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da Il Corriere della Sera del 15 dicembre 2004

Giovane rom soffocata dal cassonetto

Milano – Maria era una giovane nomade. Aveva 15 anni. Nel cuore della notte ha provato a “rubare” dei vestiti, in strada, da un cassonetto della Caritas per la raccolta di abiti usati. È rimasta soffocata dalla chiusura in ferro.
Incastrata, ha provato a liberarsi. Deve aver scalciato, gridato, chiesto aiuto. Quando l’hanno liberata era già in agonia: segni viola scuro sul collo, le gambe inerti. È morta tra le mani del medico del 118, distesa sul marciapiede di viale Suzzani. Voleva “rubare” dei vestiti che in una qualsiasi parrocchia di Milano le avrebbero regalato.

In città ci sono 447 cassonetti gialli in cui depositare abiti per i poveri. Una parte viene distribuita nelle chiese, l’altra (il 90 per cento) rivenduta. I ricavi finanziano progetti di assistenza per anziani e malati di Aids. Ci sono 65 addetti che ogni mattina ritirano gli abiti. A scalare quei parallelepipedi gialli di lamiera, alti più di 2 metri, sono quasi sempre dei minorenni. «Altre volte siamo intervenuti – spiegano i vigili del fuoco – per liberare ragazzini intrappolati all’interno dei contenitori». Servono corpi magri e agili per infilarsi in quell’imboccatura non più larga di 40 centimetri per 20. Uno spazio aperto e chiuso da una basculante in ferro manovrata da chi lascia le donazioni. Meccanismo girevole che sul collo di Maria si è trasformato in una tagliola.
Ore 2,30 di ieri notte, viale Suzzani angolo via Asturie, zona Niguarda. Case popolari da una parte, un giardino pubblico dall’altra. Un poliziotto del Reparto mobile di via Cagni, fuori servizio, vede le gambe che penzolano dalla cassa di ferro. Si avvicina. Silenzio dall’interno e deserto intorno. Chiama le volanti. I vigili del fuoco spaccano il lucchetto e aprono il contenitore, solo dall’interno riescono a liberare la ragazza.

Respira ancora, indossa scarpe da tennis, una tuta da ginnastica, una giacca nera, un piumino. I tratti somatici fanno pensare a una Rom. Il medico dell’ambulanza prova a rianimarla, ma Maria muore nel giro di pochi minuti. «Di certo c’era qualcuno ad aiutarla – continua Guanci – è impossibile infilarsi dentro il cassonetto senza una persona all’esterno che tenga aperta la basculante». Una persona, o forse più, fuggita via.
La giovane non ha documenti con sé. Per quindici ore resta senza nome. Gli investigatori della polizia scientifica rilevano le sue impronte digitali e le inseriscono nel terminale della questura. Alle 18 arriva la risposta: la ragazza era stata identificata il 9 ottobre scorso, aveva detto di essere nata nel 1989, di chiamarsi Maria Alina M., romena. Le indagini vengono affidate al commissariato Greco-Turro, mentre il pubblico ministero Tiziana Siciliano decide l’autopsia. La comunità Rom milanese è in allarme, ma nessuno sembra conoscere la ragazza. Nessuno si presenta per chiedere sue notizie.

«In città cresce sempre più – spiega Maurizio Pagani, vicepresidente dell’Opera nomadi – il numero di minorenni non accompagnati, fuggiti dalla Romania o portati qui da sfruttatori. Vivono per conto loro in piccoli insediamenti di fortuna». Mattina di ieri, il cassonetto che ha strangolato Maria ha il portellone aperto. Così lo hanno lasciato i soccorritori. Un immigrato maghrebino si infila dentro, rovista per una mezz’ora. Si allontana con un sacchetto carico di abiti.

di Gianni Santucci