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Rifugiati – Commissione a Venezia entro novembre

Intervista all’on. Luana Zanella (Verdi)

Abbiamo più volte trattato la situazione dei richiedenti asilo e rifugiati a Venezia attraverso gli approfondimenti curati da Rosanna Marcato, responsabile del Servizio immigrati del Comune di Venezia.
Una situazione per nulla diversa dal panorama nazionale, drammatico, sul tema del diritto di asilo.
L’on. Luana Zanella ha presentato una interpellanza parlamentare per chiedere al governo chiarimenti sui lunghissimi tempi di attesa a cui sono costretti i rifugiati per l’esame della loro domanda.
A Venezia Mestre vi sono 50 persone, singoli e famiglie, in accoglienza presso i centri, che da oltre un anno, per alcuni (dieci) da oltre due anni, attendono una risposta. La commissione centrale preposta, composta da otto membri, non riesce ad espletare la enorme mole di lavoro e ciò comporta una grande sofferenza da parte di chi attende risposte, uno spreco di denaro pubblico e l’impossibilità di accogliere altri aventi diritto.

Il 28 settembre, durante il question time, il ministro Giovanardi ha assicurato che presto saranno insediate sette Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato e che entro novembre la commissione itinerante sarà a Venezia. [ascolta ]

Domanda: Com’è nata l’esigenza di proporre una interpellanza parlamentare su questo tema?

Risposta: Sono stata sollecitata dai Servizi Sociali del Comune di Venezia, dall’assessore Giuseppe Caccia da Rosanna Marcato che da anni, seguono tutte le problematiche inerenti i rifugiati e i richiedenti asilo, ossia coloro che attendono fino a oltre due anni una risposta dalla Commissione centrale che ha la potestà di dare o il riconoscimento dello status di rifugiato politico, oppure il diniego. I tempi di attesa per l’audizione vanno normalmente dai 15 ai 24 mesi, a fronte dei 45 giorni previsti dalla normativa vigente per concludere tutto l’iter.
Ci sono anche delle eccezioni perché – non so esattamente come mai, forse per qualche raccomandazione – certi casi vengono conclusi anche in tempi minori. Ricordo il caso della vicenda tragica dei cosiddetti “clandestini” della Cap Anamur, che si trovarono ad avere il diniego nel giro di pochissimi giorni: la Commissione, in quel caso, era andata lì a Caltanissetta ed aveva espletato tutte le formalità.
Normalmente la persona che fa richiesta di asilo al suo ingresso in Italia, se ci sono i presupposti per iniziare anche tutte le pratiche, ottiene un permesso di soggiorno, che non è valido per lavorare. Questo è un problema grandissimo: viene concesso il diritto a permanere sul territorio italiano, il diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione scolastica per i piccoli e all’erogazione anche di un contributo di prima assistenza che si aggira intorno agli 800 euro ma dopo le persone sono lasciate a sé stesse. Di 20.000 richiedenti asilo, solo 2.000 sono distribuiti nei vari centri su tutto il territorio nazionale, con un’assistenza e un’accoglienza che forse neanche in tutti i casi è degna di questo nome.

D: Questo è la situazione generale che giustamente ricordava; anche a Venezia, nonostante sia una città di accoglienza, i richiedenti asilo sono costretti a subire tempi di attesa lunghissimi. Qual è la situazione della sua città?

R: Venezia, che è sicuramente un luogo di eccellenza, dove non soltanto esiste una storia e un lavoro che è stato effettuato dal Comune, spesso senza nessun sostegno statale, partecipò a suo tempo, ad un progetto, in collaborazione con l’Anci, con il Ministero dell’Interno, per avere un po’ di sostegno per quei servizi che, comunque, il Comune faceva. Adesso a Venezia, che, come dicevo, è un luogo sicuramente eccezionale perché viene garantito tutto – scuole di italiano, corsi di formazione, mediatori culturali – abbiamo comunque dei tempi di attesa che, addirittura, sono parossistici e le persone sono in uno stato di incertezza, di sofferenza, di insicurezza tale che hanno minacciato anche azioni estreme (come, per esempio, fare lo sciopero della fame, venire a manifestare a Roma davanti al Ministero, ecc.) proprio perché non hanno delle risposte.
Non hanno risposte non soltanto rispetto ai tempi, ma soprattutto rispetto anche ai risultati. Ieri, in question time, ho affrontato tutto il problema dei tempi, ma resta anche la questione dei modi, cioè il fatto che l’accoglimento delle domande è divenuto veramente un’eccezione piuttosto che una pratica, anche rispetto a tutta una serie di dati riscontrabili. Quindi, ci sarebbe molto da dire.

D: Veniamo nello specifico alla question time e all’interrogazione parlamentare.

R: Il punto sollevato in question time è stato quello dei tempi e della necessità che la Commissione si sposti sul territorio, ed è stato risposto da parte del Ministro interrogato, che effettivamente la Commissione verrà, e questa è una grande soddisfazione, a Venezia entro la fine di novembre. Questo consentirà anche la possibilità, mi auguro, di un’interlocuzione: poiché i nostri servizi hanno raccolto molto materiale, mi auguro che avranno la possibilità di assistere direttamente le persone che dovranno rispondere in sede di audizione, che, purtroppo, talvolta viene fatta in maniera o troppo frettolosa, o non tenendo in considerazione tutta l’enorme mole di materiali, di documentazione, ecc che sono indispensabili per poter poi avere un senso rispetto alla domanda di asilo politico.

D: Nei giorni scorsi, alla notizia della realizzazione degli accordi bilaterali tra Libia e Italia, come Verdi avete chiesto un dibattimento parlamentare, perché ci sono alcuni aspetti che rimangono poco chiari e preoccupanti, come la realizzazione dei centri di detenzione in Libia. Questo dibattimento si farà?

R: Non è stata data risposta. Prima ho cercato di descrivere, anche molto sommariamente, il purgatorio dei richiedenti asilo; ci sarebbe da affrontare il problema di coloro che premono alle nostre frontiere anche per porre la domanda di asilo, di accoglienza o, comunque, di possibilità di avere una vita degna di questo nome. Come verdi non siamo contrari ai rapporti bilaterali in senso generale, tuttavia abbiamo molte perplessità su questo tipo di accordo, in cui si pone fine ad un embargo – e noi non siamo neanche a favore di questi embarghi, che scatenano dinamiche di sofferenza soprattutto nella popolazione – però vogliamo capire se questo accordo non sia altro che l’accordo per fermare i flussi migratori, creando campi di concentramento ancor meno controllabili da un’opinione pubblica democratica – con tutto rispetto per l’opinione pubblica della Libia – e quindi se ci sia la possibilità di garantire i diritti umani alle popolazioni. Tra l’altro, non si deve pensare che siano centinaia di milioni, sono dei numeri che sarebbero anche bilanciabili con le necessità dell’Italia, che ha sempre più bisogno di forza lavoro soprattutto in certi comparti, e dell’Europa in genere, che comunque ha sempre strozzature in determinati settori del mercato del lavoro.
Io credo che sia da percorrere e da augurarsi una politica maggiormente concertata, una politica di accoglienza degna di questo nome, una politica che sappia stare alle emergenze del presente, senza fare delle ideologie che poi non portano da nessuna parte.
Non credo, purtroppo, che sia il caso di questo trattato, che va nel senso di contenimento, ma con il taglio di ordine pubblico, delle entrate e del blocco, laddove è meno controllabile lo stato di polizia, degli immigrati che vogliano entrare in un territorio che dovrebbe, e oggettivamente può, accogliere e dare prospettive per un futuro, a loro e anche alle loro famiglie.