Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
BVMN, novembre 2021
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Respingimenti illegali e violenza alle frontiere. Balcani, novembre 2021

Il rapporto di Border Violence Monitoring Network (traduzione integrale)

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Sommario

A novembre il Border Violence Monitoring Network (BVMN) ha condiviso 34 testimonianze di respingimenti che hanno colpito 1.289 persone in movimento attraverso i Balcani. Questo report riunisce testimonianze di prima mano di una serie di paesi della regione, per esaminare il modo in cui gli Stati dell’Unione europea e altri attori stanno influenzando la violenza sistemica rivolta alle persone che attraversano le frontiere.

Le tendenze identificate questo mese nelle testimonianze di respingimento raccolte includono l’utilizzo della geografia delle regioni di confine, e in particolare dei fiumi, come metodo di deterrenza nei pushback effettuati lungo il confine croato-bosniaco. Attingendo alle testimonianze del mese scorso, così come ai report precedenti risalenti all’aprile dello scorso anno, si analizza l’uso del “punto dei tre fiumi“, un’area lungo il confine in cui il fiume Korana è particolarmente difficile da attraversare, e dove sono state segnalate molte azioni di respingimento. Un’ulteriore sezione tratta del maltrattamento dei migranti all’interno dei veicoli della polizia durante i respingimenti dalla Croazia alla Bosnia.

Il report va avanti analizzando gli aggiornamenti provenienti da tutta la regione. Copre le recenti incursioni della polizia in insediamenti informali e centri di accoglienza ufficiali in 8 diversi comuni serbi, dove le autorità hanno affermato di essere alla ricerca di “migranti irregolari e membri di gruppi criminali organizzati coinvolti nel loro traffico“.

Questo mese in Bosnia ed Erzegovina il nuovo centro di accoglienza per migranti di “Lipaè stato (ri)aperto, e i funzionari sono stati formati con un nuovo programma volto a rafforzare la capacità di effettuare autonomamente le deportazioni di migranti verso i loro paesi di origine.

Il 18 novembre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso un verdetto sul caso della piccola Madina Hussiny, confermando che la Croazia è effettivamente colpevole di respingimenti illegali.

Inoltre nel report sono presenti diversi aggiornamenti chiave dalla Grecia, tra cui le crescenti restrizioni nell’accesso all’asilo e ad altri servizi di supporto attraverso la cessazione del sistema di pre-registrazione Skype, le restrizioni alla mobilità nel nuovo campo di Samos e i problemi in corso con il programma di assistenza economica. Ulteriori sezioni analizzano i casi di violenza contro i migranti nel porto di Patrasso e la crescente repressione dei giornalisti che scrivono di migrazione e brutalità della polizia.

Un’ultima parte copre gli aggiornamenti dall’Italia, comprese le proteste per una nuova collaborazione tra il Politecnico di Torino, l’associazione Srl Ithaca e Frontex (Agenzia europea per la guardia di frontiera e costiera) e una diminuzione degli arrivi a Trieste.

In sintesi, la violenza alle frontiere, che è stata per così tanto tempo un pilastro della politica interna ed esterna dell’UE, continua, e gli Stati lungo la rotta balcanica hanno intensificato le restrizioni alla mobilità e all’accesso ai servizi per le persone in movimento. Casi come quello di Madina Hussiny sono vittorie cruciali in termini di consapevolezza pubblica e giustizia per i sopravvissuti ai respingimenti; tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare per affrontare la violenza alle frontiere e i respingimenti sistemici nelle regioni frontaliere europee.

BVMN è una rete di organizzazioni di controllo attive in Grecia e nei Balcani occidentali, tra cui No Name Kitchen, Rigardu, Are You Syrious, Mobile Info Team, Josoor, [re:]ports Sarajevo, InfoKolpa, Escuela con Alma, Centre for Peace Studies, Mare Liberum, Collective Aid e Fresh Response.

