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Caso Iuventa: le violazioni dei diritti fondamentali e la politicizzazione del processo

L’intervista all'Avv. Francesca Cancellaro, collegio difensivo dell'equipaggio Iuventa

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Gli sviluppi del processo Iuventa

La criminalizzazione delle attività di soccorso in mare e delle ONG impiegate nelle operazioni di ricerca e salvataggio risultano ormai due argomenti costantemente presenti nelle aule dei Tribunali italiani. Sin dal 2016 la politica europea e nazionale, in parallelo ai canali di comunicazione, continuano a propinare una crescente campagna di delegittimazione delle attività di salvataggio, vendendola ai cittadini degli Stati membri come una scelta legittima e necessaria per la protezione delle frontiere europee ed italiane.

Ad oggi, il cosiddetto caso “Iuventa” rappresenta il più grande procedimento penale contro i soccorritori civili in mare, ma soprattutto il primo processo ad arrivare sino alla fase dell’udienza preliminare che ha attirato l’interesse di attivisti in tema di diritti umani di tutto il mondo. La vicenda fattuale sorge nell’estate del 2017, a seguito del tentativo del governo italiano di imporre un “codice di condotta” alle ONG impiegate nel soccorso in mare, fra cui la nave della organizzazione tedesca Jugend Rettet (Giovani in soccorso). Le condizioni stringenti imposte dal governo non hanno permesso l’instaurazione di una linea operativa comune tra la politica e gli attivisti della società civile. Le ONG coinvolte, fra cui Jugend Rettet, hanno descritto il codice di condotta come una vera e propria minaccia al loro operato in mare, rifiutandosi di firmare prima della scadenza del 31 luglio 2017.

Questa decisione ha dato il via ad un iter processuale che vede oggi i quattro membri dell’equipaggio Iuventa imputati di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” ex art. 12 del decreto legislativo 286/1998, il c.d. Testo Unico sull’immigrazione. Il 2 agosto 2017 la nave Iuventa dell’organizzazione Jugend Rettet è stata sottoposta a sequestro su mandato giudiziario italiano per il sospetto di “assistenza alla migrazione illegale” e collusione con i trafficanti durante tre diverse operazioni di salvataggio svolte durante il 2016 e il 2017, quando al Viminale sedeva Minniti e il governo Gentiloni firmava l’accordo Italia-Libia.

Le indagini del 2017 coinvolgevano altre due organizzazioni attive nel Mediterraneo fra l’estate del 2016 e l’estate del 2017, quali Medici Senza Frontiere e Save the Children. Dopo tre anni di indagini, la Procura di Trapani ha formalizzato le accuse nei confronti dei membri dell’equipaggio delle tre organizzazioni coinvolte per un totale di 21 persone imputate di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” ex art. 12 del T.U. sull’immigrazione. Il 21 maggio 2022 si arriverà, così, alla prima udienza preliminare presso il Tribunale di Trapani che ha dato vita ad un processo giudiziale rivelatosi alquanto intricato e politicizzato.

Difatti, il giudice dichiarava la sospensione del procedimento all’udienza del 15 giugno 2022 in quanto l’accusa aveva mancato di informare gli imputati sugli aspetti cruciali del procedimento, violandone così i diritti fondamentali. Nel dicembre 2022, la difesa aveva contestato la mancata presenza di interpreti adeguati agli imputati, che ha costretto nuovamente il Tribunale di Trapani a sospendere il procedimento. Tuttavia, si è assistito per la prima volta all’approvazione da parte dei giudici nazionali alla presenza degli osservatori internazionali durante le fasi dell’udienza preliminare.

La svolta inaspettata arriva il 19 dicembre 2022. Pochi giorni prima, il gip del tribunale di Trapani ordinava alla capitaneria di porto ampi lavori di manutenzione per riportare la nave alle condizioni dell’agosto 2017. A seguito di questa ordinanza, il ministero dell’Interno si costituiva parte civile con la richiesta di risarcimento dei danni economi e morali, svelando così definitivamente la natura politica del processo che si cercava di oscurare sin dalle indagini del 2017.

La violazione dei diritti fondamentali, invece, veniva portata sul tavolo dai tre relatori speciali dell’ONU che hanno richiesto inequivocabilmente l’archiviazione del caso Iuventa. A tal riguardo, i relatori hanno manifestato la loro preoccupazione per «il ripetuto ricorso all’articolo 12 del decreto legislativo 286/1998 per colpire i difensori dei diritti umani che operano nel campo dei diritti umani dei migranti», evidenziando l’incompatibilità di questa legislazione con gli standard internazionali.

Coerentemente, la difesa della Iuventa presentava un’istanza di rimessione alla Corte costituzionale italiana, o in alternativa alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), contestando la base normativa del procedimento. Tale istanza veniva, tuttavia, dichiarata infondata dal Tribunale di Trapani.

