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Il passo di Barrio Chino
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Il massacro di Melilla e le responsabilità politiche: Spagna e UE

Una riflessione dei volontari di Solidary Wheels a due mesi dai tragici fatti

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Sono passati due mesi da una delle vicende più violente e brutali mai avvenute, un tragico simbolo delle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione europea. Era il 24 giugno e un tentativo di massa di passare il confine fra Spagna e Marocco, tra Nador e Melilla, è stato represso nel sangue dalle forze di sicurezza marocchine, ancora una volta le vite delle persone sono state usate come merce di scambio nelle relazioni fra Spagna e Marocco1 e con l’UE. Per il suo ruolo di gendarme e il controllo dei confini il Marocco riceverà 500 milioni di euro aggiuntivi dall’Unione europea. L’aumento di questo nuovo quadro di finanziamenti è del 50% rispetto al precedente (343 milioni).

A due mesi dagli eventi di violenza al confine con l’enclave spagnola, Ong marocchine e spagnole denunciano un vero e proprio accanimento giudiziario nei confronti dei migranti dopo che 47 di loro sono stati condannati dal Tribunale di primo grado di Nador nell’ambito dei fatti del 24 giugno. Il 17 agosto scorso una nuova condanna a 2 anni e mezzo di carcere oltre a una multa di 10.000 DH (Dirham marocchino) per 13 di loro.

Mentre si cerca di rintracciare le persone di cui non si hanno più notizie e i diritti dei sopravvissuti continuano a essere violati, il bilancio finale di questo massacro in termini di vite umane è destinato a salire. Il rapporto indipendente dell’Associazione marocchina per i diritti umani (AMDH) parla di 64 persone che risultano disperse da quel 24 giugno 2.
La frontera sur della Spagna è una delle più mortali nel mondo: un primo rapporto sul 2022, segnato dal massacro di Melilla, pubblicato da Caminando Fronteras denuncia la morte, in questo primo semestre, di 978 persone.

Photo credit: Caminando Fronteras

La traduzione delle riflessioni dei volontari di Solidary Wheels. SW denuncia e monitora le violazioni dei diritti umani perpetrate lungo il confine tra Spagna e Marocco, nonché le condizioni di vita insalubri e insicure a cui sono costrette le persone in movimento che vivono per strada o in diversi centri di accoglienza a Melilla. L’associazione offre supporto medico, legale e psicologico.

Photo credit: Solidary Wheels

Sul massacro di Melilla: né scuse, né indennizzo

Una riflessione dei volontari di Solidary Wheels a Melilla 3

A più di un mese dal massacro avvenuto il 24 giugno 2022 presso la barriera tra Nador e Melilla, non c’è stato alcun indennizzo per le vittime e le loro famiglie, i fatti non sono stati chiariti e non sono state accertate le responsabilità. E non è stata spesa neanche qualche sentita parola di rincrescimento da parte del presidente più democratico e progressista di tutta la storia spagnola, per denunciare il fatto che più di 30 persone hanno perso la vita in questa azione sanguinosa, coordinata tra Spagna e Marocco per fermare l’ingresso a Melilla dei richiedenti asilo.

A più di un mese dal massacro, ancora non si conoscono le reali dimensioni della brutalità usata al confine di Melilla il 24 giugno. Il governo non ha fornito alcuna spiegazione ulteriore e le indagini avviate dal Ministero della Giustizia e dal Difensore Civico non hanno ancora prodotto informazioni più precise sull’accaduto. Anche sul fronte marocchino c’è stato un generale silenzio fino al 13 luglio, quando il presidente del Comitato Nazionale Marocchino per i Diritti Umani (CNDH) ha accusato le autorità spagnole di non aver soccorso i migranti morti nel tentativo di scavalcare la barriera.

Sono molte le richieste di chiarimenti su quanto avvenuto. Per esempio, Dunja Mijatović, Commissario per i Diritti Umani nel Consiglio d’Europa, il 13 luglio ha richiesto informazioni al Ministro degli Interni Fernando Grande-Marlaska, in merito al ruolo ricoperto dalle forze di sicurezza spagnole. Più precisamente, ci sono già due indagini in corso a questo proposito (quelle sopra citate).

