Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Ricongiungimento familiare – Commento alla sentenza del Tribunale di Milano n. 8909 del 6 luglio 2007

a cura dell'Avv. Marco Paggi

Una sentenza molto interessante del Tribunale di Milano, prima sezione civile, la numero 8909 del 6 Luglio 2007. prodotta da una causa pilota riguarda il caso di un cittadino straniero regolarmente soggiornante che, in possesso di tutti i requisiti, aveva richiesto l’autorizzazione alla ricongiunzione familiare in favore della moglie.
Si tratta di un cittadino marocchino regolarmente stabilito in Italia che in data 21 giugno 2002 aveva richiesto il ricongiungimento familiare, pur tuttavia il visto d’ingresso alla moglie è stato rilasciato solamente in data 3 febbraio 2004, dopo un periodo di quasi due anni.
Tra l’altro questo visto d’ingresso è stato rilasciato con fatica e non solo con lentezza (usare il termine lentezza suona come un delicato eufemismo rispetto ad un tempo assolutamente intollerabile per realizzare quello che è un diritto soggettivo alla ricongiunzione familiare per una persona regolarmente soggiornante, che lavora, che ha già dimostrato di avere un lavoro regolare, di pagare le tasse, i contributi, di avere un alloggio idoneo anche per ospitare la moglie). Dopo tutto questo tempo la procedura ha avuto un epilogo non senza la necessità di procedere, stante l’impossibilità per il familiare interessato persino di avvicinarsi al Consolato italiano di Casablanca per la consegna dei documenti e la prenotazione di un appuntamento per il rilascio del visto.

Come è noto, questo è un argomento già trattato tempo fa, il Consolato italiano di Casablanca è stato chiuso per molti mesi: un avviso esposto fuori dalla porta diceva che fino a data da stabilire il Consolato sarebbe rimasto chiuso e quindi non funzionando non avrebbe ricevuto nessun documento.
L’interessato ha dovuto fare un ricorso davanti all’autorità giudiziaria per ottenere quindi un titolo esecutivo a rilascio del visto, ha dovuto cioè rivolgersi al Tribunale di Milano per ottenere un provvedimento, un ordine nei confronti del Consolato Italiano e nei confronti del Ministero degli Esteri affinché fosse rilasciato il visto d’ingresso.
Peraltro l’interessato ha dovuto ripetere ex-novo la domanda di nulla osta di ricongiungimento perché, anche questo è un paradosso della burocrazia, l’autorizzazione che aveva ottenuto e che intendeva far valere mandando la moglie con l’autorizzazione in originale presso il Consolato per ottenere il visto, aveva validità di sei mesi e quindi ha dovuto rinnovare la domanda per ottenere nuovamente un nulla osta e rimandare ancora una volta la moglie al Consolato italiano per ottenere il visto d’ingresso.
La domanda è stata accolta il 9 ottobre 2003 e quindi, ci riferiamo sempre a date riportate nella sentenza, seguire il rilascio del visto d’ingresso in data 6 febbraio 2004.
Quindi, a partire dal momento in cui fisicamente la moglie del ricorrente è riuscita ad entrare nel Consolato Italiano è trascorso un periodo di quasi 4 mesi.
A questo punto, sul presupposto che se l’originario nulla osta avesse avuto adeguato riscontro, (quello rilasciato per primo, sempre se non fosse stato necessario richiedere nuovamente un nulla osta per sopravvenuta scadenza), l’unità familiare sarebbe dovuta essere ricostituita fin dal mese di Ottobre 2002, anziché come invece è avvenuto in data 6 febbraio 2004, il cittadino marocchino che appunto aveva chiesto l’autorizzazione alla ricongiunzione familiare si è rivolto al Tribunale per chiedere di essere risarcito dei danni patrimoniali, esistenziali e morali subiti per l’inutile attesa di quasi due anni.
Da qui muove il giudizio che è stato instaurato il 16 Settembre 2004 contro il Ministero degli Affari Esteri e che ha avuto appunto un suo epilogo con la sentenza del 6 Luglio 2007 per ottenere la condanna al risarcimento dei danni nei confronti del nucleo familiare, sia dei danni non patrimoniali subiti dall’interessato in conseguenza della lesione dei diritti fondamentali attribuiti alla persona umana quali nella specie l’unità familiare (garantita dall’articolo 29 della Costituzione) e sia anche dei danni patrimoniali.
In altre parole l’interessato ha chiesto il risarcimento del danno morale, esistenziale, patrimoniale, rappresentato dal fatto che per quasi due anni ha dovuto continuare, pur dovendo confidare nell’arrivo in Italia della moglie, a inviare rimesse economiche alla moglie per mantenerla nel suo paese d’origine.