L’Avvocata Francesca Cancellaro, legale di Iuventa crew, ripresentava da ultimo l’istanza di remissione alla CGUE per consentire la valutazione della legittimità del reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e la compatibilità con gli standard internazionali. A tal proposito, abbiamo avuto modo di confrontarci con lei sulle violazioni dei diritti fondamentali presenti nel caso Iuventa e la politicizzazione del processo.

I diritti fondamentali violati
PH: Emanuela Zampa

Come dimostrato dalle varie narrazioni avute durante le fasi di indagini e processuali, il caso Iuventa rappresenta un luogo di continua violazione dei diritti fondamentali degli imputati. La mancanza di traduttori legali adeguati è stato uno dei problemi cruciali portato all’attenzione del gip di Trapani, che tuttavia ha considerato la questione priva di rilevanza.

L’Avvocata Francesca Cancellato ci ha parlato di «carenze sistematiche» presenti nel sistema giudiziario italiano, che portano alla continua violazioni dei diritti fondamentali e il mancato rispetto delle garanzie minime del fair trial. «Si tratta di lacune molto gravi», aggiunge la legale, fra cui la mancanza di traduttori legali adeguati a garantire un’assistenza efficiente agli imputati stranieri del processo. «Penso, per esempio, al fatto che soltanto il 3% dell’intero fascicolo delle indagini è stato tradotto, o al fatto che durante gli interrogatori sono stati convocati e chiamati ad operare come interpreti delle persone che non erano assolutamente qualificate per farlo», ha affermato la legale.

Eppure, queste garanzie procedurali minime molto spesso non trovano spazio ed applicazione nei procedimenti per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, che vedono imputate persone che non parlano la lingua italiana, stranieri che non sono necessariamente soccorritori, ma che molto spesso sono persone in movimento. Di conseguenza, il risultato esplicito è un aggravamento della posizione legale di questi soggetti, i quali faticano a comprendere il livello delle violazione subite a causa delle serie difficoltà linguistiche e di comunicazione. Queste carenze si traducono, dunque, in costanti gravi violazioni della tutela dei diritti fondamentali e si ripercuotono nella lesione del diritto di difesa.

«Sono violazioni che noi riscontriamo nel caso Iuventa, e che però abbiamo la fortuna di poter denunciare, di poter porre l’attenzione di tutti, con la speranza e con la volontà che queste violazioni non si riproducano anche nei confronti di tutti gli altri imputati stranieri». Il processo Iuventa risulta pertanto un’opportunità di denuncia per tutti i soggetti della società civile, sia per i cittadini di paesi terzi in cerca di protezione, tanto per i soccorritori in mare stranieri criminalizzati per le attività di solidarietà.

«La campagna dedicata alla mancanza di traduzione», afferma l’Avv.ta Cancellaro, «è stato essenziale per porre l’attenzione rispetto a queste mancanze, lamentando dinanzi al tribunale di Trapani queste carenze sistematiche e richiedendone una soluzione concreta. Ci siamo in parte riusciti grazie, ad esempio, ai risultati pratici che abbiamo ottenuto non solo grazie all’implementazione del servizio di traduzione ed interpretariato nel corso dell’udienza, ma anche all’acquisto da parte del tribunale di strumenti tecnici a supporto che aiutano gli interpreti durante la traduzione».

PH: Iuventa-crew

Tale risultato risulta ad oggi un traguardo fondamentale per la tutela dei diritti dell’equipaggio Iuventa a disposizione di tutti i futuri imputati del tribunale di Trapani e della comunità civile. Il caso risulta essere ancora una volta un’importante opportunità per comprendere e scardinare le mancanze del livello di traduzione ed interpretazione offerto dai tribunali italiani, analizzare le condizioni lavorative del settore e le difficoltà riscontrate dai soggetti qualificati ad esercitare la loro professione. Difatti, il meccanismo di reclutamento e gli stipendi non in grado di garantire un percorso lavorativo efficiente rendono i traduttori e gli interpreti stessi vittime di un sistema da rinnovare.

Ancora, la presenza degli osservatori internazionali dell’ONU durante l’udienza preliminare ha rappresentato una grande occasione per i giudici nazionali di garantire un processo equo. Come noto, l’udienza preliminare non consente l’accesso al pubblico e tale modalità potrebbe compromettere una comunicazione effettiva ed efficace, lasciando spazio alle politiche di criminalizzazione delle ONG.

L’Avv.ta Cancellaro ha infatti dichiarato che «lo sguardo terzo, imparziale e competente in materia degli osservatori garantisce un’attività che ha anche il valore effettivo di testimonianza. La loro presenza si rivela un megafono per chi da dentro subisce questo tipo di processo, uno strumento prezioso di informazione in quanto utile a comunicare gli avvenimenti processuali non soltanto all’opinione pubblica italiana, ma europea».

