Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Trieste. Primo rapporto dalla piazza della stazione

Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi (Linea d’Ombra, ODV) - 18 agosto 2020

Photo credit: Linea d’Ombra, ODV

Questa piazza, il cui nome urbanistico (in questo caso paradossale) è piazza Libertà circondata da alberi, dominata dal monumento a Sissi, è il nostro punto di vista politico e umano sulla città e sul confine, quindi sul paese Italia e sull’UE – insomma su chi comanda.
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Per i migranti è l’inizio di una nuova fase del loro viaggio verso la vita.
Per i bravi cittadini è un non luogo perché vi si svolgono ‘riti’ sgradevoli.
Per le cosiddette autorità è diventata una sorta di non luogo: ci lasciano fare. In fondo, diamo loro una mano, se curiamo, nutriamo, vestiamo e aiutiamo ad andar via… anche se sarebbe illegale, ma – si sa – la legge per chi la fa è sempre opzionale.

Per noi, invece, è il luogo nel non luogo della città trafficata e indifferente, chiusa nella sua faticosa e triste ‘normalità’, provata dall’epidemia.

Non possiamo, però, nasconderci che è anche il luogo in cui i passeur incontrano i loro ‘clienti’; e che anche noi siamo, in qualche modo, coinvolti, se è vero, come sospettiamo sulla base di indizi, di essere addirittura inseriti come servizio alle persone nella rete di qualche passeur.

Com’è ormai noto, la novità principale sul confine triestino, da circa un mese e mezzo, sono i respingimenti, ormai quotidiani, la cui discutibilissima legalità si basa su una legge del ’96 e su un ‘accordo informale’ – definizione molto ambigua – con la Slovenia.

Lo spostamento degli attraversamenti più lontano dai soliti varchi, vicino a Trieste, e dal confine, è senza dubbio legato all’esigenza di evitare o ridurre i respingimenti; ed operato dalle reti di passeur, elemento sempre più fondamentale nei percorsi di un ampio flusso umano, che dura ormai da 5 anni.
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Del resto, bisogna concepire il confine come un sistema confinario: un vasto dispositivo che comincia al confine greco-turco, si articola nei vari confini di Stati e Staterelli balcanici per arrivare a quello sloveno-italiano. Qui parte una nuova articolazione confinaria nella corsa dei più verso il centro-nord Europa: la terra del benessere!

A partire dal settembre del 2019, dopo quindici mesi di viaggi in Bosnia, abbiamo dovuto fondare l’Organizzazione Di Volontariato Linea d’Ombra, per gli obblighi giuridici propri delle donazioni in denaro. In autunno, abbiamo anche sentito e pensato che non era più possibile rimandare ancora un impegno sul versante triestino del confine.

Intorno a questo impegno, reso visibile dai social, si è rapidamente formato un piccolo gruppo, con cui abbiamo cominciato ad andare nel piazzale alberato davanti alla stazione, dapprima due o tre giorni alla settimana, poi tutti i giorni per quel che riguarda noi due, a incontrare i migranti: soprattutto quelli che non vogliono far domanda di soggiorno in Italia.

L’ultimo viaggio in Bosnia è stato dal 19 al 23 febbraio 2020, nell’imminenza dell’epidemia. Tornati a Trieste, già in regime epidemico, abbiamo pensato di provare a chiedere alla protezione Civile il permesso per poter intervenire con i migranti. Con nostra sorpresa ci è stato accordato. Abbiamo quindi ripreso quasi subito l’attività in piazza della stazione, poi a Porto Vecchio per imposizione della Questura, fino a quando, a fine marzo, il permesso ci è stato tolto.

Dopo una pausa forzata di 15 giorni, ci siamo detti: ‘proviamo a forzare il divieto!’. Dal 18 aprile dapprima in uno, poi due, tre, poi via via con tutto il gruppo, siamo ritornati nei pressi della stazione. La polizia si è limitata, dapprima, a farci firmare giornalmente una dichiarazione d’intervento per ragioni sanitarie. Poi abbiamo ripreso pieno possesso della piazza, senza essere disturbati.

Sappiamo però che la polizia interviene di sera tardi per catturare migranti che vengono anche respinti in Slovenia.