La copertina del rapporto di BVMN

Sommario

Network di segnalazione – Metodologia – Terminologia – Abbreviazioni -Tendenze nella violenza alle frontiere – Respingimenti attraverso il fiume Korana – Abusi nei veicoli della polizia croata
Aggiornamenti sulla situazione
Serbia – Operazione sgombero “Hotspot”
Croazia – La sentenza CEDU sul caso di Madina Hussiny
Bosnia ed Erzegovina – La riapertura del campo di Lipa – La nuova “piattaforma contro la migrazione illegale
Grecia – Limitazioni nell’accesso all’asilo – Violenze in corso nel porto di Patrasso
Samos: nuove restrizioni sulla mobilità nei MPRIC (Multi-Purpose Reception & Identification Centre)
Samos: visita della commissione LIBE/ respingimenti potenziali
Il programma di assistenza economica nel caos
Repressione dei giornalisti che si occupano di migrazioni
Italia – Collaborazione tra Frontex e il Politecnico di Torino – Aggiornamenti da Trieste
Glossario dei report, giugno 2021
Struttura e contatti del Network

Generale

Network di segnalazione
BVMN è un progetto collaborativo tra più organizzazioni e ONG che lavorano lungo la rotta dei Balcani occidentali e in Grecia, documentando le violenze ai confini contro i migranti. I membri delle organizzazioni utilizzano un database comune come piattaforma per raccogliere le testimonianze di respingimenti illegali ottenute attraverso interviste.

Terminologia
Il termine pushback è una componente chiave della situazione che si è venuta a creare lungo i confini dell’UE (Ungheria e Croazia) con la Serbia nel 2016, dopo la chiusura della rotta balcanica. Pushback descrive l’espulsione informale (senza giusto processo) di un individuo o di un gruppo verso un altro paese. È in contrasto con il termine “deportazione”, che è condotta all’interno di un quadro giuridico. I pushback sono diventati una parte importante, anche se non ufficiale, del regime migratorio dei paesi dell’UE e di altri paesi.

Metodologia
Il processo metodologico delle interviste sfrutta lo stretto contatto sociale che i nostri volontari sul campo hanno con rifugiati e migranti per monitorare i respingimenti ai confini. Quando gli individui tornano con lesioni significative o storie di abusi, uno dei volontari addetti alla segnalazione delle violenze si siede con loro per raccogliere una testimonianza. Anche se la raccolta di testimonianze in sé si rivolge di solito ad un gruppo non più grande di 5 persone, i racconti possono riguardare anche gruppi di 50 persone. Le interviste hanno una struttura standardizzata che unisce la raccolta di dati (date, geo-localizzazioni, descrizioni degli agenti di polizia, foto di lesioni / referti medici, ecc.) a testimonianze delle violenze.

Abbreviazioni
BiH – Bosnia ed Erzegovina; HR – Croazia; SRB – Serbia; SLO – Slovenia; ROM – Romania; HUN – Ungheria; ITA – Italia; MNK – Macedonia del nord; ALB – Albania; GRK – Grecia; TUR – Turchia; EU – Unione Europea

Tendenze nella violenza alle frontiere

Respingimenti attraverso il fiume Korana

Questo mese, l’organizzazione partner di BVMN No Name Kitchen (NNK) ha raccolto due testimonianze della fine di ottobre in cui le autorità croate sembrano utilizzare di nuovo quello che in tre testimonianze raccolte da aprile ad agosto di quest’anno è stato chiamato il “punto dei tre fiumi“. Questa posizione di respingimento lungo il confine croato-bosniaco è stata descritta nelle testimonianze come un luogo in cui le persone sono costrette ad attraversare il fiume Korana tre volte per raggiungere l’altro lato.

Dalle immagini satellitari del confine verde tra le due principali città bosniache del cantone Una-Sana: Bihać e Velika Kladuša, sembra che le testimonianze si riferiscano a un’area (45.023368, 15.764446) a circa 6 km a sud-ovest della città bosniaca di Šturlić. Qui il fiume si biforca in corsi d’acqua più piccoli, prima di riunirsi dopo pochi chilometri. Le altre due aree della regione in cui questo fenomeno geografico si verifica sono visibili dalla città di confine di Tržac o da un’area di sosta a Tržačka Raštela, luoghi improbabili per il respingimento.

Dalle descrizioni e dalle coordinate a disposizione sembra che il sito corrisponda anche alle tre precedenti testimonianze di quest’anno. In un resoconto raccolto a maggio, l’intervistato menziona che “il luogo del respingimento è un posto con tre fiumi paralleli. Uno dei fiumi crea una sorta di “piscina” dove l’acqua raggiunge una profondità di circa 1,8 metri.”

