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Mediterranea denuncia il Governo: «Ci ordinarono di deportare le persone in Libia»

Presentato ricorso contro l’illegittima detenzione amministrativa della nave Mare Jonio

Ph: Mediterranea Saving Humans

Illegittima fu la pretesa del Governo Italiano di consegnare alle “autorità libiche” le 69 persone soccorse a bordo e illegittime sono la sanzione e il fermo che ha colpito la Mare Jonio.

È stato depositato venerdì 3 novembre al Tribunale di Trapani il ricorso contro i ministeri degli Interni, delle Infrastrutture e Trasporti, e dell’Economia e Finanze finalizzato a ottenere la cancellazione del verbale di “fermo amministrativo nave”, notificato al Comandante e all’armatore della Mare Jonio lo scorso 18 ottobre.

Lo comunica Mediterranea Saving Humans che illustra i motivi del ricorso redatto dalle avvocate Cristina Laura Cecchini, Giulia Crescini e Lucia Gennari.

Il testo ricostruisce con estrema precisione l’operazione di soccorso condotta dalla Mare Jonio in acque internazionali nella serata di lunedì 16 ottobre: «La nave – ricorda MSH – aveva ricevuto via mail la segnalazione, inviata da Sea Watch Airborne a tutte le autorità dei paesi costieri del Mediterraneo centrale, proveniente dall’aereo civile di osservazione Sea Bird 2 che comunicava l’ultima posizione conosciuta di un gommone in pericolo. Su quella posizione la nave di soccorso civile faceva immediatamente rotta, comunicando la propria disponibilità ad assistere le persone a rischio a tutte le autorità, senza ottenere alcuna risposta. Individuata l’imbarcazione in distress, la Mare Jonio contattava il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (IT MRCC), che è anche il riferimento di bandiera della nave, per chiedere istruzioni.

Prima al telefono, poi via mail, le Autorità Italiane intimavano alla Mare Jonio di far riferimento al centro “competente per la zona SAR” cioè al comando della cosiddetta “guardia costiera libica”.

In mare intanto la situazione si deteriorava: si era fatto buio, il motore dell’imbarcazione era in avaria, i tubolari si erano sgonfiati e il gommone imbarcava acqua, le persone a bordo, tra cui donne e bambini, erano in panico, una persona era già caduta in acqua. Per l’equipaggio della Mare Jonio non c’era scelta: soccorrere subito le persone in pericolo, prima che il gommone affondasse e rischiassero di affogare. 

Così 69 persone sono state tratte in salvo a bordo della nave di Mediterranea, messe al sicuro e assistite con le prime cure mediche. Mentre la Mare Jonio proseguiva nella notte la ricerca di un secondo gommone in difficoltà (che si è poi scoperto, la mattina successiva, essere stato intercettato dalle motovedette libiche), le Autorità Italiane assegnavano Trapani come porto sicuro di sbarco per i naufraghi soccorsi. La nave arrivava là la mattina del 18 ottobre e, subito dopo lo sbarco e l’accoglienza a terra delle 69 persone, al Comandante e all’armatore venivano notificati i due verbali di sanzione pecuniaria e fermo amministrativo per 20 giorni della nave, per violazione del Decreto Legge “Piantedosi” del gennaio 2023».

Le motivazioni dei provvedimenti che hanno colpito la Mare Jonio sono dimostrate “illegittime” nel ricorso presentato dal team legale ai giudici di Trapani: a Comandante e armatore viene infatti contestato il fatto di “non aver informato” il centro di coordinamento libico e, soprattutto, di non aver chiesto alla Libia il porto di sbarco.

«In sostanza – sottolinea Mediterranea – il Governo italiano voleva ci rendessimo complici della deportazione dei naufraghi in Libia, proprio il paese da cui le 69 donne, uomini e bambini, stavano fuggendo».  

Il ricorso riporta infatti gli stralci più significativi dei rapporti di organismi ed agenzie delle Nazioni Unite che descrivono e documentano “le condizioni cui sono costretti i migranti nei centri di detenzione libici, che costituiscono tortura e trattamento inumano e degradante e le provate complicità della cosiddetta “guardia costiera” e di altre autorità statali libiche con i trafficanti di esseri umani e i responsabili di abusi e violenze contro i migranti, detenuti e costretti a lavori forzati e riduzione in schiavitù.

Per questa ragione il ricorso insiste sul fatto che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove sbarcare i naufraghi e le sue autorità pertanto non possono essere considerate interlocutrici legittime al momento in cui sia necessario ricevere istruzioni in merito allo sbarco di naufraghi”.

«Il Comandante della Mare Jonio – prosegue Mediterranea – ha invece fatto fino in fondo il suo dovere, nel pieno rispetto del diritto italiano e internazionale, obbedendo non solo a solidi principi etici e morali, ma anche alle Convenzioni SAR di Amburgo e sul diritto d’asilo di Ginevra, rifiutando invece di sottostare a istruzioni che avrebbero rappresentato gravissime violazioni della Convenzione Europea per i Diritti Umani (CEDU) e della Carta Fondamentale dell’Unione Europea, oltre che dei nostri principi costituzionali. Le nostre Legali ricordano anche i numerosi pronunciamenti, ormai definitivi, della Giustizia italiana in merito: dai casi della stessa Mare Jonio del marzo e maggio 2019, alla sentenza della Cassazione per la Comandante Carola Rackete del giugno 2019 fino alla condanna del Capitano della ASSO 28 per aver riportato a Tripoli un gruppo di naufraghi.

Illegittima è dunque la pretesa del Governo Italiano che la Mare Jonio consegnasse alle “autorità libiche” le 69 persone soccorse a bordo e illegittime sono la sanzione e il fermo che ha colpito la nave. Ancora più grave è il tentativo- evidente nei simili provvedimenti che hanno colpito Aurora e, più recentemente, Sea-Eye 4 – di imporre Libia e Tunisia come “porti sicuri” quando è sotto gli occhi di tutti come consegnare le persone soccorse in mare alle milizie e ai militari di quei paesi significa condannare a un destino tragico donne, uomini e bambini che sono alla ricerca di protezione in Europa».

Mediterranea non ci sta e afferma che il processo sarà occasione per ottenere non solo la cancellazione dei provvedimenti che hanno colpito la nave, ma anche una condanna inequivocabile delle violazioni dei diritti fondamentali che avvengono, con la complicità del Governo Italiano, nel Mediterraneo.

 

Redazione

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