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Con sentenza del 20 aprile 2004 la Corte di Cassazione interviene sulla posizione di chi viene espulso mentre è in attesa di regolarizzazione

Si tratta di un cittadino magrebino che, come tanti altri, aveva richiesto la regolarizzazione e aveva poi ricevuto il diniego; tale rifiuto gli è stato comunicato contemporaneamente al provvedimento di espulsione che è stato immediatamente eseguito.
Pertanto, senza avere il tempo per comprenderne le ragioni, questo signore si è trovato espulso dall’Italia. Oltretutto nel provvedimento di espulsione non veniva fatto alcun riferimento alla fondamentale circostanza del suo status giuridico di persona in attesa di regolarizzazione. In altre parole, il provvedimento di espulsione che lo ha riguardato ha completamente ignorato sia che la procedura di regolarizzazione era in corso, sia che egli non aveva ricevuto alcuna risposta negativa alla propria domanda, trattandolo quindi come un normale clandestino.

Questo è avvenuto nonostante la famosa legge in materia di regolarizzazione (D.L. 9 settembre 2002, n. 195 convertito nella L. 9 ottobre 2002, n. 222) prevedesse espressamente all’art. 2, comma 1, che fino alla data di conclusione della procedura di regolarizzazione non possono essere adottati provvedimenti di allontanamento nei riguardi dei lavoratori compresi nella dichiarazione di emersione. Il riferimento generico ai provvedimenti di allontanamento e non solo di espulsione deve essere interpretato nel senso che nemmeno coloro che avessero in precedenza ricevuto la notifica di provvedimenti di espulsione (senza ottemperarvi) avrebbero potuto essere allontanati -vale a dire assoggettati all’esecuzione dell’espulsione-fino alla conclusione della procedura di regolarizzazione (altrimenti non avrebbe avuto senso prevedere la possibilità di regolarizzazione anche per persone già precedentemente colpite da provvedimenti di espulsione)
Il cittadino magrebino di cui sopra (mai espulso prima) si è invece visto notificare il provvedimento di espulsione senza alcuna comunicazione relativamente alla regolarizzazione di cui attendeva la definizione.

Prima di essere portato fuori dall’Italia, l’interessato è stato trattenuto in un centro di permanenza temporanea per espellendi e quindi è stato subito proposto ricorso contro il provvedimento di trattenimento, con richiesta al giudice di non convalidare il trattenimento, in considerazione del fatto che il provvedimento di espulsione non teneva in minimo conto il procedimento di regolarizzazione pendente e che quest’ultimo non poteva ritenersi concluso.
Il giudice monocratico di Milano lo ha però rigettato e ha convalidato il trattenimento nel cpt con un sintetico decreto nel quale affermava che “…dalle norme vigenti non si ricava nessun obbligo della Pubblica Amministrazione di comunicare a chi sta chiedendo la sanatoria gli atti di accertamento e quindi l’avviso del provvedimento di rifiuto della regolarizzazione”.
Quindi secondo il giudice che in prima battuta era stato investito del ricorso in opposizione al trattenimento nel cpt, il provvedimento di espulsione era legittimo, perché secondo lui detto provvedimento implicava -sia pure senza darne alcun conto-l’avvenuta decisione negativa sulla regolarizzazione; di conseguenza, è stato convalidato il trattenimento medesimo. In pratica, il giudice ha considerato l’espulsione – così come notificata – come l’atto conclusivo del procedimento di regolarizzazione.

Casi simili sono stati segnalati inizialmente a Milano, ma, successivamente si sono verificati in altre parti d’Italia. Anche sui giornali nazionali è stata denunciata l’irregolarità della prassi seguita dalla Prefettura e dalla Questura di Milano. Sempre nello stesso periodo, sono addirittura state prelevate presso le proprie abitazioni colf e badanti in attesa di regolarizzazione, che sono state espulse immediatamente con accompagnamento all’aeroporto; verosimilmente i prelevamenti di queste persone sono stati organizzati in coincidenza con la partenza dei voli.

Al fine di giustificare tale prassi, le amministrazioni invocano l’applicazione di una nota di chiarimento del Ministero dell’Interno del 4 dicembre 2002 ( con oggetto: emersione lavoro irregolare extracomunitari – casi particolari) indirizzata a tutte le questure e prefetture, secondo la quale nei casi in cui gli stranieri non possono essere regolarizzati, le forze dell’ordine devono procedere al loro immediato allontanamento, prima ancora che la prefettura abbia esaminato la loro domanda di regolarizzazione o comunque comunicato l’esito negativo. Infatti, Sempre secondo questa nota, la comunicazione negativa, ovvero il rifiuto della regolarizzazione deve essere notificata al solo datore di lavoro.
La nota di chiarimento del Ministero è stata in realtà applicata da alcune e non da tutte le amministrazioni.
Infatti, verificando la palese illegittimità dell’interpretazione adottata con la medesima, molte prefetture e questure si sono auto regolamentate provvedendo più correttamente a comunicare separatamente e specificamente a tutte e due le parti coinvolte nella regolarizzazione – datore di lavoro e lavoratore – l’eventuale diniego della stessa. Solo successivamente hanno provveduto con provvedimento specifico a predisporre l’espulsione nei confronti dello straniero la cui regolarizzazione non si era perfezionata.