E così la nostra vita quotidiana si snoda in questa costante presenza d’incontro dalle sei di sera nella stagione estiva.
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L’incontro, ogni volta uguale e diverso, con i migranti si articola attraverso un intervento di tipo sanitario, che comprende soprattutto la cura dei piedi: la parte del corpo che sopporta il cammino. In non pochi casi, anche altri interventi: ulcere, piaghe piccole ferite, segni di tortura. Alcune volte, abbiamo dovuto chiamato l’ambulanza: non sempre i sanitari che la gestiscono si sono rivelati all’altezza.
Operiamo insieme al gruppo di giovani medici e infermieri – prevalentemente mediche e infermiere – La Strada Si.cura.

Importanti, inoltre, sono, prima di tutto la fornitura di scarpe, poi di indumenti vari e, necessariamente, cibo, quello che possiamo: panini, riso con verdure, kebab, qualcos’altro.


Piedi e ancora Piedi. Corpi. Sguardi.

Il contatto diretto con corpi sofferenti è un’esperienza che va ben oltre la dimensione sanitaria e che tocca nel profondo. La persona sofferente manifesta qualcosa d’infantile, ma non nel significato negativo di ‘infantilismo’. Al contrario. Nel senso che l’infanzia è una dimensione profonda, connaturata al carattere precario e relazionale della vita: tutti abbiamo bisogno non solo di cure, ma di cura, di affetto, di relazioni profonde. Una dimensione, portata avanti dal femminismo, trascurata solitamente dall’impegno politico anche radicale: va invece assolutamente raccolta proprio per andare alla radice. Oggi, in tempi epocalmente cambiati in peggio, in cui c’è bisogno di una rifondazione dell’impegno politico radicale, è essenziale raccogliere la dimensione infantile, presente in ciascuno, ma quasi sempre rimossa e ridotta al ‘privato’.

Il contatto di cura è un superamento profondo del confine, di quel confine razziale su cui si è fondato il potere dell’Europa, dell’Occidente, nel mondo. Nel nostro impegno di cura tocchiamo letteralmente con mano come la pelle non debba essere un confine, una frontiera che separa e contrappone, ma la superficie di un contatto che unisce nella differenza.

Photo credit: Strada Si.Cura
Photo credit: Strada Si.Cura

La piazza della stazione è dunque il nostro luogo d’intervento a Trieste perché è il luogo terminale della Rotta Balcanica e l’inizio di quella che possiamo chiamare la Rotta Europea, che ha scelto negli ultimi mesi prevalentemente l’itinerario Trieste-Milano-Ventimiglia: quest’ultimo confine è oggi, però, violentemente presidiato dalla polizia francese.

Anche se il nome di Rotta balcanica è discutibile, come scrive la giornalista bosniaca e volontaria Nizdara Ahmetasevic: “non esiste la ‘rotta balcanica’ , è sbagliato chiamarla cosi, troppo facile macchiare una zona e una popolazione con pregiudizi.
Piuttosto “la rotta è dell’UE”, perché i migranti non europei lasciano le proprio case per le condizioni insopportabili che noi Europei (ma non certo i Balcani) abbiamo creato nei loro paesi. E passano per i Balcani perché altre strade e rotte (Ungheria, Turchia) sono state chiuse con la complicità della UE
”.

Nel corso di quest’anno abbiamo affrontato un passaggio continuo di migranti. Possiamo dire che la media si aggira, grosso modo, sulla trentina di persone al giorno, forse di più, fra un culmine di 100 persone in aprile e un unico intervallo di vuoto nella terza settimana d’agosto.

Da quasi due mesi è in atto un nuovo comportamento da parte del Ministero degli Interni: il respingimento di quote consistenti di migranti in Slovenia, donde vengono in gran parte respinti ulteriormente in Croazia e da qui in Bosnia, con gli ormai noti ma perduranti maltrattamenti della polizia croata, sovvenzionata dall’UE e assistita da Frontex, spinti finti alla tortura e a pratiche d’umiliazione! Nemmeno l’ex ministro degli Interni Salvini si era spinto fino a questo punto!

L’ASGI (Associazione per gli studi giuridici sulle immigrazioni) così commenta, dal punto di vista legale, questa scelta politica in una lettera aperta al Governo, inviata in agosto: “In conclusione la nota con la quale il Ministero dell’Interno ha fatto conoscere la propria posizione in merito alle cosiddette riammissioni informali dei cittadini stranieri, anche richiedenti asilo, alla frontiera italo-slovena, rappresenta una rivendicazione ideologica di procedure illegittime attuate in totale sprezzo del diritto interno e del diritto dell’Unione Europa. Pur nella controversa e per molti tratti oscura politica dell’asilo in Italia mai si era giunti a una violazione della legalità così macroscopica e tale da porre alle  istituzioni italiane ed europee dei serissimi interrogativi sulle violazioni dei diritti fondamentali in atto al confine terrestre con la Slovenia”.