La politicizzazione del processo e i risvolti positivi

La costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno come parte civile ha rivelato definitivamente la natura politica del processo. In questo scenario, la società civile ha un ruolo fondamentale nel reprimere le politiche di criminalizzazione delle attività di soccorso in mare tramite la costruzione di una narrazione veritiera delle condizioni in cui vertono i migranti e gli attivisti. In particolare, l’Avv.ta Cancellaro ha sottolineato come il processo Iuventa sia ab origine un processo di connotazione prettamente politica. La mancata firma del codice di condotta del 2017, l’ordinanza di manutenzione della nave Iuventa del 2023 e le varie affermazioni da parte dei rappresentati legali del Ministero degli Interni al processo hanno da sempre chiarito quale sia la vera battaglia portata avanti dal governo italiano.

Si parla di un processo che segue logiche del tutto speciali, dettate da interessi che vanno al di fuori dell’aula di tribunale. «Tanto gli organizzatori, tanto gli osservatori internazionali, quanto gli special rapporteur che sono intervenuti hanno messo in discussione le fondamenta di questo stesso processo. In particolare, il loro contributo ha messo in luce quelli che sono i connotati e le ripercussioni politiche che i procedimenti come questi possono avere sull’intero porto della società civile nell’ambito dell’espressione più alta di solidarietà. Gli special rapporteur, così, hanno fornito un ruolo fondamentale: la richiesta esplicita di tenere esenti i membri dell’equipaggio della Iuventa dal processo, la pretesa di comprendere quelle anomalie procedurali che si sono verificati fin a partire dalle indagini e che tuttora connotano questo procedimento proprio», ha affermato la legale.

Una delle udienze a Trapani nel disegno di Annina Mullis (ELDH & SwissDemocraticLawyers)

Inoltre, il supporto della società civile all’ultima udienza dell’8 settembre 2023 ha rappresentato uno strumento utile a disincentivare le politiche di criminalizzazione messe in atto dal governo italiano. «La vicinanza degli attivisti in tema di diritti umani, dei cittadini e della società tutta ha un ruolo fondamentale per gli imputati che stanno affrontando e vivendo ogni giorno nelle aule di udienza il processo. Il caso Iuventa è risaputo che vada ben oltre le aule di tribunale, coinvolgendo temi che riguardano tutta la comunità: la criminalizzazione della solidarietà e l’utilizzo dello strumento repressivo e punitivo per controllare le attività di soccorso in mare», ha proseguito la legale.

Questa drammatica vicenda giudiziaria è una realtà che affligge da vicino moltissimi attivisti, membri della società civile, persone in movimento stesse che vengono colpite proprio per il famigerato “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”. Il costante interesse e la presenza attiva della società civile garantisce e rafforza il controllo del rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie procedurali. Il fattore cardine che incrementa e legalizza queste politiche incriminatrici trova la sua radice nel dettato normativo dell’art. 12 del T.U. dell’Immigrazione. Di conseguenza, il rinvio pregiudiziale alla CGUE potrebbe garantire un’interpretazione evolutiva del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, riducendo il margine di operatività degli Stati membri.

Ciononostante, il rinvio pregiudiziale posto in essere dal Tribunale di Bologna, sulla base delle medesime argomentazioni sottoposte al giudice di Trapani, riguardavano la validità e l’interpretazione non tanto della disciplina italiana quanto di quella dell’Unione europea in tema di immigrazione clandestina. In particolare, ai giudici di Lussemburgo veniva richiesta la compatibilità della normativa europea e il rispetto con le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tali norme incidono tanto sui diritti fondamentali dei soccorritori in mare, quanto le persone che potrebbero essere favorite dall’attività di questi ultimi.

Il punto chiave, così come ha evidenziato l’Avv.ta Cancellaro, risulta essere l’impatto giuridico che le pronunce della CGUE hanno nel quadro normativo nazionale dei vari Stati membri. «L’articolo 12 del TU dell’immigrazione è null’altro che la fedele trasposizione degli obblighi di incriminazione previsti dalla disciplina europea. In altre parole, il legislatore italiano ha ottemperato agli obblighi comunitari creando una norma incriminatrice assolutamente fedele alle previsione europee. Ovviamente, laddove dovesse essere ritenuta illegittima la disciplina dell’Unione, lo sarebbe di conseguenza anche quella italiana con un effetto sostanzialmente a cascata. Risulta dunque evidente l’impatto dirompente che l’intervento della CGUE potrebbe avere sui vari ordinamenti nazionali e sull’ordinamento europeo».

Ci auguriamo che un’interpretazione evolutiva del dettato normativo europeo e nazionale possa dunque frenare queste politiche di criminalizzazione e riportare il senso di solidarietà nella forma più elevata del termine.

Oriana Balsamo

Sono laureata in Giurisprudenza alla L.U.I.S.S. Guido Carlo, dove ho avuto modo di conseguire un Master in Public International Law. Ho svolto parte della pratica forense presso uno studio specializzato in diritti umani e diritto dell'immigrazione e ho redatto due tesi sul tema.
Mi auguro che il mio contributo possa aiutare a trovare soluzioni pratiche alle problematiche che affliggono il diritto dell’immigrazione, con uno sguardo che vada oltre il semplice manuale di studio.