Un’immagine satellitare dell’area (45.023368, 15.764446), la posizione è a circa 6 km a sud-ovest della città bosniaca di Šturlić. Sulla destra è visibile la strada bosniaca R403b, che la maggior parte dei gruppi ha anche menzionato di aver raggiunto poco dopo (Tratto da Google Maps).

L’uso del paesaggio fisico stesso come metodo di deterrenza, o “militarizzazione della geografia” durante i respingimenti è stato documentato in tutta la regione, ed è stato trattato nel rapporto mensile di ottobre nel contesto del confine greco/turco. Se il fiume Korana è molto più piccolo dell’Evros, il terreno può comunque creare rischi significativi per i migranti, e anche se può per la maggior parte essere attraversato a piedi, delle persone hanno perso la vita in questo fiume. Con le temperature nei Balcani che scendono sotto lo zero, camminare per chilometri in abiti bagnati aumenta significativamente il rischio di ipotermia e morte.

In entrambe le testimonianze registrate, gli intervistati sono dovuti tornare a piedi ai loro campi di fortuna a Bihać in abiti bagnati, il che ha richiesto a tutti loro più di quattro ore di cammino, se non di più. Durante i respingimenti, gli agenti hanno picchiato gli intervistati su diverse parti della schiena, una volta con manganelli, una volta con spessi bastoni di legno.

Un uomo del gruppo di migranti ha cercato di togliersi le scarpe prima di attraversare il fiume, presumibilmente temendo di dover tornare indietro camminando per ore sul lato bosniaco con le scarpe bagnate. Gli agenti accorgendosi di questo hanno iniziato a picchiarlo con bastoni di legno, costringendolo ad entrare rapidamente in acqua, con le scarpe ai piedi“. (7.2)

Con l’arrivo dell’inverno, è probabile che la situazione diventi solo più difficile per coloro che tentano di attraversare queste zone, e che i respingimenti si facciano sempre più pericolosi.

Abusi nei veicoli della polizia croata

Durante i respingimenti dalla Croazia nella stragrande maggioranza dei casi i gruppi di migranti vengono respinti al confine verde con veicoli della polizia. A seconda del punto in cui i migranti vengono fermati i viaggi possono durare diverse ore. Inoltre il trasporto prevede spesso lunghi periodi di attesa, durante i quali le persone non sono autorizzate a lasciare i veicoli, parcheggiati per ore davanti alle stazioni di polizia. Le condizioni e il trattamento all’interno dei veicoli della polizia costituiscono un altro elemento della brutalità della polizia croata.

I sopravvissuti ai respingimenti hanno ripetutamente riferito di essere stati stipati in furgoni troppo piccoli, dove la maggior parte di loro ha dovuto accovacciarsi sul pavimento. Il condizionatore nella parte posteriore del veicolo è impostato solitamente troppo caldo o troppo freddo, in modo che le persone soffrano il freddo, il caldo e la sete. Inoltre, la guida della polizia croata è regolarmente descritta come spericolata; curve violente, frenate brusche e strade tortuose per indurre i passeggeri a stare male, aria che diventa sempre più rarefatta, tanto che alla fine del viaggio sembra di non poter più respirare.

Sono salito sul primo furgone, e mentre ero dentro ne ho sentiti arrivare altri due. Non riuscivo a respirare. La polizia ci ha spinto tutti dentro. Gridavamo che non c’era più spazio, ma ci picchiavano con i manganelli e continuavano a gridare – dentro, dentro! Entrate! Trenta persone in un furgone che poteva trasportarne da sei a otto. […] Era terribile, non c’erano finestrini, era buio, non avevamo luce, era impossibile respirare. Stavano guidando molto velocemente e in modo spericolato. Lo stavano facendo apposta“. (vedi la testimonianza qui)

Le condizioni violente e disumane nei veicoli della polizia durante i respingimenti costituiscono una forma di tortura. Il report sulla tortura di BVMN del 2020 ha rilevato che in quell’anno “il 41% di tutte le testimonianze di respingimento dalla Croazia indicavano un trattamento disumano all’interno di un veicolo della polizia“. Il rapporto evidenzia che “l’uso di una guida spericolata aumenta innegabilmente anche il rischio di una collisione mortale”.

