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Rivolti ai Balcani: i “progetti dal basso” in Bosnia ed Erzegovina

Il report del viaggio e degli incontri

Fotografie di RiVolti ai Balcani

Dal 30 marzo al 2 aprile una delegazione di RiVolti ai Balcani – composta da Agostino Zanotti, Gianfranco Schiavone, Valeria Marengoni, Giuseppe Morelli e Davide Pignata – è stata in Bosnia ed Erzegovina per incontrare le realtà che sul territorio tutelano i diritti delle persone in transito.
Questo il diario di viaggio e degli incontri con chi, in un contesto complesso, tenta di favorire la nascita di forme di accoglienza diffusa, l’unica alternativa dignitosa ai campi di confinamento.

30 marzo 2022 – Collective Aid

Incontriamo Hasan, giovane rifugiato turco nel suo negozio di occhiali View Optika. Dopo ci raggiungono Martha (Uk) e Mara (Spagna). Portiamo loro montature e lenti di una donazione privata. “Queste montature saranno utilissime per le persone di passaggio”, ci dice Hasan. Il progetto è nato perché la polizia croata, durante i respingimenti, spesso rompe gli occhiali delle persone in transito. In caso di problemi di vista, così, i beneficiari vengono visitati dal Collective Aid che fornisce una misurazione ottica gratuita. Poi è il turno di Hasan che mostra loro le montature e monta la lente più adatta al grado di diottrie. A Sarajevo, in generale, il Collective Aid si occupa di un primo screening medico (con visite anche di medici specializzati) e della distribuzione di materiale igienico. Hasan, Martha e Mara condividono la percezione che le persone in viaggio siano molte meno in questo periodo: sia per la stagione, che non favorisce gli spostamenti, sia perché si sono aperte nuove rotte, in particolare quella che passa da Romania, Ungheria e Serbia. Il trattamento della polizia croata riservato a chi transita scoraggia le persone da tentare il game dal confine bosniaco-croato: si aspettano, però, che con l’estate gli arrivi aumentino. I principali Paesi di provenienza di questo periodo non cambiano rispetto al recente passato: non più Afghanistan e Pakistan, bensì Marocco, Egitto, Algeria, Nigeria, Gambia, Iran. Martha dice che il fatto che ci siano meno rifugiati sul territorio bosniaco rende più difficile trovare fondi, perché la situazione è molto meno visibile per le organizzazioni internazionali. Hasan, infine, condivide un sentire comune della popolazione bosniaca: hanno timore della non troppo lontana guerra. Nessuno vuole prendere le armi.

Qui il progetto di Collective Aid: rivoltiaibalcani.org/collective-aid-sarajevo/

30 marzo 2022 – Kompass 071

Ci accolgono Ilma e altre volontarie e volontari. Anche lei conferma la riduzione del numero di persone: di qui passano circa 20 persone al giorno. In altri tempi si arrivava a 80-100 persone.

Cita i due campi gestiti dall’Oim vicini a Sarajevo, ci è stata da poco: quello per famiglie è relativamente in buone condizioni, anche grazie al contenuto numero di persone che permette una più semplice gestione. Il campo dei singlemen invece è più complicato, nonostante siano al di sotto della capienza massima (ci sono 800-900 persone attualmente). La problematica maggiore è strutturale: le persone sono sistemate in grandi ambienti comuni. I principali Paesi di provenienza sono Afghanistan e Pakistan, ma anche Ilma conferma che gli ultimi arrivi sono per lo più di Paesi dell’Africa, con una buona componente subsahariana. Il Kompass 071 è gestito totalmente da cinque studenti volontari. C’è un forte bisogno di supporto psicologico per le persone: alcune decidono di fermarsi almeno per un periodo in Bosnia ed Erzegovina perché sono esauste dal viaggio. Tanti decidono anche di tornare nel loro Paese di origine attraverso procedure di rimpatrio volontario. Spesso però sono spronati in questa decisione anche dalle organizzazioni internazionali. Da due mesi Kompass 071 ha aperto una casa in Bihać dove la situazione è molto diversa, ci sono tanti squats. I locali che gestiscono il centro sono pagati, perché non trovano nessuno che vuole fare il volontario. La relazione con le istituzioni locali? I volontari rispondono: “Ignoring, it is better”. Meglio non parlarne, insomma. La reazione all’idea di un’accoglienza diffusa è ben accolta, ci sarebbe bisogno. Un punto di vantaggio, infatti, è che la cultura di coloro che arrivano e dei locali è spesso (più) vicina di quella dell’Europa occidentale, a partire dalla religione.

