Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Sofia Pari
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Bologna. «No CPR, né qui né altrove»

Il presidio della Rete regionale Emilia-Romagna No CPR - No grandi centri

di Sofia Pari 1 e Margherita Morselli 2

«In Libia ci sono i centri di detenzione, e in Italia ci sono i CPR». Il presidio della società civile bolognese sotto la prefettura, per denunciare la condizione dei centri di rimpatrio e per lanciare la manifestazione regionale della rete No CPR il 2 marzo a Ferrara.

Davanti alla prefettura di Bologna, nella giornata di giovedì 8 febbraio, si sono raccolte decine di attiviste e attivisti, in continuità con le precedenti assemblee pubbliche e manifestazioni che hanno avuto luogo nella città, per chiedere l’immediata chiusura dei CPR esistenti in Italia e per opporsi con determinazione alla possibile apertura di nuovi centri sul territorio dell’Emilia-Romagna.

Ad organizzare e partecipare al presidio sono state persone e associazioni che, ognuna in modo diverso ma correlato, sono impegnate nella lotta quotidiana contro il razzismo e la xenofobia istituzionali. Tra quelle presenti figurano Legambiente, CSD-Diaconia Valdese, Forum terzo settore Emilia Romagna, Piazza Grande, Libera, Prometeo, Municipi Sociali Làbas e TPO, ASGI, l’EdT di Bologna di Mediterranea Saving Humans, Vag61, Arci, Rete sulla stessa barca: centro lavoratori stranieri CGIL, Libertà era restare, Astalli Bologna, Consulta per la lotta all’esclusione sociale, Refugees welcome, Il manifesto in rete, Portico della Pace, Laboratorio di Salute Popolare, Famiglie Accoglienti, Ya Basta Bologna, ByPiedi, Adl Cobas, Approdi, Dialoghi, Polisportiva HSL.

PH: Sofia Pari

Nel corso della stessa giornata sono stati organizzati vari presidi anche in altre città dell’Emilia-Romagna come Ferrara, Parma, Forlì, Reggio Emilia e Rimini, ognuna con l’obiettivo di lavorare per il consolidamento della già avviata rete di attivismo, sia nelle singole che città, che a livello regionale, che si opponga alla costruzione di nuovi CPR in ogni regione.

Questa rete ha la volontà di mostrare e agire in maniera solidale con le persone detenute illegittimamente nei CPR e aumentare la consapevolezza all’interno della società civile delle violenze gratuite perpetrate nei confronti di persone innocenti, ma considerate di fatto colpevoli per il solo fatto di non avere la cittadinanza italiana.

L’azione avanzata da questa rete non è semplicemente contrastare l’apertura di nuovi centri, ma anche la chiusura di tutti quelli già esistenti. Più volte nel presidio è infatti emersa l’urgente necessità di superare il modello detentivo dei CPR che, oltre agli ingenti costi finalizzati al loro (mal)funzionamento, è la rappresentazione del potere dello Stato che criminalizza, invisibilizza e annulla i corpi di esseri umani indesiderati. Ultimo frutto delle condizioni degradanti e della violenza sistemica perpetuata da questi centri è stato il suicidio di Ousmane Sylla nel CPR di Ponte Galeria, Roma.

Inoltre, dalle parole di diversi attivisti coinvolti professionalmente nell’ambito dell’accoglienza, è emersa anche l’importanza di lottare collettivamente per fare in modo che si affermi un nuovo modello di accoglienza, diverso da quello attuale, anch’esso profondamente fondato sulla detenzione de facto.

Tra i vari interventi spiccano le parole di Yakub, un attivista di Mediterranea, che tramite una sua poesia riporta l’esperienza che ha vissuto in prima persona, insieme a tanti altri come lui.

«Noi fummo in Libia, in Libia ci furono dei centri di detenzione, nei centri di detenzione ci furono le persone migranti, coloro che sono considerati stranieri. All’interno dei centri di detenzione ci furono violenze di ogni genere, pestaggi, manganellate, torture, persone che gridano per la libertà, che hanno sogni, che vogliono circolare e parlare liberamente. Anche in Italia ci sono i CPR. All’interno ci sono delle persone straniere, all’interno dei CPR ci sono violenze di ogni genere, violenze fisiche, abuso di psicofarmaci, persone lasciate senza un briciolo di diritto, che gridano per la libertà, che vogliono circolare liberamente nella società, vivere una vita dignitosa. Persone manganellate, calpestate, che non possono parlare per sé».