Tornando ora al caso del cittadino magrebino, si evidenzia che il provvedimento di convalida del trattenimento nel cpt dell’interessato è stato impugnato in Cassazione, che in data 20 aprile 2004 lo ha annullato assieme all’espulsione applicata dal Prefetto di Milano, condannando la stessa Prefettura a rifondere le spese di giudizio, sia per la fase relativa al processo milanese, sia per la fase relativa al ricorso in Cassazione.
La motivazione della sentenza della Corte di Cassazione (I sez. civ., n. 07472/04) è molto chiara e la descrive l’avvocato Paolo Oddi di Milano (socio dell’ASGI) che ha seguito fin dall’inizio questo procedimento avviando la causa pilota contro quella che sembrava essere una prassi indiscutibile, avvallata dalla sopra menzionata circolare del Ministero dell’Interno e seguita dalla prefettura e questura milanesi.

Il giudice di legittimità alla Corte di Cassazione ha stabilito una serie di punti fermi molto chiari fra cui evidenziamo che:
1) il richiedente la regolarizzazione ha il diritto di ottenere la comunicazione scritta – dall’ufficio destinatario della richiesta – dell’esito negativo della procedura. Datore di lavoro e lavoratore sono entrambi parti interessate nel procedimento di regolarizzazione e, pertanto, hanno uguale diritto di ricevere analoga comunicazione;
2) la comunicazione costituisce l’atto conclusivo del procedimento ai sensi dell’art. 2, comma 1 della legge 222/2002 in materia di regolarizzazione di cui sopra;
3) è quindi completamente sbagliato pensare che sussistano possibilità alternative quali una comunicazione verbale o implicita, ritenendo che con il provvedimento di espulsione si comunichi anche il provvedimento negativo sulla regolarizzazione.
La legge n. 241 del 1990 inoltre prevede espressamente che il provvedimento di diniego debba essere necessariamente scritto e motivato.

La sentenza della Corte di Cassazione dimostra una volta di più che le indicazioni e le circolari del Ministero dell’Interno non sono “oro colato” ma spesso adottano un’interpretazione ed applicazione della legge non corretta.

Ciò consola fino ad un certo punto perché, anche se la nota di chiarimento del Ministero dell’Interno è smentita e bollata di palese illegittimità dalla Corte di Cassazione, è chiaro che le indicazioni in essa contenute hanno a suo tempo prodotto delle conseguenze dannose e spesso irreparabili per moltissime persone.

I tempi per proporre il ricorso
Si precisa che, per chi ha ricevuto direttamente il provvedimento di espulsione e – come il caso che abbiamo segnalato – non ha invece ricevuto una espressa comunicazione di rifiuto di regolarizzazione, non si sono ancora compiuti i termini per proporre il ricorso contro il provvedimento di rifiuto di regolarizzazione.
In altre parole, poiché il lavoratore non ha mai ricevuto in modo idoneo, ossia in forma scritta e motivata, alcuna comunicazione relativa al rifiuto della regolarizzazione, ma ha ricevuto solo un’espulsione che lasciava solo presupporre che la domanda di regolarizzazione fosse stata rigettata, i termini per proporre il ricorso contro il provvedimento stesso non hanno ancora iniziato a decorrere.

Si ricorda altresì che, nel caso in cui la persona interessata si trovi all’estero, si dovrebbe formalizzare l’incarico ad un avvocato in Italia, con delega autenticata presso la cancelleria del consolato italiano del suo paese.

Per quanto riguarda il provvedimento di espulsione – poiché questo provvedimento è conseguente ad una regolarizzazione che non è mai stata legalmente rifiutata – una volta accertato che non vi è mai stato un formale diniego della domanda e che l’interessato ha il diritto di perfezionare la procedura di regolarizzazione, può essere richiesto anche successivamente l’annullamento del provvedimento stesso. Beninteso, ciò potrebbe essere richiesto solo a seguito della definizione della procedura di regolarizzazione, ed eventualmente a seguito di un ricorso in cui, appunto, si ottenga l’annullamento del diniego di regolarizzazione
Si tratta evidentemente di un percorso molto lungo e tortuoso, ma penso che in situazioni in cui i legami affettivi o il radicamento di anni in Italia siano stati improvvisamente interrotti in seguito ad una non corretta gestione della procedura di regolarizzazione, la possibilità di un nuovo ingresso in Italia potrebbe essere perseguita con comprensibile tenacia da parte degli interessati sulla base delle motivazioni adottate dalla Corte di Cassazione.