Qui il progetto di Kompass 071: rivoltiaibalcani.org/kompass-071-a-sarajevo/

30 marzo 2022 – Udruzenje

Sanela nel suo centro si occupa di richiedenti asilo in Bosnia ed Erzegovina. La missione è aiutarli nella strada dell’autonomia (ci dice: “La priorità non è dare cibo”). Sono quattro le persone che collaborano con lei nel centro: un avvocato, un maestro, due psicologi. L’intervento si struttura in tre ambiti. Una “prima assistenza” in cui vengono forniti materiale per l’igiene, assistenza medica, supporto psicologico, servizio di traduzione, assistenza legale. A cui si aggiunge un programma di integrazione con corsi di lingua inglese e bosniaco, corsi di formazione professionalizzanti, workshop, assistenza nella ricerca lavoro e alcune azioni dedicate all’integrazione sociale. Attività sociali e culturali, sport, cucina, corsi di fotografia, public appearance e molto altro.

Ci sono anche spazi di coworking e co-living oltre a quello dedicato all’accoglienza di richiedenti asilo, per potersi sostenere economicamente. Il desiderio di Sanela è di collegare accoglienza e turismo: se qualcuno vuole venire a visitare Sarajevo, può venire e pagare affittando una camera e così sostenere il progetto. Inoltre le persone accolte possono organizzare (dopo aver seguito un percorso formativo) dei piccoli tour turistici per Sarajevo. È un programma pilota, poiché non esiste un sistema di accoglienza diffuso bosniaco. Segue una appassionata discussione su come sarebbe importante far diventare questo progetto un esempio e una spinta per le istituzioni bosniache.

Ci confrontiamo anche in merito all’organizzazione della visita a Sarajevo dei sindaci bresciani sulla rotta balcanica. La sua disponibilità è totale, motivata da una valutazione positiva dell’iniziativa, un’occasione di confronto tra diversi soggetti per allacciare nuove e proficue relazioni.

Qui il progetto di Udruzenje: rivoltiaibalcani.org/un-sostegno-per-chi-decide-di-restare/

31 marzo 2022 – Ambasciata italiano a Sarajevo

Incontriamo l’ambasciatore Marco Di Ruzza a Sarajevo con il vicecapo della missione Matteo Evangelista. Si mostrano molto interessati all’incontro con i sindaci bresciani di giugno 2022, organizzato nell’ambito dell’iniziativa “Scuola di pace”. Consigliano di condividere l’iniziativa anche con l’”unità balcani” del ministero degli esteri italiano. Ci viene consigliato il programma Knowledge exchange program (knowledge-exchange.info/) come strumento utile per gli interventi di ong italiane per intervenire all’estero. Rispetto alla proposta di accoglienza diffusa in Bosnia l’ambasciatore si mostra disponibile: sostiene che sia un’opportunità anche per la Bosnia, soprattutto economicamente (ci sono tanti giovani che lasciano il Paese. Le due proposte (viaggio dei sindaci e accoglienza diffusa) potrebbero trovare un punto di contatto: molti dei sindaci del bresciano che verranno, hanno nei loro comuni delle realtà di accoglienza diffusa. Perché non far incontrare loro e altri sindaci bosniaci per capire se e come replicare il modello?

1 aprile 2022 – Alternative

Incontriamo Mirha e Maxuma presso il centro culturale di Kakanj, una parte di questo è gestita da Alternative, l’associazione che Mirha e Maxuma rappresentano.

L’idea di aprire un’accoglienza cittadina nasce nell’agosto 2021, grazie a una riunione con Roberto Bertoli di Bergamo. La finalità del progetto è attivare un’accoglienza cittadina di richiedenti asilo, coinvolgendo la municipalità. I promotori del progetto, fin dall’inizio, oltre Alternative sono stati la città di Bergamo, Caritas Bosnia, Caritas italiana, IOM e il sindaco di Kakanj. Il progetto è per adesso finanziato interamente dalla città di Bergamo. La casa preparata per l’accoglienza è in affitto ed è pensata per accogliere una famiglia di cinque persone. Tutto è pronto e programmato (attività ludiche nel centro per i bambini, corsi creativi e formativi, inserimento nelle scuole e accompagnamento lavorativo), manca “solo” la famiglia da accogliere: Mirha è stata da poco in un campo gestito da IOM, c’erano tre famiglie ma nessuna desiderava fare domanda d’asilo in Bosnia. Alternative è stata fondata da Maxuma, 22 anni fa, si occupa di tutela dei diritti umani con diverse “tipologie” di azioni: creative training activities, robotica, inglese, dog’s trust, human rights, ecologia. Tanti progetti sono dedicati ai bambini. Non hanno mai fatto un progetto del genere in questa città, che è molto piccola, e non sanno come reagiranno i “locali”. Anche quello di Alternative è un progetto pilota, il primo in Bosnia. Si comincerà con una famiglia, per un anno. Poi si vedrà. Se andrà bene, perché non estenderlo? Lavorano a questo progetto un coordinatore e due operatori. Condividiamo la volontà della rete di far sì che altre città bosniache (Zavidovici per esempio, altro progetto storico nell’area:adl-zavidovici.eu) avviino progetti simili di accoglienza diffusa. Accolgono questa notizia con entusiasmo.