Analogamente, cinque esperti delle Nazioni Unite per i diritti umani (MIEI) hanno chiesto ai governi marocchino e spagnolo di accertare le responsabilità e fornire informazioni dettagliate sull’incidente, soprattutto sulle indagini avviate.

Analogamente, molte organizzazioni sociali e umanitarie si sono mobilitate per denunciare l’accaduto, diffondendo comunicati e organizzando manifestazioni pubbliche per dare visibilità alla loro protesta contro tutte le violazioni dei diritti che si sono verificate non solo il 24 giugno, ma ogni giorno sulla frontiera sud: vengono messi sotto accusa le strutture fisiche erette lungo la linea di confine, il business migratorio tra Spagna e Marocco e l’esternalizzazione della gestione dei confini spagnolo ed europeo, che mettono a rischio le vite dei migranti e dei richiedenti asilo. Per questo, lunedì 25 luglio è stata inviata una lettera al Presidente del governo spagnolo e a diversi parlamentari, a nome delle 1.084 associazioni e dei 5.975 cittadini che hanno firmato il comunicato congiunto, per chiedere di promuovere e sostenere la commissione di indagine all’interno del Congresso.

Ad oggi, 29 luglio, mancano le risposte, le responsabilità, le scuse e gli indennizzi.
Tuttavia, nonostante la tattica delle autorità marocchine di mettere a tacere attivisti e giornalisti, il lavoro di molte organizzazioni per i diritti umani ci ha permesso di fare un po’ di luce sui fatti. Secondo i dati pubblicati da AMDH (Association Marocaine des Droits Humains), non si hanno ancora notizie di almeno 64 persone di origine sudanese 4.

L’ultimo rapporto pubblicato da AMDH sull’argomento, evidenzia il fatto che l’azione condotta dalle autorità marocchine, con il supporto e l’accordo della Spagna, ha messo a rischio la vita delle persone e che potrebbero esserci anche più di 40 vittime 5.
Questo dato è confermato anche dall’associazione Caminando Fronteras tramite varie testimonianze.

Il massacro del 24 giugno aveva iniziato a prendere forma molto prima di quella data. Come è già stato evidenziato in molti comunicati stampa e dai media, la violenza messa in atto dalle autorità marocchine era cresciuta in modo esponenziale nei giorni precedenti al tentativo di scavalcare la barriera, attraverso continue incursioni e sgomberi forzati. Questo fatto è strettamente collegato con il miglioramento delle relazioni tra Spagna e Marocco.

Per anni, Spagna e Marocco hanno mantenuto rapporti tesi ma controllati. La tensione è aumentata recentemente, quando la cosiddetta “Fortezza Europa” ha esternalizzato la gestione dei suoi confini, dando al Marocco un ruolo di primo piano nel controllo di questi ultimi. Con l’ingresso della Spagna nella NATO (nel 1982) e nell’Unione Europea (nel 1986), il primo barcone di migranti è arrivato sulla costa di Cadice nel 1988; con la firma del Protocollo di Barcellona (1995), furono costruiti il muro di Ceuta (1996) e quello di Melilla (1998). Quando al Marocco è stato conferito il riconoscimento di principale alleato non-NATO (2004), l’altezza del muro di Melilla è stata aumentata (2005).

Fra i due Paesi sono intercorsi parecchi accordi, che hanno avuto un impatto diretto sull’architettura della frontiera e sul trattamento riservato a chi tentava di passare e nessuno di questi accordi include garanzie sul rispetto dei diritti umani. L’esempio più recente è quello del trattato che Spagna e Marocco hanno firmato quest’anno alla fine di marzo, per consolidare la cooperazione in materia di migrazione (tra l’altro, con l’installazione dei cosiddetti “reticolati a pettine” in cima all’ultimo tratto di recinzione installata, per fare in modo che sia ancora più difficile scavalcarla).