La sentenza ha colto quasi integralmente le richieste dell’interessato nel senso che non ha accolto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, cioè non ha riconosciuto un danno dal punto di vista strettamente economico, rappresentato dalla necessità di inviare rimesse economiche alla moglie in tutto il tempo trascorso, ma ha invece disposto il risarcimento del danno esistenziale e del danno morale subito dall’interessato proprio perché, una cosa è poter vivere subito o quantomeno nei tempi che sarebbero previsti dalla legge per la ricongiunzione familiare e quindi realizzare la ricongiunzione familiare in tempi umanamente accettabili, altro è dover attendere quasi due anni per poter convivere – pur avendone diritto fin dal primo momento – con la moglie.

E’ stato sottolineato nella sentenza che il Tribunale di Milano ha rilevato come l’attesa imposta dalla chiusura, dell’inefficienza o quantomeno dal mancato riscontro della domanda da parte del Consolato Italiano di Casablanca è un ritardo assolutamente ingiustificato ed infatti il Ministero degli Esteri è stato ritenuto responsabile dei danni riconosciuti a questo nucleo familiare, avendo tenuto, secondo il Tribunale di Milano, un comportamento non compatibile con quanto imposto dal precetto fondamentale del buon andamento dell’amministrazione stabilito dall’articolo 97 della Costituzione.
La circostanza che il Ministero degli Esteri abbia accettato “senza porre tempestivo rimedio” un sottodimensionamento del Consolato di Casablanca, la cui importanza in relazione ai flussi migratori che interessano il nostro paese non risulta di certo secondaria, ha causato quasi la paralisi, imponendo ai soggetti interessati un’attesa del tutto ingiustificata prima di poter godere del diritto al ricongiungimento familiare a cui avevano diritto, garantito dall’articolo 29 della Costituzione.

La sentenza, al di là del fatto che non riconosce in senso stretto il danno patrimoniale, è molto importante perché stigmatizza chiaramente l’inefficienza dell’apparato consolare o, quantomeno nella specie, del Consolato Italiano di Casablanca che ha fatto attendere quasi due anni ad un soggetto che era già stato verificato sotto tutti i profili, e quindi aveva un pieno diritto alla ricongiunzione familiare.

Ci permettiamo di aggiungere, oltre a queste annotazioni strettamente tecniche, che chiaramente questo mancato perfezionamento e questo intollerabile ritardo nel riconoscimento concreto del diritto alla ricongiunzione familiare non giova a nessuno, non giova nemmeno a coloro che vedono gli stranieri come un pericolo o lamentano il pericolo latente della presenza clandestina nel territorio italiano, proprio perché è chiaro che se una persona che ha un pieno diritto già riconosciuto in base a verifiche effettuate dalle competenti amministrazioni a farsi raggiungere dalla moglie o dai figli, non ottiene in tempi umanamente accettabili il riconoscimento concreto di questo diritto, sarà di fatto spinta a trovare una soluzione alternativa e quindi a farsi raggiungere in modo irregolare dal coniuge o dai figli e quindi a realizzare una situazione che comunemente viene definita di clandestinità.
E’ quindi chiaro che anche i paladini della legalità o gli acerrimi nemici della presenza “clandestina” sul territorio italiano dovranno fare il tifo per una maggiore efficienza dei Consolati Italiani e per un riconoscimento effettivo dei diritti che sono già riconosciuti a tutti gli effetti dalla legge e che per altro trovano il proprio fondamento, come giustamente ha ricordato il Tribunale di Milano, nella stessa Costituzione della Repubblica Italiana.