Normalmente è difficile documentare questi abusi, poiché la polizia è attenta a confiscare i telefoni e qualsiasi altra cosa possa essere usata per documentare i respingimenti. Anche le immagini che riceviamo sono per lo più limitate a scene all’aperto. Questo mese, tuttavia, un padre afghano è stato in grado di tenere il suo telefono e lo ha usato per registrare un breve video dall’interno dell’auto della polizia mentre veniva portato al confine verde (7.6). Le immagini sono traballanti, ma si possono chiaramente distinguere bambini molto piccoli, donne (tra cui una donna incinta di molti mesi) seduti insieme in un’area molto piccola del furgone della polizia. 17 persone sono state stipate in un solo veicolo. Inoltre, NNK ha pubblicato un video più lungo in cui la persona interessata riflette sull’esperienza di respingimento.

Aggiornamenti sulla situazione

Serbia

Operazione sgombero “Hotspot”

Il 10 novembre, alle 6 del mattino, è stata attivata un’operazione di polizia su larga scala, chiamata ironicamente “Hotspot“. Come afferma il quotidiano serbo Telegraf, le forze di polizia in 8 diversi comuni, tra cui Subotica, Sombor e Kikinda nel nord della Serbia, hanno fatto irruzione in insediamenti informali e centri di accoglienza ufficiali, alla ricerca di “migranti irregolari e membri di gruppi criminali organizzati coinvolti nel loro traffico.”

Questa operazione segue una serie di sgomberi avvenuti nel Nord nell’ultimo mese. Di conseguenza, le nostre squadre sul campo hanno assistito a un drammatico calo dei numeri nell’area intorno al Sombor One Stop Centre (vedi rapporto mensile di ottobre).

Come è noto, tali azioni molto raramente portano alla condanna dei trafficanti. A volte arrivano in tribunale figure minori di “faccendieri“, come i tassisti, ma chi sta in cima alla piramide del traffico molto raramente è colpito da tali operazioni. Negli sgomberi e nella narrazione della battaglia senza fine contro le reti di traffico, le vittime sono sempre i migranti. I membri dei gruppi in transito portati con la forza al confine macedone o croato subiscono effetti psicologici negativi a lungo termine a causa degli sgomberi forzati, e si trovano in una situazione economica ancora più precaria e disastrosa per il costo del viaggio di ritorno nella regione settentrionale.

Croazia

La sentenza CEDU sul caso di Madina Hussiny

Il 18 novembre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha confermato che la Croazia respinge illegalmente i migranti. La Corte si è pronunciata sul caso della piccola Madina Hussiny, una bambina afgana di sei anni che è stata uccisa durante un respingimento dalla Croazia alla Serbia. È stata investita da un treno dopo che il 21 novembre 2017 gli agenti di polizia croati avevano ordinato a lei e alla sua famiglia di tornare in territorio serbo camminando lungo i binari.

La Corte ha constatato in particolare che l’indagine sulla morte era stata inefficace, che la detenzione dei minori ricorrenti era stata subordinata a maltrattamenti e che le decisioni relative alla detenzione dei ricorrenti non erano state trattate con diligenza. Ha inoltre ritenuto che alcuni dei ricorrenti avessero subito un’espulsione collettiva dalla Croazia, e che lo Stato avesse ostacolato l’effettivo esercizio del diritto di domanda di asilo individuale, limitando, tra l’altro, l’accesso al loro avvocato.

Due organizzazioni, Center for Peace and Studies e Are You Syrious, che fanno parte di BVMN e che hanno preso parte al caso, hanno dichiarato che “la Corte europea dei diritti dell’uomo è l’ultima risorsa quando si tratta di protezione dei diritti umani. La famiglia Hussiny ha chiesto giustizia in Croazia, ma non l’ha ricevuta dalle istituzioni croate. La denuncia penale è stata respinta perché l’Ufficio del Procuratore ha fatto pieno affidamento sulle conclusioni del Ministero dell’Interno invece di esaminare le prove e rispettare le testimonianze delle vittime e dei testimoni. Allo stesso tempo, le registrazioni delle telecamere termiche, prova chiave a disposizione della polizia, sono misteriosamente scomparse“.

