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Rosarno – Non solo ordine pubblico. Serve un modello condiviso di inclusione dei migranti

Rete RADICI/rosarno diritti e dignità per il lavoro migrante

La rete Radici si è posta l’obiettivo di fare il punto sulla questione Rosarno, a un anno dalla sconvolgente rivolta dei migranti, che ha sollevato il velo su una ventennale realtà di sfruttamento, ipocrisia, diritti negati, politiche dell’inclusione sfilacciate e senza programmazione.

Dal gennaio del 2010 molto è cambiato, ma nulla è cambiato. I migranti africani sono tornati sulla Piana di Gioia Tauro, nella totale invisibilità. All’indomani degli scontri molto si è discusso sull’opportunità di affrontare il nodo dell’accoglienza, il governo ha messo in campo progetti e idee ambiziosi. Ma al momento, all’inizio della nuova stagione di raccolta, nulla è stato approntato. Il compito di intervenire è ancora una volta lasciato all’iniziativa dell’associazionismo e del volontariato. La questione Rosarno è nuovamente affrontata come una “emergenza”, solo come un problema di ordine pubblico.

Leggendo la cronaca locale dei giorni scorsi, assistiamo con preoccupazione alla conta dei cittadini stranieri espulsi ed arrestati e rileviamo con disappunto che l’impostazione data alla questione sembra orientarsi esclusivamente nei termini di una “pulizia” delle campagne infestate dai “clandestini” per il ripristino della “legalità”. Una visione che riteniamo miope perché non tiene conto della necessità di una strategia complessiva che ponga l’attenzione sulla priorità del diritto di cittadinanza, inteso come strumento di legalità. Spesso si ha l’impressione che si voglia che gli immigrati restino un problema per poter affermare che l’immigrazione, in quanto tale, è un problema.

Il monitoraggio che stiamo effettuando nelle campagne ci dice che molti immigrati sono regolari, con riconoscimento del diritto di asilo, ma sono ugualmente emarginati e sfruttati. Ma ci dice anche, purtroppo, che una buona parte dei braccianti africani impiegati nella Piana – come in tutto il Sud Italia – sono richiedenti asilo le cui istanze sono state, o lo saranno presto, frettolosamente liquidate dalle commissioni competenti come “non idonee”. Questi cittadini rischiano a breve di vedersi sottratto il diritto a soggiornare sul territorio, fino ad oggi garantito dai tempi dei ricorsi contro i dinieghi. Sono lavoratori indispensabili all’economia agricola della Piana che ancora rimane purtroppo legata a un sistema produttivo assistenziale, illegale, sfruttato, disorganizzato, diviso, “vecchio”. Non a caso, spesso sono gli agricoltori stessi a telefonare ai braccianti per convincerli a tornare sul luogo del “delitto”, senza però garantire loro i diritti minimi. Permane una condizione di sfruttamento sistemico che, legata all’impossibilità di fatto di espulsione verso paesi a rischio, fa di questi cittadini stranieri dei soggetti vulnerabili, degni di protezione ma costretti a vivere in un limbo.

I controlli nei campi, è vero, quest’anno per la prima volta si fanno. Ma forse si fanno male e si punta solo ai numeri (1000 aziende da controllare entro il 31 dicembre). E così i controlli si eludono facilmente, i caporali si sono fatti furbi, i ghetti lasciano il posto a decine di casolari isolati. Una condizione ben lontana dal nuovo scenario di legalità prospettato dalle associazioni di categoria. Gli agricoltori, che continuano giustamente a battere cassa, nulla dicono su come risollevare le sorti delle campagne della Piana. E nulla dicono sui contributi pensionistici ai braccianti africani che mai sono stati versati e su cui quest’anno, riteniamo, le autorità dovranno vigilare.

Una problematica complessa, insomma, che non si affronta solo con i mattinali delle forze dell’ordine della Piana di Gioia Tauro. E invece esistono comunità, nate dal basso, che vanno incontro alle esigenze primarie dei lavoratori migranti, e che andrebbero meglio valorizzate. Modelli che dovrebbero essere un esempio per tutte le amministrazioni, un insegnamento per la Regione, un monito per le istituzioni e la politica. Tante iniziative del volontariato dimostrano che spesso sono sufficienti azioni semplici e a costo zero, assolutamente alla portata anche dei disastrati enti locali della Piana di Gioia Tauro, senza sprechi di fondi pubblici. Per questo ci rivolgiamo alle autorità competenti ed in modo particolare al prefetto di Reggio Calabria, chiedendo che al nuovo tavolo tecnico permanente sulla questione Rosarno venga data maggiore voce ai rappresentanti degli enti locali e dell’associazionismo. Perché riteniamo che la questione Rosarno può e debba essere governata in altro modo, nel rispetto delle leggi vigenti e dei diritti dei cittadini stranieri.