Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Giovanna Dimitolo
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Andare oltre i Centri di permanenza per i rimpatri (CPR)

È necessario creare le condizioni politiche e culturali per una nuova legislazione

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La terza parte di un approfondimento sul CPR di Palazzo S. Gervasio, e in generale sulla detenzione amministrativa, con l’auspicio che in Italia si apra seriamente tra le forze politiche una discussione sulla chiusura di tutti i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, e così si concluda la lunga e fallimentare politica della detenzione delle persone straniere considerate dalla normativa attuale irregolari.


Oggi il dibattito intorno al problema migratorio è molto più forte rispetto al più recente passato. Avere un governo di centro destra che ha promesso in campagna elettorale di risolvere le problematiche legate ai flussi migratori con la bacchetta magica ha il vantaggio di aver liberato il dibattito pubblico e di aver sciolto la lingua anche di quelle forze politiche e sociali che invece nel recente passato tacevano o addirittura sposavano politiche e soluzioni diametralmente opposte a quelle oggi sbandierate.

Se questo discorso vale soprattutto per il tema dei soccorsi in mare, per la gestione dei flussi migratori e per gli obblighi di accoglienza, meno forte invece è il dibattito rispetto all’annoso tema della detenzione amministrativa e ai Centri di Permanenza per i Rimpatri. Questi luoghi continuano ad essere zone franche, luoghi in cui si continua ad assistere ad una sospensione dei diritti, un limbo giuridico e fisico in cui la “reclusione” forzata non si accompagna a trattamenti dignitosi e ad una effettiva e concreta tutela dei diritti e della dignità delle persone.

La privazione della libertà, le restrizioni alla possibilità di movimento, le condizioni degradanti in cui molte persone straniere vengono costrette a vivere per mesi, lo stigma che viene loro impresso sulla pelle, l’abuso nei mezzi di contenimento, l’uso incontrollato di psicofarmaci, le violenze fisiche e psichiche, sono state ampiamente documentate e hanno riguardato e riguardano indistintamente tutti i CPR dislocati sul territorio nazionale.

Il caso Palazzo San Gervasio è emblematico in quanto rappresenta iconicamente tutto ciò che non funziona in questo sistema pensato per governare un fenomeno e diventati invece semplicemente luoghi di detenzione, di contenimento, di brutalità che non aiutano a governare il fenomeno ma a peggiorare molto spesso la situazione.

La vera sfida allora che va lanciata alla politica è quella di riuscire ad immaginare un sistema che non si fondi più sul sistema CPR e sulla detenzione amministrativa. Governare il fenomeno migratorio non significa necessariamente detenere le persone straniere che arrivano sul nostro territorio o che sono già presenti da anni in esso.

La vera sfida è quella di creare percorsi snelli e chiari per consentire di superare quel limbo in cui sono costretti a vivere tantissime persone. La vera sfida che deve affrontare una politica seria si fonda su un cambio di prospettiva che superi l’idea che la persona straniera è utile quando fa bene al nostro sistema produttivo, è un problema quando non serve più alle nostre aziende. Uscire da questa logica tutta economica è un passo necessario per affrontare il tema dell’immigrazione da un punto di vista diverso.

In questo contesto allora vanno collocate le richieste di chi vorrebbe una chiusura dei CPR e non un loro potenziamento o una loro maggiore diffusione. All’interno di un percorso legislativo ma, prima ancora culturale, va inserita la richiesta di chiudere con una pagina buia della storia e della legislazione italiana.

Andare oltre i CPR richiede un impegno importante per creare le condizioni politiche e culturali per una nuova legislazione, per un nuovo approccio, per una diversa sensibilità rispetto al tema. Un nuovo approccio che si faccia carico anche delle tante criticità che esistono in Italia e che vengono purtroppo amplificate da un sistema di accoglienza che fa acqua da tutte le parti. Non vanno ignorati i problemi che pure esistono e che spingono tantissime persone a richiedere politiche securitarie e repressive. Ma i problemi possono essere risolti e affrontati in modi molto diversi e allora occorre avere il coraggio di farsi carico anche di queste questioni per offrire quelle risposte alternative che servono ad invertire la rotta e a smontare la propaganda politica.

Le questioni che siamo chiamati ad affrontare sono sicuramente complesse e le risposte non possono essere semplicistiche e scontate. Occorre un grosso lavoro di studio, di confronto, di partecipazione, di condivisione di esperienze e di informazioni, ma anche di conoscenze e di competenze, per disegnare un nuovo sistema di accoglienza, una nuova legislazione, una nuova idea di convivenza.

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Avv. Arturo Raffaele Covella

Foro di Potenza.
Sono impegnato da anni nell’ambito della tematica del diritto dell’immigrazione, con particolare attenzione alla protezione internazionale e alla tutela dei lavoratori stranieri. Collaboro con diverse associazioni locali che si occupano di migrazioni. Scrivo per diverse riviste.