Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Foto da No Name Kitchen
/

Bosnia: chiude il campo Miral a Velika Kladuša. Migranti “trasferiti” al campo di Lipa

No Name Kitchen: «Smettete di torturare le persone con queste politiche europee alle frontiere dell'UE»

Start

Ieri mattina alle 7 la polizia bosniaca ha iniziato le operazioni di chiusura del campo Miral di Velika Kladuša, nel nord cantone di Una-Sana, sul confine bosniaco-croato. I residenti del campo sono stati costretti a salire nei bus diretti verso il campo di Lipa, che dista circa 80 km da Velika Kladuša e 30 da Bihac, il capoluogo cantonale.

La polizia ha inoltre sgomberato uno squat non distante dal Miral e deportato a Lipa le persone migranti che ci vivevano. Nel Miral, un vecchio stabilimento industriale adattato con container, vivevano circa 200 uomini single, che ora in parte sono stati trasferiti al Lipa e in parte si trovano per strada o negli accampamenti informali circostanti la città. Alcuni di loro avevano già lasciato il campo ieri, dato che le voci sull’imminente chiusura del campo si susseguivano. 

Il campo di Lipa, rimesso a nuovo grazie a finanziamenti europei e dei singoli stati (tra cui l’Italia), è stato inaugurato qualche mese fa e può contenere fino a 1.500 persone, ma ospita ora circa 400 persone. Il suo sottoutilizzo è da imputare non tanto alla mancanza di servizi quanto alla posizione e agli scarsi collegamenti con i centri abitati: i residenti infatti devono camminare per 5 o 6 ore per arrivare a Bihac.
È la sua logica di segregazione, concentramento e controllo che rende Lipa inospitale, e che fa fuggire le persone nonostante le condizioni materiali possano apparire migliori che nelle jungles. La chiusura del Miral sembra rispondere al più ampio disegno politico delle autorità bosniache e internazionali – i campi in Bosnia infatti sono co-gestiti dalla Federazione Bosniaca e da IOM – di concentrare in un unico campo grande e ‘moderno’ tutte le persone in movimento. Ma molte persone migranti che sono state deportate ieri si stanno già muovendo per ritornare verso le città e verso il confine.

Foto da No Name Kitchen

No Name Kitchen ha emesso un comunicato poche ore dopo lo sgombero. Questa la traduzione a cura di Eleonora Diamanti.

«Questa mattina (ieri, ndR.), la polizia si è presentata nel campo profughi di Miral e ha costretto le persone a salire su degli autobus diretti al campo di Lipa. Entrambi i campi si trovano in Bosnia-Erzegovina, molto vicini all’UE. Le persone che stanno in questi campi – che sono finanziati dall’UE -, sono rifugiati e migranti che non hanno la possibilità di entrare nell’UE in modo legale o sicuro. La maggior parte di loro proviene da paesi in guerra, in conflitto o sotto dittatura.

Secondo le informazioni che abbiamo ora, anche uno squat è stato sgomberato e le persone che ci vivevano sono state costrette a trasferirsi nel campo di Lipa. Stavano dormendo quando la polizia è arrivata per portarle lì.

No Name Kitchen stima che circa 150-200 persone del campo di Miral e 8 persone dello squat siano state portate a Lipa. Diversi di loro ci hanno già detto che vogliono lasciare questo campo il più presto possibile. Siamo stati informati che quando le persone sono arrivate a Lipa, sono state tutte registrate e non hanno avuto la possibilità di andarsene immediatamente dal campo.

Perché possiamo dire, da No Name Kitchen, che questo non va bene?

Il campo di Lipa – un campo per rifugiati che viene pagato dall’UE per tenere dentro le persone che la stessa UE maltratta alle nostre frontiere -, è lontano da qualsiasi paese o città. Si trova in mezzo ai boschi, e molte persone non vogliono essere così isolate. Ai migranti qui non è permesso viaggiare in autobus (c’è un divieto locale per loro), quindi se hanno bisogno di andare in un negozio, devono camminare per più di 12 miglia.

Le condizioni di vita nel campo di Lipa – insistiamo, pagato dall’UE -, sono difficili. La gente si lamenta di questo da quando è stato aperto per la prima volta nel 2020. Le persone che hanno vissuto lì affermano che non c’è privacy (molte persone condividono lo stesso container con altre persone che non conoscono), non ci sono condizioni igieniche adeguate, e devono fare lunghe file per avere del cibo.

La zona di Lipa è molto umida e piovosa, anche in estate.

Nel dicembre 2020, il campo di Lipa è andato a fuoco e la polizia ha costretto le persone a rimanere in quell’area remota, chiudendo le strade in modo che non potessero lasciare il posto. I vestiti delle persone erano bruciati nell’incendio, quindi soffrivano il freddo e avevano un accesso limitato al cibo. Molte persone temono che qualcosa di simile possa accadere di nuovo.

E non va bene nemmeno perché queste politiche, promosse dall’UE nei Paesi vicini, cancellano ogni singolo frammento di libertà di una persona. Le persone che stanno cercando di trovare sicurezza e un nuovo posto dove vivere subiscono violenza sia fisica che psicologica alle frontiere dell’UE.

Riuscite a immaginare come sarebbe dormire con la paura che la polizia possa arrivare in qualsiasi momento per costringervi ad andare in qualche campo remoto nei boschi, dove dormirete con decine di altre persone su delle vecchie brandine e non avrete nemmeno la possibilità di andare in un negozio e comprare del cibo?

Solo uno dei tanti esempi di come i migranti in situazioni disperate vengono maltrattati: c’è un negozio proprio accanto al campo di Lipa, quindi la gente ha la possibilità di comprare generi alimentari a Lipa. Ma lì i prezzi sono più o meno il 50% più alti che nei negozi normali.

Questi sgomberi e casi simili si sono già verificati in precedenza, e la gente finisce sempre per scappare da Lipa, nascondendosi dalla polizia, camminando nei boschi per chilometri e chilometri evitando le strade, e tornando agli squat.

Da No Name Kitchen, chiediamo: smettete di torturare le persone con queste politiche europee alle frontiere dell’UE».

Redazione

L'archivio di tutti i contenuti prodotti dalla redazione del Progetto Melting Pot Europa.