Photo credit: Strada Si.Cura
Photo credit: Strada Si.Cura

Questo comportamento ha prodotto mutamenti nel passaggio del confine italo-sloveno, con spostamenti di gruppi importanti di migranti verso la provincia di Udine, con conseguenti problematiche politico-sociali, soprattutto nei piccoli comuni di quella provincia. Ciò provoca sconcerto e reazioni rabbiose da parte di alcuni sindaci di paesi, come il sindaco di Gonars, che propone ai suoi cittadini di organizzare ronde antimigranti! “Chi vuole può mettersi a disposizione per organizzare con me dei turni e monitorare il territorio. … Credo che qui ci sia davvero il rischio di un’emergenza sanitaria e sociale e io non intendo mollare”.

Il flusso su tutto l’arco confinario regionale comunque continua in maniera consistente.

Le cause di questo movimento sono note e profonde. Per quel che riguarda la Bosnia, si possono leggere nel forte peggioramento della condizione dei migranti, anche a causa dell’epidemia, che oggi è abbastanza intensa, soprattutto a Sarajevo e nel comportamento della polizia bosniaca. Nel cantone Una-Sana, la polizia caccia dai loro rifugi improvvisati i migranti che vivono fuori dai campi per trasferirli nel nuovo campo di Lipa, lontano una trentina di chilometri dal confine con la Croazia, dove sopravvivono circa 1000 non-persone. La popolazione è inoltre sempre più stanca ed esasperata da una situazione che appare senza via d’uscita. Ciò rende molto difficile e anche rischiosa l’attività dei volontari locali.

È necessario ricordare inoltre che, nell’apparato confinario della nostra regione, c’è anche il CPR (Centro per il rimpatrio) di Gradisca d’Isonzo, a una quarantina di chilometri da Trieste. In questo carcere amministrativo, dal gennaio al luglio scorso, sono morte due persone, Vakhtang Enukidze, georgiano e Orgest Turia, albanese – ricordiamo i loro nomi.

La causa precisa della morte di questi due uomini rimane volutamente oscura, mentre l’iter giudiziario prosegue nelle mani delle ‘autorità competenti’, ma la responsabilità finale è senza alcun dubbio della Questura di Gorizia.

Ogni sera nel CPR avvengono piccole rivolte, cui seguono pestaggi. Si tratta di una situazione insostenibile, documentata giorno dopo giorno, dai compagni del Collettivo No CPR No frontiere.

Infine, un altro snodo di quel dispositivo complesso che è il confine: la caserma Cavarzerani di Udine, dove sono ristretti, nel senso letterale della parola, 500 migranti, mentre la capienza è per 300. Fra di essi, tre positivi asintomatici nei cui confronti non è stata presa alcuna iniziativa sanitaria, anche di separazione cautelare rispetto agli altri richiusi. Il sindaco di Udine, invece, ha emesso un’ordinanza per cui nessuno poteva uscire dalla caserma fino al 16 agosto, provocando la reazione di chi si sentiva rinchiuso in una situazione sanitaria precaria, con pessimo cibo. Il senso di tutto questo è bassamente politico: l’allarme sui migranti portatori di virus chiusi nella caserma come in un Lazzaretto giova a chi ‘governa’ la città – e la regione.

Noi continueremo il nostro impegno quotidiano in città e appena possibile riprenderemo i nostri viaggi in Bosnia.
Ci consideriamo impegnati, nella misura delle nostre piccole forze, nella resistenza dentro la guerra che lo smisurato potere di una minuscola frazione degli umani conduce non solo contro tutti gli altri, ma contro la vita stessa.

Lorena Fornasir, Gian Andrea Franchi
Linea d’Ombra, ODV

Linea d'Ombra ODV

Organizzazione di volontariato nata a Trieste nel 2019 per sostenere le popolazioni migranti lungo la rotta balcanica. Rivendica la dimensione politica del proprio agire, portando prima accoglienza, cure mediche, alimenti e indumenti a chi transita per Trieste e a chi è bloccato in Bosnia, denunciando le nefandezze delle politiche migratorie europee. "Vogliamo creare reti di relazioni concrete, un flusso di relazioni e corpi che attraversino i confini, secondo criteri politici di solidarietà concreta".