Le conseguenze di quest’ultimo trattato sono evidenti se si confrontano la natura e il trattamento dei tentativi di salto del confine nel mese di marzo e di quest’ultimo di giugno. Secondo quanto riferisce AMDH, nei primi mesi dell’anno, con le relazioni fra Spagna e Marocco ancora tese a causa della crisi diplomatica tra i due Paesi per tutto il 2021, non c’è stato praticamente nessun attacco contro gli insediamenti nella zona del monte Gurugù, ma numerosi tentativi di passaggio. Invece, dopo che le relazioni tra i due governi sono tornate amichevoli, a partire da metà marzo ma soprattutto in aprile, maggio e giugno, i raid sono aumentati e i tentativi di scavalcare il muro sono diminuiti. Di fatto, in appena tre mesi, in quest’area sono stati effettuati 31 attacchi, pari al numero totale di attacchi di tutto lo scorso anno.

Concentrandoci maggiormente sulla natura degli scavalcamenti di marzo e giugno, vediamo che in marzo, durante il raffreddamento delle relazioni fra i due Paesi, più di 2.500 migranti hanno scavalcato il muro e non ci sono state delle morti accertate (malgrado alcuni testimoni che sono riusciti a raggiungere Melilla ritengano che anche nei passaggi tentati in questo periodo ci siano state delle vittime), il numero dei feriti era più basso e 900 migranti sono riusciti a entrare nell’enclave spagnola in territorio marocchino (Melilla), malgrado la violenza esercitata dalle autorità marocchine e spagnole. Al contrario, durante quest’ultimo tentativo di passaggio in massa del muro, con il clima politico decisamente più rilassato, sono state documentate decine di morti e feriti, e solo 133 persone sono riuscite a entrare a Melilla 6. È solo una coincidenza?

In aggiunta, come già evidenziato in precedenti comunicati, quest’ultima strage è avvenuta pochi giorni prima del vertice NATO tenutosi a Madrid il 28 giugno (un’altra coincidenza?), nel corso del quale, lungi da un’autocritica delle autorità spagnole sulla situazione e sulle loro azioni, quanto accaduto è stato utilizzato come argomento a favore del proseguimento della militarizzazione, del controllo e della chiusura della frontiera meridionale europea.

A seguito di quest’ultimo passaggio collettivo del muro, le molteplici violazioni dei diritti umani patite dai migranti e dai richiedenti protezione internazionale sono diventate ancora una volta evidenti. Persone sopravvissute al massacro hanno dichiarato, durante una delle manifestazioni svoltesi a Melilla, che molti dei migranti che hanno cercato di scavalcare il muro avevano già manifestato la loro intenzione di richiedere asilo presso gli uffici UNHCR in Marocco e, nonostante ciò alcuni di loro sono stati rimpatriati illegalmente nei loro paesi d’origine.
Il documento rilasciato dall’UNHCR in riferimento alla loro domanda di asilo, in Marocco è un pezzo di carta senza valore, finisce confiscato o distrutto e non li protegge in alcun modo. Appena al di là del confine, viene negato ai richiedenti asilo il diritto ad un alloggio (non possono nemmeno affittare una casa in territorio marocchino), alla salute e alla vita. Intanto, l’atteggiamento della Spagna oscilla tra l’approvazione e il supporto.

Inoltre, le 133 persone che sono riuscite a raggiungere Melilla e sono entrate nel CETI – Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes (Centro di Permanenza Temporanea per Migranti), sono state trattenute illegalmente anche per sei giorni dopo il loro arrivo (dal venerdì al mercoledì successivo). L’isolamento si basava su una presunta quarantena COVID, nonostante i test antigenici avessero dato esito negativo. In questo modo, è stato violato il loro diritto alla libertà di movimento e di espressione, è stato negato il contatto con il mondo esterno e la possibilità di piangere i loro compagni uccisi. La quarantena, quindi, è stata applicata in modo del tutto arbitrario e assolutamente contrario al rispetto dei diritti; i migranti non potevano uscire dal Centro per denunciare ciò che era successo o per chiamare le loro famiglie, però potevano andare alla stazione di polizia e, in qualche caso, ricevere proposte per il loro rimpatrio. Tutti hanno presentato domanda di asilo e alla fine, per loro, è stata applicata la procedura di asilo prevista per le persone che sono già presenti sul territorio dello stato, e non quella accelerata che si adotta alle frontiere, come era stato fatto per le persone arrivate in marzo.

