppo trova nella mentalità di molti ampia giustificazione.

Ci auguriamo che questa soluzione di buon senso possa essere esportata in molte altre questure e possa essere con maggior forza proposta come valido esempio da associazioni e organizzazioni non governative… ma perché no, anche dalle istituzioni locali.

Vorremmo tanto sperare che le vacanze estive di quest’anno fossero le vacanze di tutti i lavoratori, anche dei lavoratori extracomunitari.