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Sanatoria 2009 – L’Adunanza Plenaria: l’inottemperanza all’espulsione NON è ostativa

Dopo la sentenza della Corte di Giusitizia il CDS decreta l'illegittimità della circolare "Manganelli"

Ci sono voluti quasi due anni per avere chiarezza ma ora l’intricata questione posta con la sanatoria 2009 e la conseguente “circolare Manganelli”, in merito all’ostatività del reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento del Questore, per il perfezionamento della procedura di emersione, è stata definitivamente chiusa.

L’Adunanza Plenaria, chiamata a decidere da una ordinanza di remissione della terza sezione, lo scorso 16 marzo, si è pronunciata il 10 maggio ritenendo non ostativo al perfezionamento dell’emersione il reato previsto dall’art 14, comam 5 ter del testo unico sull’immigrazione.

La decisione è strettamente conseguente alla recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea in merito alla compatibilità del medesimo reato con l’impianto della direttiva 115/CE/2008.
E questo era il punto nodale su cui si concentrava, per la verità in senso negativo, anche il provvedimento della terza sezione, che non appariva convinta dell’incidenza della direttiva sulla previsione di ostatività.

L’Adunanza Plenaria ha invece ritenuto che proprio questo nodo, quello dell’intervenuta decisione della Corte di Giustizia, abbia reso palesemente improponibile la previsione di ostatività, ed ha quindi liquidato la vicenda con una sentenza in forma semplificata senza neppure riprendere le diverse eccezioni che riguardavano la riconducibilità del reato di cui all’art 14, comma 5 ter, tra quelli previsti dagli artt 380 e 381 del cpp.

Secondo l’Adunanza Plenaria infatti “il rilevato contrasto interpretativo ha perduto di attualità e di rilevanza ai fini della definizione del giudizio”.

I giudici hanno rilevato che “la vicenda in esame trae origine dalla circostanza che il legislatore italiano, nell’esercizio di una facoltà espressamente stabilita dalla Direttiva n. 115 del 2008 (art. 4, comma 3, in tema di disposizioni più favorevoli), ha previsto il beneficio della emersione del lavoro irregolare, con effetto estintivo di ogni illecito penale e amministrativo (art. 1-ter, comma 11, l. n. 102 del 2009), a favore di una limitata cerchia di lavoratori, ma anche dei rispettivi datori di lavoro, che li impiegano per esigenze di assistenza propria o di familiari non pienamente autosufficienti o per lavoro domestico.

Tale misura, tuttavia, non può essere concretamente accordata dall’Amministrazione ove sia stata emessa condanna dello straniero interessato per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, più volte citato, che, come si è visto, punisce lo straniero che non abbia osservato l’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato.

Ma la previsione di tale fattispecie penale, e le conseguenti condanne, non sono più compatibili con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio.

In conformità, infatti, all’orientamento costantemente seguito dalla Corte di Lussemburgo (a partire dalla sentenza Simmenthal in causa 106/77), e dalla stessa Corte costituzionale italiana (con la sent. n. 170 del 1984 e successive), anche la recentissima sentenza comunitaria afferma che è compito del giudice nazionale assicurare la “piena efficacia” del diritto dell’Unione, negando l’applicazione, nella specie, dell’art. 14, comma 5-ter, in quanto contrario alla normativa dettata dalla Direttiva n. 115 del 2008, suscettibile di diretta applicazione.
“L’effetto di tale diretta applicazione – ha puntualizzato la Corte – non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest’ultima da parte del giudice nazionale al caso di specie, oggetto della sua cognizione, che pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario.” (Corte Cost. n. 168 del 1991).

Deve concludersi che l’entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l’abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell’art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l’esecuzione della condanna e i relativi effetti penali.

Tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell’emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato.

La conclusione cui il Collegio perviene non è ostacolata in modo persuasivo dalla tesi, prospettata dall’ordinanza di rimessione, secondo cui, per il principio tempus regit actum, sarebbero da ritenere comunque legittimi gli atti amministrativi adottati antecedentemente al mutamento della normativa.

