Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Maldusa
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Il collasso dell’hotspot di Lampedusa, la libertà dei detenuti e la solidarietà degli isolani

Cronache dall'isola dell'associazione Maldusa

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Raccontare quello che sta avvenendo a Lampedusa significa provare a capovolgere una narrazione mainstream spesso tossica, che è per la maggior parte funzionale alla creazione di quello stato di emergenza ricercata dal governo per poi imporre soluzioni drastiche e comprimere ulteriormente la sfera dei diritti delle persone migranti.
Crediamo che per comprendere appieno gli avvenimenti, prima di tutto, sia importante valorizzare la voce di chi racconta quello che sta succedendo sull’isola di Lampedusa con uno sguardo indipendente, denunciando le gravi responsabilità delle istituzioni e la risposta degli isolani, al di fuori di ogni retorica.
L’associazione culturale Maldusa, si propone di facilitare la libertà di movimento, supportando le infrastrutture già esistenti per la solidarietà con le persone migranti. Ha due stazioni di ricerca e documentazione, a Palermo e a Lampedusa.

Lampedusa, 15 settembre – In uno dei locali del vecchio Porto, qualche settimana fa, il proprietario del posto aveva parlato di traffico di essere umani e di giro di soldi tra istituzioni e ONG in relazione a quello che era successo durante la giornata. Era la sera di giovedì 24 Agosto e Lampedusa era stata attraversata dall’ennesimo evento “eccezionale” dell’estate: 64 arrivi in un giorno solo. Nello stesso locale, stasera, un ragazzino tunisino stava seduto a un tavolo e insieme a quello stesso proprietario, sebbene in lingue diverse, si scambiavano racconti.

Ciò che è stato scosso a Lampedusa, oltre evidentemente all’Hotspot (che è crollato), è quel sistema di segregazione che esso ha alimentato per anni, intaccando l’immaginario stesso di un potenziale incontro con le persone appena arrivate e su cui le teorie complottiste sulla migrazione hanno trovato terreno fertile, riducendo le persone in movimento a mere vittime di un sistema costrittivo che li “attrarrebbe” in Europa.

Nelle scorse due giornate, invece, tra le vie di Lampedusa e senza squadre di polizia in modalità caccia all’uomo, gli spazi pubblici, le panchine, i bar, le strade e i tavolini si sono riempiti di incontri, di cartoni di pizze offerte o acquistate dalle persone stesse, di caffè in solitaria in una via Roma addobbata a festa per la Madonna di Porto Salvo. Senza hotspot ed eventuali meccanismi di segregazione, Lampedusa diviene spazio di incontri e gesti di solidarietà fatti con estrema leggerezza.

Teglie di ravioli alla cernia, arancini, pasta, riso e couscous entrano nella piccola stanzetta accanto alla chiesa dove volontari cercano di garantire il più alto numero di pasti possibili a persone che, portate in hotspot dopo lo sbarco, da tre giorni non riuscivano ad accedere a cibo e acqua. Scene impensabili solo qualche giorno prima.

Dagli anni della pandemia, che hanno dichiarato la fine dell’epoca dell'”hotspot col buco“, nessuna persona appena arrivata poteva uscire dal centro e, a pensarlo ora, tutti facevano difficoltà ad immaginare un hotspot aperto, con gente che attraversa la città liberamente in periodo di stagione estiva.

Ieri sera, 14 settembre, su via Roma gruppi di persone che la settimana scorsa non si sarebbero mai incontrate, hanno danzato con allegria e complicità a dimostrazione del fatto che piuttosto che chiudere le attività commerciali sarebbe stato il momento di aprirle ancora di più e per logiche slegate dal profitto.

In questi giorni, la pratica precede ogni retorica e quello che succede dimostra che Lampedusa può essere isola nel Mediterraneo senza essere frontiera, che le sue strade possono essere luogo di accoglienza senza un centro chiuso che soffoca ogni spazio di solidarietà autogestita.