D’altra parte, AMDH (Associazione Marocchina per i Diritti Umani), evidenzia chiaramente nel suo ultimo rapporto che questo tentativo collettivo di passare il muro è il risultato della normalizzazione delle relazioni fra i due governi e ha provocato decine di morti e feriti a causa delle particolari azioni delle forze marocchine e spagnole: non hanno disperso le persone che scendevano dalla montagna fino al momento in cui hanno raggiunto la recinzione e successivamente le hanno circondate per impedire loro il ritorno verso la montagna. A questo si aggiunge l’utilizzo massiccio e micidiale di gas lacrimogeni e di pallottole di gomma in uno spazio ristretto. L’intervento repressivo da parte spagnola è stato senza dubbio alla base dell’aumento del numero di vittime soffocate e mostra chiaramente il livello di coordinamento locale tra i due paesi: i gas lacrimogeni marocchini si sono mischiati a quelli spagnoli, lanciati in due direzioni opposte per causare il maggior danno e il maggior numero di vittime possibile. Inoltre, è stato completamente ignorato il dovere di prestare soccorso, dato che è stata data priorità al trasporto dei cadaveri piuttosto che a quello dei feriti, che forse sarebbero sopravvissuti, se opportunamente curati.
Per quasi nove ore, non è stata prestata nessuna assistenza ai feriti, né da parte dei marocchini né degli spagnoli, che avevano diverse ambulanze pochi metri più in là, mostrando così il vero volto delle politiche migratorie e della cooperazione marocchino-spagnola, incentrate esclusivamente sulla sicurezza.

Dopo quanto successo, il Presidente Pedro Sanchez ha elogiato il lavoro e la collaborazione tra le forze dell’ordine per gestire il “violento assalto”, un’ espressione che ha ritenuto necessario enfatizzare più volte. Solo qualche giorno dopo, e dopo parecchie dichiarazioni simili che criminalizzavano le vittime del massacro, quando gli è stata chiesta la sua reazione e i dati sui morti già ufficializzati dal Marocco, ha giustificato le sue parole dicendo di non sapere, allora, che erano state uccise delle persone durante il tentativo di passaggio del muro. Dichiarazioni lontane dal Pedro Sancez del 2018 che difendeva il diritto dei migranti a corridoi legali e sicuri (ma allora non era ancora un membro dell’Esecutivo), mentre sono parole che ci saremmo aspettati da un partito di estrema destra come Vox.

D’altra parte, i partner di governo hanno espresso denunce individuali. Per esempio, Serigne Mbaye, responsabile Anti-razzismo all’interno di Podemos e deputato di Unidas Podemos nell’Assemblea di Madrid, ha espresso fin da subito “la tristezza, la rabbia e l’indignazione” da lui provate, perché “ancora una volta la logica violenta della UE giustifica i morti al muro di Melilla come se alcuni meritassero di vivere e altri di morire”.

Secondo le ultime notizie sulla condizione degli oltre 60 sopravvissuti al massacro che erano stati arrestati oltre il muro, un tribunale di Nador ha condannato 33 di loro a 11 mesi di carcere. Ad alcuni dei reclusi sono stati contestati presunti reati quali disobbedienza, distruzione di beni, possesso di armi da taglio, assalto, ferite a mano armata ed altri, fra cui associazione a delinquere, sequestro di persona e incendio doloso.
Infine, questo gruppo di 33 persone, in maggioranza di origini sudanesi, è stato condannato a pagare una penale e un risarcimento “per aver favorito e organizzato l’entrata e l’uscita clandestine attraverso il Marocco di cittadini stranieri, per blocco stradale armato e offesa a pubblico ufficiale”, senza prove e senza garanzie per il loro status di richiedenti asilo.

