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Il caso di una ragazza nigeriana regolare, espulsa dopo essere stata prelevata dal lavoro

La signora di cui al quesito, pur comportandosi in maniera perfettamente lecita, si trova ora costretta a “fare la coda” al Consolato Italiano in Nigeria per tentare di formalizzare una procura (delega autenticata dal Console) per un avvocato che in Italia possa promuovere il ricorso entro il termine di 60 giorni dall’espulsione.
La signora dovrà poi attendere che:
– il ricorso venga deciso dal competente tribunale;
– che il relativo provvedimento venga depositato e notificato in copia autentica all’autorità di polizia;
– che il prefetto disponga il nulla osta al reingresso in Italia.
E ciò sempre che tutto questo venga fatto risultare alla competente rappresentanza consolare italiana.
I danni subiti dalla signora verosimilmente non li risarcirà nessuno.

Probabilmente tutto ciò è avvenuto in buona fede per un semplice errore, diciamo forse anche per negligenza da parte degli operatori competenti. Certo è che non è possibile fissare una regola che non esiste nella nostra legge. Non si può ritenere che la mancata disponibilità immediata del permesso di soggiorno – il fatto che lo straniero non abbia al momento del controllo con sé il pds – possa comportare automaticamente la sua espulsione, facendo di uno straniero regolarmente soggiornante un semplice clandestino; ciò perché tale sanzione, non è prevista dalla legge e, quindi, non si può fare ciò che non è dalla stessa stabilito.

La fretta di espellere
E’ frequente il fenomeno per cui vengono colpite dal provvedimento di espulsione le persone che non hanno con sé il permesso di soggiorno; è vero che la legge prevede che lo si debba sempre avere con sé, ma non dispone però che la sanzione per mancata disponibilità immediata del permesso di soggiorno sia l’espulsione.
Non è scritto da nessuna parte che lo straniero che viene “beccato” senza il permesso di soggiorno in quel momento –e pure avendolo a casa– deve essere espulso; non è prevista una sanzione specifica e, quindi, non si può certo inventare una norma che non esiste.
Eppure succede frequentemente che cittadini stranieri vengano sottoposti a controlli di polizia in luoghi soggetti ad intenso traffico di persone, come stazioni ferroviarie, fiere e mercati e, nel momento in cui si verifica che non hanno con sé il pds, si adotta il provvedimento di espulsione, nonostante queste persone dichiarino di averlo a casa.
Ci viene riferito inoltre che è modalità frequente quella di non consentire alle persone – nemmeno se accompagnate dalle forze di polizia – di passare da casa per esibire il permesso di soggiorno. Evidentemente in situazioni di questo genere – mancando una convalida effettiva da parte del magistrato competente – si può frequentemente dar luogo ad un’espulsione arbitraria eseguita coattivamente, senza che vi sia nessun tipo di difesa preventiva.

I minori
Un recente rapporto di Medici senza Frontiere ha segnalato che presso i Centri di Permanenza Temporanea per espellendi si trovano anche soggetti minorenni. Noi sappiamo che la legge vieta l’espulsione dei minorenni (art. 19 T.U. sull’Immigrazione) eppure – nel caso in cui non vi sia il transito presso un CPT , ma addirittura si provveda all’espulsione immediata con accompagnamento forzato alla frontiera – la mancanza di un effettivo controllo da parte dell’autorità giudiziaria può consentire che vengano erroneamente eseguite espulsioni nei confronti di persone che non sono espellibili.

I richiedenti asilo
Le stesse considerazioni possono essere fatte per le persone che ad esempio – purtroppo non sono poche le situazioni di questo genere – hanno un fondato timore di essere perseguitate o sottoposte a trattamenti disumani e degradanti per motivi politici, religiosi o razziali, a seguito dell’espulsione.

Altre ipotesi
Altra ipotesi che possiamo fare è quella del cittadino straniero privo di permesso di soggiorno che però si trovi in una delle condizioni previste dall’art. 19 T. U. sull’Immigrazione, che stabilisce il divieto di espulsione in casi determinati quali, ad esempio, le persone conviventi con il coniuge o parente italiano entro il quarto grado (art. 19, comma 2, lett. c)) o le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi la nascita del figlio cui provvedono (art. 19, comma 2, lett.d)).

Si vuole in questa sede evidenziare che qualora queste situazioni non vengano accertate da parte dell’autorità di polizia e, quindi, per errore venga disposta l’espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera, non vi è attualmente un filtro effettivo che consenta di far valere queste ragioni e quindi di bloccare l’espulsione prima che venga eseguita.

Molte altre questioni dovranno essere affrontate dalla Corte Costituzionale, anche in materie diverse dall’espulsione, anche se è comprensibile che debba essere data la precedenza a quelle che hanno un maggiore riferimento diretto alla libertà personale: giustamente, prima ci si occupa dei problemi più gravi e poi di quelli relativamente “meno gravi”.
Sono peraltro ancora tutte da scoprire le questioni di legittimità costituzionale che potranno essere sollevate quando la legge Bossi-Fini diventerà operativa, sia per quanto riguarda i richiedenti asilo – ci si riferisce alla nuova procedura che dovrà essere seguita dalle commissioni territoriali ed al regolamento di attuazione in materia di riconoscimento dello status di rifugiato – sia relativamente all’attuazione del previsto contratto di soggiorno.

Il contratto di soggiorno – Ricordiamo a tal proposito che in base alla nuova disciplina, non ancora applicata, per procedere alla stipula e al rinnovo del contratto di soggiorno, è necessario non solo che lo straniero si sia comportato bene, stia lavorando in regola e pagando le tasse, ma anche che lo stesso abbia una casa sufficientemente confortevole in base ai parametri regionali di edilizia residenziale pubblica, cosa che rappresenta evidentemente una discriminazione rispetto ai cittadini italiani. E’ infatti ovvio che questi ultimi possono lavorare legalmente anche se dormono sotto un ponte, mentre – chissà perché – un cittadino extracomunitario non può lavorare legalmente se non ha un alloggio che sia anche sufficientemente confortevole e, tutti potranno comprendere, abbastanza costoso.