Rappresentanti di CPT e AYS ad una conferenza stampa a seguito del verdetto (Fonte: CPT)

“Questo verdetto non deve essere limitato al pagamento da parte della Croazia di 40.000 euro di danni morali alla famiglia di Madina. Per tutte le vittime dei nostri confini, per le persone che sono morte lì, così come per tutti gli attivisti che sono stati intimiditi per tacere, è tempo di consegnare alla giustizia coloro che consentono e coprono questa violenza, e la responsabilità deve essere ricercata ai vertici del Ministero dell’Interno”. (Tajana Tadić, AYS)

Bosnia ed Erzegovina

La riapertura del campo di Lipa

Il 19 novembre il nuovo centro di accoglienza per migranti di “Lipa” è stato (ri)aperto in Bosnia ed Erzegovina. Ora può ospitare fino a 1.500 persone e comprende una sezione per minori non accompagnati e famiglie. Il nuovo campo di Lipa nella regione nord-occidentale di Krajina nel cantone di Una-Sana sostituisce il campo che è stato distrutto in un incendio lo scorso dicembre, lasciando centinaia di persone al freddo gelido per giorni, senza strutture, cibo e riscaldamento.

Ma anche ora il campo è costituito solo da strutture simili a container e si trova in una zona molto remota. Il nuovo centro di accoglienza ora fornisce riparo, cibo, acqua, servizi igienico-sanitari e cure mediche che finalmente “dovrebbero soddisfare gli standard internazionali“. Il progetto è stato finanziato dall’UE con l’aiuto di singoli governi europei. La Bosnia ed Erzegovina è stata elogiata a livello internazionale per la riapertura del campo. Johann Sattler, il rappresentante dell’UE in Bosnia, ha dichiarato alla cerimonia di apertura:

“Esattamente undici mesi fa eravamo qui, nello stesso posto ma in circostanze completamente diverse, nel bel mezzo di una crisi umanitaria. Oggi siamo qui in questo nuovo centro di accoglienza polifunzionale”.

Il campo è ora gestito dall’Agenzia bosniaca per gli affari stranieri con l’aiuto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, delle agenzie delle Nazioni Unite e di organizzazioni non governative più piccole.

È chiaro, tuttavia, che la (ri)apertura del campo di Lipa non basta per affrontare i più ampi problemi sistemici e le forme di violenza vissute dai migranti nel cantone di Una-Sana. Contemporaneamente all’apertura del campo, ci sono state segnalazioni di ulteriori sgomberi, in cui migranti sono stati violentemente sfrattati dalle loro abitazioni non ufficiali e trasferiti nel nuovo campo.

Una veduta aerea del campo di Lipa, nel Cantone di Una-sana, nel Nord-Ovest della Bosnia ed Erzegovina (Fonte: Altreconomia)

La nuova “piattaforma contro la migrazione illegale”

A novembre i funzionari della Bosnia ed Erzegovina hanno ricevuto una formazione supplementare nell’ambito della nuova “piattaforma contro l’immigrazione illegale“. Come parte di questa formazione, due esperti della Bosnia ed Erzegovina hanno partecipato come osservatori a un volo charter organizzato da Frontex che ha riportato alcuni migranti in Nigeria. L’obiettivo principale di questo programma è quello di istruire le autorità bosniache ad effettuare in modo indipendente il rimpatrio delle persone in movimento dai Balcani occidentali ai loro paesi di origine.

Uno dei paesi europei in prima linea nel sostenere questo progetto è l’Austria, che sta finanziando l’iniziativa con 300.000 euro. In un incontro tra l’ex ministro dell’interno, ora cancelliere, Karl Nehammer e il commissario europeo Oliver Varhelye, la Commissione ha confermato che avrebbe fornito finanziamenti per voli charter per rimpatriare le persone in Pakistan.

Questi eventi, intesi all’interno del più ampio panorama dell’esternalizzazione delle frontiere dell’UE, esemplificano come gli Stati dei Balcani occidentali siano incaricati non solo di limitare i movimenti, ma anche di rimpatriare attivamente i migranti. Il coinvolgimento di Frontex in questo caso è particolarmente indicativo di questa tendenza, e riguarda le segnalazioni del coinvolgimento dell’Agenzia nei respingimenti, così come la sua crescente presenza in alcune parti dell’Africa settentrionale e occidentale.