PH: Sofia Pari

Oltre a creare rete tra le diverse realtà del territorio bolognese, l’altro importante obiettivo del presidio era quello di creare un momento e uno spazio in cui poter dialogare con il prefetto riguardo la possibile apertura di un nuovo Cpr sul territorio. Tuttavia, l’assenza di risposte dal lato istituzionale si dimostra essere in continuità con l’indisponibilità al dialogo che era già stata riscontrata durante un precedente colloquio con la prefettura.

Una delegazione di attivisti e associazioni bolognesi aveva già avuto un incontro con il prefetto, nell’agosto del 2023, come conseguenza alla situazione disastrosa in cui si trovava il CAS Mattei, che purtroppo si ripresenta ogni estate. Come ci racconta un attivista di Ya Basta, l’incontro era stato molto respingente e deludente sia sotto il punto di vista giuridico che politico. In seguito era stata dichiarata l’apertura di un CPR proprio nella città di Bologna, possibilità che ha portato ad una manifestazione a metà ottobre 2023, ampiamente partecipata da più di 40 associazioni e numerosi ragazzi ospiti del CAS Mattei, con il quale grazie a numerose assemblee cittadine si è costruito un rapporto di collaborazione e fiducia.

PH: Sofia Pari

In seguito alla mobilitazione cittadina, il progetto di aprire un CPR a Bologna è stato revocato. Successivamente, era stata annunciata la volontà di aprire il nuovo centro a Ferrara, ma grazie alla rete di attivismo e solidarietà che si è creata in questi mesi sembra che il progetto sia stato abbandonato.

Nonostante questa buona notizia, la lotta contro l’apertura di CPR nella regione continua, con l’obiettivo di intensificare la rete regionale e non permettere che ci sia alcun tipo di arretramento sulla scelta di non apertura di un centro a Ferrara. Sarà quindi proprio in questa città che il 2 marzo si terrà la manifestazione regionale per contrastare la costruzione di nuovi centri, né a Ferrara né altrove (si sta parlando ora di un possibile nuovo CPR tra il bolognese e il modenese). Rimanere in silenzio vorrebbe dire essere complici e compartecipi della responsabilità dell’uccisione di esseri umani.

Rimane così aperta la necessità di aprire un tavolo di discussione tra la società civile e l’istituzione del prefetto, per amplificare le voci di chi si oppone fermamente all’apertura di nuovi centri dove avvengono veri e propri omicidi di Stato. Dal 2018 sono 14 le persone rimaste uccise dal sistema CPR.

Nell’attesa di una risposta istituzionale, le realtà coinvolte in questa lotta si impegnano a combattere la disinformazione all’interno della società civile riguardo le condizioni di vita delle persone in movimento in Italia, sia nell’ambito dell’accoglienza, che dell’espulsione.

Il presidio si conclude rinnovando l’invito sia alla città di Bologna sia alle altre città della regione per una grande mobilitazione verso il 2 marzo. «Con la rete Emilia-Romagna abbiamo lanciato i presidi sotto le prefetture di oggi, e vogliamo che la manifestazione del 2 marzo sia molto partecipata. Non possiamo accettare la compromissione dei diritti e della libertà personale, non possiamo accettare che questa discriminazione abbia luogo sulla pelle delle persone straniere».

  1. Dopo una laurea triennale in lingue orientali all’università Ca’ Foscari di Venezia, mi sono laureata nel corso magistrale in Migrazioni Inter-Mediterranee delle università Ca’ Foscari di Venezia e Paul Valéry di Montpellier. Con due esperienze di ricerca sul campo ho approfondito il tema dei diritti delle persone migranti e rifugiate, una in Marocco con la comunità siriana, e una in Libano, nel campo profughi di Chatila, con la comunità Palestinese
  2. Mi sto laureando nella facoltà triennale di Scienze Politiche, Sociali e Internazionali all’Università di Bologna. Mi interesso di politiche migratorie europee e nazionali, con un focus sul tema dell’accoglienza e dei confini.
    Mi attivo nella mia città, e non solo, per diffondere informazioni sulle sistemiche violazioni dei diritti umani delle persone in movimento