E’ il caso di sottolineare – proseguono i giudici – che gli effetti della pronuncia, non conformi all’originario disegno del legislatore italiano, ben avrebbero potuto essere evitati ove, nel non breve lasso di tempo disponibile, si fosse provveduto al recepimento della direttiva, adottando misure compatibili con i relativi dettami.

Il cammino che ha portato a questo importante risultato è stato in realtà una vera e propria scalata,non soltanto perché sono stati gli stessi migranti colpiti dalle disposizioni della circolare “Manganelli” ad arrampicarsi su gru, torri e basiliche, ma anche perché dal punto di vista legale il percorso è stato non poco tortuoso e ripido.
Fin dai primi pareri negativi adottati dalle Questure cominciavamo a scorgere il mare di piccole e grandi illegittimità a cui si prestavano le prassi in corso: trattenimenti (poi fortunatamente non convalidati), decreti di espulsione notificati ancor prima del rigetto della Prefettura.

Le prime pronunce dei Tribunali Amministrativi andavano in senso negativo (vedi Tar Umbria) mentre successivamente (il primo fu il Tar Toscana) iniziava a prendere piede una interpretazione più adeguata della normativa in questione.

Durante l’estate del 2010 arrivarono poi le prime decisioni del Consiglio di Stato, due in senso negativo ed una in senso positivo per i migranti.
Poi, dopo un periodo di interpretazioni ulteriormente disomogenee da parte dei giudici amministrativi regionali, a partire dal gennaio del 2011, è iniziato il progressivo smantellamento delle disposizioni previste dalla circolare del Ministero dell’Interno del 17 marzo 2010, firmata appunto dal capo della Polizia Manganelli.
Già l’Adunanza Plenaria, con l’ ordinanza n. 912 del 25 febbraio 2011, si era espressa nel senso di dover concedere la misura sospensiva in attesa del giudizio di merito, ritenendo di difficile soluzione il problema interpretativo posto. Ora, con questa ultima e definitiva sentenza, la scalata per la dignità ed una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in esame, è stata compiuta.

Ora i diversi giudici amministrativi chiamati a pronunciarsi sui ricorsi pendenti dovranno adeguarsi alla decisione dell’Adunanza Plenaria così come le Prefetture dovranno adeguarsi all’indirizzo definitivo del Consiglio di Stato evitando contenziosi e spese, sia per l’amministrazione che per i ricorrenti eventuali. Potrebbe poi (e sarebbe auspicabile) la stessa PA agire in autotutela e revocare i provvedimenti di rigetto adottati nell’ultimo periodo evitando così ricorsi che rischerebbero di condannare la stessa anche al pagamento delle spese di contenzioso.
Difficile invece la strada per chi, dopo aver visto archiviata con un rigetto l’istanza, non ha presentato ricorso al tribunale amministrativo in tempi utili. Si potrebbe però in questo caso tentare un’azione da parte del lavoratore straniero quando il diniego sia stato notificato al solo datore di lavoro rivendicando l’apertura dei termini per il ricorso e quindi in realtà la rivalutazione della pratica da parte dello Sportello Unico alla luce dell’interpretazione dell’Adunanza Plenaria.

Si conclude così in ogni caso l’attesa per migliaia di migranti che in questi mesi hanno protestato contro la posizione del Governo sulla cosiddetta “doppia espulsione” ed hanno portato alla luce le loro rivendicazioni da Brescia a Milano, da Padova a Massa, passando per centinaia e centinaia di città italiane.
Rimane ancora irrisolta la questione delle truffe commesse ai danni di migliaia di vittime ma oggi, anche grazie al prezioso contributo di legali ed esperti, che hanno messo le loro competenze a disposizione di questa battaglia giusta, riconquistiamo tutti, anche noi, un pezzo di dignità.

Sentenza del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria) n. 7 del 10 maggio 2011