Grecia

Limitazioni nell’accesso all’asilo

A novembre, la Grecia ha annunciato che il sistema di pre-registrazione Skype per i richiedenti asilo in Grecia sarebbe stato interrotto e che tutti coloro che cercano di richiedere asilo avrebbero dovuto registrarsi nei centri di accoglienza statali. Negli ultimi sette anni le persone in cerca di asilo sulla terraferma greca, a Rodi e a Creta hanno dovuto registrarsi attraverso un sistema Skype online, con immensi ritardi fino a 14 mesi, come evidenziato nel rapporto Lives on Hold di Mobile info team (MIT) membro di BVMN. Corinne Linnecar, Advocacy Officer per MIT e punto di riferimento di BVMN, ha dichiarato sulla questione: “la procedura Skype così com’era era disumana, costringeva le persone a rimanere prive di documenti e indigenti per molti mesi e spesso anni. Inoltre, i ritardi nella registrazione per l’asilo non erano dovuti a persone che cercavano di eludere il sistema, ma piuttosto erano una conseguenza di un sistema inefficiente“. Tuttavia, ha sottolineato che “questo cambiamento procedurale causerà solo maggiori ritardi“.

Il nuovo sistema, con effetto immediato, costringerà tutte le persone che entrano in Grecia attraverso la frontiera terrestre a recarsi in due strutture (non ancora rese note, ma già esistenti, una nella Grecia settentrionale e una nella Grecia meridionale) a registrare la loro domanda di asilo mentre vengano detenute. L’unico centro di accoglienza e identificazione attualmente attivo nella Grecia continentale è un sito chiuso nella regione di Evros che prevede un periodo di detenzione obbligatorio di 25 giorni. Il centro ha una capacità di sole 282 persone, ma solo quest’anno l’UNHCR ha registrato l’ingresso di 4.311 persone attraverso questo confine. L’espansione di questa struttura ha anche sollevato lamentele dei residenti locali.

Questa pratica costituisce la detenzione di fatto e l’incarcerazione di massa di persone richiedenti asilo. Vasilis Papastergiou del Consiglio greco per i rifugiati descrive il tutto come “un altro strumento per impedire alle persone di cercare sicurezza in Europa“. Sottolinea che: “Anche le mani dell’Europa non sono pulite in quanto l’UE finanzia i nuovi centri di quasi-detenzione ‘chiusi e controllati’, luoghi in cui i migranti sono lasciati per essere dimenticati“. Fino a quando questi nuovi centri di accoglienza non saranno operativi, i rifugiati che non sono stati in grado di avanzare domanda di protezione internazionale tramite Skype non avranno modo di chiedere asilo.

Violenze in corso nel porto di Patrasso

Oltre ad essere il luogo di molti respingimenti marittimi tra Italia e Grecia, nell’ultimo anno Patrasso è stata un sito di violenza acuta dello stato e della polizia contro le persone in movimento. Ciò riguarda particolarmente il porto, in cui molte persone occupano edifici industriali in disuso nella speranza di potersi nascondere nelle navi da carico in partenza per l’Italia. A novembre, No Name Kitchen ha riferito di quattro episodi di violenza avvenuti a Patrasso. In tutti i casi le vittime erano uomini afghani di età inferiore ai 30 anni, e gli autori erano agenti di sicurezza del nuovo porto di Patrasso o della polizia nazionale greca.

Tre dei casi si sono verificati all’interno del porto, mentre gli intervistati stavano cercando di intrufolarsi nei camion, tentando il cosiddetto “gioco” di attraversare il confine. Il quarto caso riguarda un arresto arbitrario davanti alla fabbrica occupata dove vivono alcuni gruppi di migranti. L’interessato è stato portato in una stazione di polizia, dove è stato aggredito dagli agenti.

Tre dei quattro casi di abusi hanno riguardato l’esercizio di violenza fisica da parte delle autorità. In un caso particolarmente grave, la polizia ha strappato l’orecchio della vittima picchiandolo con le manette. L’orecchio, in seguito, ha avuto bisogno di punti di sutura. In un caso in cui non c’è stata violenza fisica, la polizia ha rubato 100 euro alla vittima dopo averlo trattenuto alla stazione di polizia per un giorno intero, sostenendo che questo era il prezzo da pagare per il soggiorno.