La data del 24 giugno non segna un’eccezione nell’attuale politica sulle migrazioni, né una tragedia naturale inevitabile. Proprio come ognuna delle morti avvenute sul confine meridionale, il 24 giugno è una diretta conseguenza delle decisioni politiche prese in Europa e in Spagna e quindi i responsabili sono questi. Chiediamo precise risposte e assunzione di responsabilità, informazioni sulle indagini in corso e indennizzi per le famiglie delle vittime.

Queste sono decisioni, non coincidenze: in politica non esistono le coincidenze.

  1. I nuovi accordi tra Spagna e Marocco si basano sostanzialmente sul riconoscimento di Madrid della legittimità dell’occupazione marocchina nel Sahara Occidentale e il saccheggio delle risorse di un territorio occupato militarmente. Per approfondire leggi gli articoli di Mattia Iannacone
  2. Qui il rapporto
  3. Qui l’originale
  4. Nomi delle 64 persone di cui mancano notizie dopo il 24 giugno: Qusai Ismail Abdel Qader (Sudan), Marwan Mohiuddin (Sudan), Muhammad Abdullah Abdul Rahman (Sudan), Jalal Abdul Shakour (Sudan), Mustafa abkar yahya (Sudan), Muhammad Yaghioub Abdel Rasoul (Sudan), Muhannad Mamoun Issa (Sudan), Abdullah Omar (Sudan), Mustafa Aber (Sudan), Al-zubair Mursal (Sudan), Ibrahim Othman (Sudan), Adel Youssef (Sudan), Pararse en Ali (Sudan), Ahmed Al Mahdi (Sudan), Bakri Saleh (Sudan), Khaled Abkar (Sudan), Ahmed Al-Hajj (Sudan), Muhammad Haroun (Sudan), Nabil Abkar (Sudan), Ahmad Adam (Sudan), Ibrahim Sedik (Sudan), Yasser Elias (Sudan), Ahmed Al-Tom (Sudan), Ibrahim Al-Tijani (Sudan), Saleh Kamal (Sudan), Core William, alias Jedou o Gedo (Sud Sudan), Adel Abdul Rahman (Sudan), Tariq Ibrahim (Sudan), Abdul Razzaq Ibrahim (Sudan), Yousef Abdullah (Sudan), Othman Abdul Rahim (Sudan), Saddam Ahmed (Sudan), Hassan Youssef (Sudan), Abazar Salah (Sud Sudan), Abdullah Omar (Sudan), Ibrahim Mohamed (Sudan), Omar Ahmed (Sudan), Farouk Saleh (Sudan), Abdulaziz Mohammed (Sudan), Mohamed Salah (Sudan), Ahmed Muhammadin Ahmed (Sudan), Moatasem Adam Abdel-Bashir (Sudan), Jalal Abdul Shakour Yahya (Sudan), Mohamed Wad Angeli (Sudan), Isaac Issa (Sudan), Ibrahim Ali Muhammad (Sudan), Mahdi Muhammad (Sudan), Imam de herencia (Sudan), Abdullah Omar (Sudan), Bagdad Hussein (Sudan), Wali al -din Muhammad Ali (Sudan), Abdul Basit Muhammad Ishaq (Sudan), Nasruddin Abkar Khamis (Sudan), Abdul Rahim Abdul Latif Ali Ibrahim, detto ‘Haneen’ (Nostalgia) (Sudan), Ahmed Babiker Mohammed (Sudan) (visto per l’ultima volta all’ospedale di Nador), Bechara Ibrahim Idris (Sudan), Mazen Daffa Allah (Sudan), Adam Khamis Ahmed (Sudan), Hamed Youssef (Sudan), Abu Bakr Hussein (Sudan), Ibrahim Al-Helou (Sudan), Suleiman Abkar Haroun (Sudan), Adam Mustafa Harin (Sudan), Abdel Aziz Yaqoub, detto ‘Anwar’ (Sudan) (tre testimoni ne confermano la morte).
  5. La tragedia al confine di Bario Chino”, Association Marocaine des Droits Humains – Section Nador, 20/07/2022. Vedi qui
  6. La tragedia al confine di Bario Chino”, Association Marocaine des Droits Humains – Section Nador, 20/07/2022: pg.9.