Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Peacereporter del 1 agosto 2007

Ruspe sui Rom

Il sindaco di Pavia vuole demolire i tre capannoni idustriali in cui vivono 232 migranti

di Giovanni Giovannetti
L’inferno esiste ed è alla Snia. In viale Montegrappa passa il confine tra l’inciviltà e la barbarie, una linea di demarcazione attraversata ogni tanto da ombre invisibili che portano oltrefrontiera cibo e soccorso. Dicono che tra quelle rovine si nascondano criminali e sfruttatori di donne e bambini: può essere, ma l’illegalità è il comodo alibi che dissimula la paura del “diverso”. In viale Montegrappa, già di primo mattino si sente un puzzo soffocante mescolato al profumo dei tigli e del lentisco. Alle 6 un pulmino si porta via i manovali a giornata; alle 8 partono le «spose bambine».

La Snia, ieri… Alla Snia c’era il “reparto cornuti”, così chiamato perché ci lavoravano operai condannati ad inalare solfuro di carbonio, micidiale per la salute, che provocava l’impotenza, la tubercolosi e il cancro. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta. Pasquale è un ex operaio Snia: “abito al quarto piano: un giorno a metà scala ho avuto un mancamento, capogiri. Vado dal dottore, dico dove lavoro e lui risponde che sono cazzi miei e che devo scappare da lì. Il giorno dopo ho fatto domanda alla Necchi». Stesso destino per Fausto: “Quando i camion scaricavano, tutto il solfuro si spandeva e si sentiva una gran puzza. A noi turnisti da mangiare ce lo portavano in reparto. Tra un cucchiaio e l’altro il solfuro s’apposava sul cucchiaio. Si vedeva la macchia nera sulla minestra. Non c’erano i sindacati, la Snia faceva quello che voleva, diceva: o così o te ne vai».

… e oggi. Venticinque anni dopo la chiusura, tra le macerie dell’ex fabbrica 61 famiglie rumene, in buona parte di etnia Rom (222 persone di cui 84 sono minori) vivono di stenti, a respirare particelle di viscosa e raion, sopra un terreno impregnato da residuati di gasolio, benzene, antracene e altre sostanze altamente tossiche. Sono costretti a mendicare e qualche volta anche a rubare cibo nei negozi del quartiere. Per oltre un anno il Comune li ha abbandonati senza alcun referente istituzionale. Peggio: ha accusato i bambini di fare accattonaggio, mentre ha taciuto su 41 minori (gli stessi) mai inseriti nelle scuole; silenzio anche sulle drammatiche condizioni ambientali e su un decreto del Tribunale – disatteso – che obbligava il Comune a farsi carico di un minore affetto da epatite B cronica e della sua famiglia. È ricomparsa la tubercolosi, si temono epidemie, ma il Comune tace: per il vicesindaco “i Rom non esistono” e l’Asl dice che risultano vaccinati solo una ventina di bambini, un quarto del totale.

Le storie. Iliana ha quarant’anni e 5 figli. Fa le pulizie presso tre famiglie pavesi, ma fino a un mese fa la si incontrava a mendicare alla stazione di milanese Rogoredo, con in braccio il figlio di 14 mesi: “mi vergognavo a chiedere l’elemosina a Pavia. Era l’unico modo per vedere qualche soldo, da 10 a 30 euro al giorno, appena sufficienti a tirare avanti”. Tatiana ha 23 anni, è una Sinti rumena. Tiene in braccio un bimbo di 3 mesi: “chiedo l’elemosina perché non ho un lavoro e non voglio rubare. L’altro ieri sono venuti i carabinieri, volevano che andassi via, io ho detto trovatemi un lavoro e non vengo più qui”. La fame ha spinto 5 ragazzine rumene a prostituirsi. Non c’è scuola per i bambini della Snia, ma solo un corso accelerato di violenza, crudeltà e sopraffazione.