Ciò che tutti questi casi hanno in comune è la distruzione o il furto dei telefoni cellulari delle vittime. È fondamentale evidenziare il simbolismo e l’importanza di questo elemento, in quanto il telefono è lo strumento fondamentale delle persone che cercano di attraversare il confine per raggiungere l’Italia in traghetto. Spesso, i migranti viaggiano solo con una bottiglia d’acqua e il telefono quando provano il “gioco“. Una volta raggiunta la terraferma in Italia, il telefono è essenziale per comunicare con i parenti, muoversi utilizzando il GPS e utilizzare le app di traduzione per essere in grado di capire la gente del posto.

Samos: nuove restrizioni sulla mobilità nei MPRIC (Multi-Purpose Reception & Identification Centre)

Il 16 novembre, il Ministero della Migrazione e dell’Asilo ha ordinato alla direzione del campo di Samos di non permettere alle persone che hanno ricevuto un responso negativo in merito alla loro richiesta di asilo e a coloro che sono appena arrivati sull’isola e sono in attesa di ricevere la carta ufficiale di richiedente asilo di lasciare il centro di accoglienza. Come reazione a queste restrizioni al movimento, c’è stata una protesta pacifica all’interno del campo, per esprimere l’opposizione alla luce di queste nuove misure imposte. Lo stesso giorno, il Movimento per i diritti umani di Samos ha chiesto l’immediata cancellazione della decisione del ministero al fine di “garantire la libertà e la dignità di tutti i residenti di Samos”.

Dopo due settimane di detenzione, 12 organizzazioni e gruppi della società civile di Samos hanno inviato una lettera alle autorità greche ed europee chiedendo chiarezza in merito alla decisione sulle nuove restrizioni. Hanno chiesto una revoca immediata delle suddette restrizioni e un annuncio pubblico da parte del Ministero “per fornire il background legale per la recente decisione di detenzione“, e hanno chiarito che “esiste la consapevolezza collettiva che le persone sono state e continuano ad essere detenute senza alcun motivo legittimo o legalmente valido“.

Amnesty International ha rilasciato una dichiarazione sulla detenzione nel nuovo campo finanziato dall’UE. I timori iniziali sulla struttura simil-carceraria di Zervou sembrano essere diventati realtà a Samos, o nelle parole di Adriana Tidona:

“Questo campo assomiglia più a una prigione che a un luogo dove ospitare persone in cerca di sicurezza. Questo è un grave uso improprio del denaro dell’UE e un grave abuso dei diritti dei residenti”.

Cancello anteriore del nuovo Centro chiuso ad accesso controllato a Samos

Samos: visita della commissione LIBE/ respingimenti potenziali

Questo mese i deputati della commissione LIBE dell’Unione europea hanno visitato Samos per parlare alla comunità, alle ONG e alle autorità per comprendere l’attuale situazione sull’isola. Parallelamente, raccomandando un reindirizzamento dei fondi UE verso progetti di integrazione e strumenti di protezione per segnalare le violazioni dei diritti umani, le ONG hanno sollecitato l’istituzione di un meccanismo indipendente di monitoraggio delle frontiere per indagare sui respingimenti e rendere coloro che violano il diritto internazionale responsabili delle loro azioni.

Mentre era a Samos, la sera del 2 novembre, l’eurodeputata Cornelia Ernst ha assistito a un potenziale respingimento. Secondo un intervistato il gruppo in transito probabilmente comprendeva 24 uomini, donne e bambini. Nonostante questo, secondo il Ministero ci sono stati solo 5 arrivi registrati il 3 novembre e altri 5 il 4. Non c’è stato alcun aggiornamento ufficiale sul luogo in cui si trovano le 19 persone scomparse.

Tuttavia, Aegean Boat Report ha riferito che 25 persone sono state respinte il 3 novembre, mentre la guardia costiera turca ha pubblicato notizia del salvataggio di 29 persone il 4 novembre al largo della costa di Kusadasi. Entrambi i rapporti fanno credere che il resto dei migranti sia stato respinto in Turchia.

