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Identità pericolose in una legislazione sbrigativa e poco efficace

Di fronte ai fatti di oggi, a emergenze e sicurezze di ogni tipo, a ondate xenofobe, a rigidi decreti, a espulsioni ed esclusioni che incombono, ad allarmismi mediatici, da dove partire per districarci all’interno di una complessità sociale ricca di codici e misure?

Negli anni ’80 l’arrivo dei primi immigrati ha portato a proposte legislative sbrigative e poco efficaci.
Anche negli anni ’90 con l’aumento dell’afflusso dei migranti vennero adottati dei provvedimenti di ordine pubblico che contribuirono a far maturare un crescente atteggiamento di ostilità da parte dell’opinione pubblica verso gli immigrati. Si trattava soprattutto di immigrati albanesi: nel 1991 il rimpatrio di centinaia di albanesi, nel 1995 le brigate dell’esercito pattugliano le coste pugliesi per bloccare i “clandestini”, nel 1997 il blocco navale delle coste per fermare i profughi con militari che presidiano l’Albania. A questi fatti, stampa, movimenti e schieramenti politici di destra (pensiamo alla Lega Nord) contribuiranno a diffondere negli anni successivi paura, repulsione ostilità che si acuirono con il decreto Dini del 1995 e la legge Turco-Napolitano nel 1998.

Il decreto “ ha sancito il principio della chiusura delle frontiere e delle espulsioni come risposte all’emergenza (…) restrizioni degli ingressi (quote, lavoro stagionale, concessione del permesso di lavoro in base ad una garanzia fornita da un datore di lavoro italiano)”.
La legge nella sostanza “riconferma e razionalizza la logica della chiusura perché introduce l’espulsione dei sospetti o dei soggetti socialmente pericolosi e soprattutto l’istituzione dei campi di detenzione per gli stranieri in attesa di espulsione”.

Fu la volta poi degli immigrati di origine araba, soprattutto dopo l’11 Settembre 2001 l’equazione “islam-terrorismo” è divenuta la parola che ha coordinato i tanti mezzi di comunicazione fino a divenire un esempio-modello di irrigidimento nei confronti di quei migranti, la cui peculiarità era quella di essere di religione islamica. La differenza è incisa sull’esclusione e si è tramutata nell’aumento di misure e controlli.

Oggi, in queste settimane, quell’equazione è stata rimpiazzata da “rumeni-criminali”, travolgendo in quest’onda caotica anche i Rom (almeno 7 milioni in Unione Europea) che un po’ ovunque nelle nostre città stanno pagando il prezzo di semplificazioni e generalizzazioni a suon di sgomberi. E nel caos di questo mondo globalizzato e migrante molti sono coloro che si aggrappano ad un’identità, nazionale, religiosa o razziale che sia. In un’epoca fragile come l’attuale, la tendenza a chiudersi all’interno di patrie ed identità nazionali ci porta a giocare con il fuoco, fino a quando anche le paure e gli odi xenofobi divengono pericolose identità.

E quando il prossimo Dicembre cadranno le frontiere con altri nove paesi europei, cosa diremo? Parleremo di nuove ondate delinquenziali magari polacche o slovene?

Nella nostra Europa, dove migliaia di persone muoiono per raggiungerla e dove migliaia vivono in condizioni di povertà, emarginazione e discriminazione in materia di alloggio, sanità, educazione, forse è il rispetto per gli uomini e le donne la peculiarità che ci può caratterizzare come civili.