Il sito di Alternative: nvo-alternative.org

2 aprile 2022 – Lipa

Per arrivare a Bihac passiamo dal campo di Lipa: la condizione di isolamento estremo in cui il campo si trova dal punto di vista geografico, il degrado percepito (nonostante la recente ristrutturazione interna dei container) e l’evidente differenziazione, in termini di “accoglienza”, operata nei confronti delle persone ancora situate al suo interno e il consistente flusso di cittadini ucraini ospitato dall’Ue in maniera assai più dignitosa, scatena un forte senso di frustrazione, rabbia e impotenza. Le condizioni meteorologiche del momento, neve, nebbia e vento freddo, accentuano la nostra impressione nel vedere un centro totalmente isolato dal resto del mondo e molto sorvegliato.

Il report di RiVolti ai Balcani sul campo di Lipa: rivoltiaibalcani.org/lipa/
English version: rivoltiaibalcani.org/lipa-the-camp-where-europe-fails/

2 aprile 2022U Pokretu

Da ottobre sono partite varie attività in U Pokretu. Si cerca di far conoscere il posto come luogo di incontro. Alcune attività di formazione per la popolazione locale sono già cominciate. Si stanno ideando proposte all’aperto di ambito culturale (sulla scorta delle proiezioni all’aperto dell’anno scorso). Ora, ogni settimana proiettano un film al chiuso. Hanno cominciato un progetto con Ipsia sul tema delle migrazioni, per lo più si fanno vedere documentari nelle scuole per sensibilizzare i giovani.
Altre attività sono il veggie garden, una mostra del museo di Sarajevo allestita qui per più giorni (inizio luglio), il book lab. I quadri che ci sono alle pareti sono di artisti locali. U Porketu è parte del programma Erasmus +.

Qui il progetto di U Pokretu: rivoltiaibalcani.org/un-sostegno-per-chi-decide-di-restare/

2 aprile 2022 – Le realtà italiane a Lipa

Incontriamo tanti italiani, che rappresentano buona parte delle associazioni che operano sul territorio. È la prima volta che si trovano tutte insieme qui nella sede di U Pokretu. Le operatrici di Ipsia ci aggiornano sulla loro esperienza nel campo di Lipa: ci sono 300-400 persone ora, molto meno di una volta. “Donne della Una” lavorano insieme a Ipsia, donne locali che fanno cose simili a Ipsia. Il fatto che il campo non sia così male fa sì che alcune persone non vogliono più partire. Nessuno fa domanda di asilo qua, perché i tempi sono lunghissimi. Sono arrivate anche le prime famiglie nel campo di Lipa. Nelle ultime settimane stanno arrivando tanti cubani. Arrivano dalla Russia, lavoravano lì, probabilmente per la guerra arrivano qua passando dalla Serbia. I funzionari di IOM presenti nel campo spingono le persone nel campo al rimpatrio. Non si vedono mai i funzionari di Uasca prava (i funzionari bosniaci che dovrebbero occuparsi della domanda d’asilo). Incontriamo otto volontari e volontarie del progetto di Ya Basta “B.U.R.N”(https://burnhealthonthemove.wordpress.com/). Collaborano con No Name Kitchen e lavorano con chi è fuori da Lipa, fornendo un supporto sanitario (tra loro ci sono medici, farmacisti). Garantiscono una presenza di quattro mesi a Bihac, poi ritorneranno con un’altra spedizione. Montano anche docce mobili vicino agli squats: sei dei volontari hanno ricevuto un decreto di espulsione dalla polizia per questo motivo, perché sono stati fermati mentre le allestivano. Hanno fatto ricorso e sperano di poter rimanere sul territorio bosniaco. Ci sono anche gli operatori di Mediterranean Hope, le operatrici di Medici del mondo Eu aid Volunteers e One Bridge to Idomeni. Anche a loro presentiamo l’idea della missione dei sindaci e riceviamo l’appoggio di tutto il gruppo.