Il problema non è la migrazione bensì il dispositivo adibito a gestirla

La situazione per le migliaia di persone arrivate negli ultimi giorni resta preoccupante e precaria. In Contrada Imbriacola, anche stanotte, si dorme a terra o su brandine accanto agli autobus che in mattinata condurranno alle navi per i trasferimenti.

Tra la gente, oltre alla confusione e ad informazioni sbagliate, c’è tanta stanchezza e fatica.

Tanti gli adolescenti e le adolescenti e tanti i bambini e le donne incinte. Non ci sono docce, né sanitari e le persone lamentano ancora l’inaccessibilità a cibo e acqua; la competitività durante le distribuzioni di cibo, infatti, disincentiva molt* a causa della tensione che implica fare la fila. Le risse scoppiate due giorni fa ne sono l’esempio e proprio da tale evento la maggior parte degli operatori di tutte le associazioni presenti nel centro non hanno potuto più entrare per ragioni di sicurezza e garanzia della propria incolumità.

Se Croce Rossa e Prefettura non vogliono ammettere le proprie responsabilità, queste sono palesi sotto i nostri occhi e a dimostrarlo non sono solo le immagini di 7.000 persone ma il modo in cui le situazioni vengono gestite a causa di mancanza assoluta di personale e, soprattutto, confusione nei momenti organizzativi.

Un commissario di Polizia ha tentato inutilmente di far entrare soltanto alcune persone nell’autobus. Il numero e la determinazione a partire delle persone appena arrivate sta riformulando il funzionamento stesso dei trasferimenti

Durante i trasferimenti di ieri mattina, i carabinieri hanno caricato con violenza delle persone accalcate intorno a un autobus in partenza, per farle spostare. Quest’ultimo, a costo di spostarsi, ha effettuato una manovra che ha stretto la folla contro un muretto creando una situazione estremamente pericolosa. Tutte le persone in fila da ormai ore hanno dovuto spostarsi caoticamente creando una confusione dalla quale è iniziata una rissa in cui almeno una persona è rimasta ferita.

Poco prima, uno dei commissari di polizia aveva tentato una strategia diversa per non creare disordine: creando un bruco umano – persone in fila e con le mani sulle spalle – per poterle condurre in un autobus ma una volta aperte le porte, altre persone si sono fiondate dentro . In altri termini si sta procedendo a tentoni a costo della salute mentale e fisica di altri.

Nel trasferimento della serata di ieri, 14 settembre (serie di foto con spiegazione), 300 persone sono rimaste al molo commerciale dalla mattina per poter entrare nella nave Galaxy solo alle nove di sera. A fronte di queste 300 persone, altrettante sono arrivate dall’hotspot per salire sulla nave o per provare a farlo. La tensione, soprattutto tra chi controlla, è palpabile; i commissari rimasti sull’isola – le 4 pattuglie di forze dell’ordine sono tutte state impegnate per i trasferimenti della giornata – si sono “schierati” tra un gruppo e l’altro con l’obiettivo di evitare ogni tentativo di saltare sulla nave. In realtà le persone, tra cui adolescenti e famiglie con bambini, hanno sperato fino alla fine di salire su quella nave.

Nessuno gli ha comunicato che non sarebbe stato possibile fino a quando tutte e 300 le persone sono passate dall’unico ingresso lasciato aperto per accedere al molo commerciale. A queste persone è stato promesso che sarebbero partite il giorno dopo. Nel frattempo, altra gente proveniente dall’hotspot si è spostata al molo commerciale e sta passando la notte lì.

Le persone esigono di partire e di spostarsi liberamente. Ostacolare piuttosto che sostenere questa libertà di circolazione ricondurrà persone e territori negli stessi circoli viziosi vissuti regolarmente negli ultimi anni. L’hotspot è crollato, ma restano altre forme di frontiera che ostruiscono qualcosa di estremamente semplice come l’autodeterminazione personale. La costrizione e la repressione sono la la fonte di questi problemi, non la libertà.

Contro tutte le forme di frontiera, per la libertà di movimento di tutt*.