Nonostante un deputato europeo sia stato pubblicamente esplicito sugli eventi del 2 novembre, il presidente della commissione, Lopez Aguilar, ha dichiarato in una conferenza stampa congiunta con il ministro Mitarachis due giorni dopo l’incidente che la commissione LIBE non ha assistito ad alcun respingimento illegale mentre era a Samos.

Ancora una volta i funzionari europei continuano a minimizzare la pratica dei respingimenti alle frontiere esterne europee.

Il programma di assistenza economica nel caos

Dopo aver ricevuto l’ultimo contributo economico da parte dell’UNHCR all’inizio di settembre, che copriva agosto e settembre, i richiedenti asilo si trovano ora senza sostegno finanziario da oltre tre mesi, visto che il Ministero della Migrazione e dell’Asilo non è riuscito a effettuare una transizione graduale di questo vitale programma. Il Ministero aveva assicurato che tutti i richiedenti asilo aventi diritto avrebbero ricevuto il primo pagamento dopo la transizione alla fine di ottobre, ma il 1 ° novembre ha poi pubblicato un invito per le ONG per la presentazione di proposte riguardanti l'”Aiuto finanziario ai richiedenti protezione internazionale“.

Dopo questo invito aperto alle ONG che fanno parte del registro nazionale delle ONG, le autorità hanno comunicato alla fine dello stesso mese che i Catholic Relief Services saranno responsabili del programma di assistenza in denaro, assegnando loro 12.000.000 di euro per l’operazione. Anche se il CRS è un ex partner esecutivo dell’UNHCR per l’alloggio e l’assistenza in denaro, le persone non sono sicure di ricevere nuovamente aiuti finanziari e di essere risarcite per i mesi mancanti.

Repressione dei giornalisti che si occupano di migrazioni

La libertà di stampa (in particolare per quanto riguarda la migrazione e le critiche alla polizia) è stata minacciata di nuovo questo mese, con diversi casi di repressione contro i giornalisti.

Il 9 novembre 2021 la giornalista olandese Ingeborg Beugel ha chiesto al primo ministro greco di Nuova Democrazia, Kyriakos Mitsotakis, dei respingimenti nel Mar Egeo durante una conferenza stampa. Nel successivo acceso scambio avvenuto tra i due, Mitsotakis ha gridato contro Beugel, negando qualsiasi cattiva condotta dello stato greco e suggerendo che con le sue domande la giornalista gli stava mancando di rispetto. Il video della conferenza stampa è diventato virale, incentivando la discussione sui respingimenti a livello nazionale. Tuttavia, Ingeborg Beugel ha affrontato gravi minacce online e attacchi fisici ad Atene nei giorni successivi alla conferenza stampa e alla fine ha dovuto lasciare il paese.

Solo pochi giorni dopo, è stato rivelato che Stavros Malichudis, un giornalista di Solomon Magazine, era stato sorvegliato dal National Greek Intelligence Service in relazione a un articolo che aveva scritto su un rifugiato di 12 anni che viveva a Kos e le cui opere d’arte erano apparse sul quotidiano francese Le Monde. Pavol Szalai, che dirige la sezione Unione Europea e Balcani di Reporter Senza Frontiere, riflette: “La libertà di stampa in Grecia ha preso una piega pericolosa nelle ultime settimane e soprattutto i giornalisti che lavorano sulla migrazione, che è una questione di interesse pubblico nazionale ed europeo, vengano sempre più minacciati“.

Questi incidenti rientrano in un panorama più ampio di crescenti abusi di potere e attacchi contro la stampa sia da parte dello stato che della polizia, che causano una sensazione di “asfissia nel discorso pubblico. I giornalisti sono stati anche ripetutamente attaccati dagli agenti di polizia durante le proteste. Nell’ultimo anno c’è stato un allarmante aumento degli incidenti violenti tra le segnalazioni di attacchi da parte degli agenti di polizia contro manifestanti e passanti. Le indagini interne della polizia su tali incidenti hanno raramente portato a punizioni degli agenti o messo fine a tali attacchi. Un giornalista che indagava su un caso di corruzione della polizia è stato assassinato in circostanze oscure durante l’estate. Secondo un rapporto del Reuters Institute dell’Università di Oxford, la Grecia è uno dei pochi paesi europei in cui le persone si fidano dei social media (70%) molto più che dei media tradizionali.

Inoltre alcuni cambiamenti strutturali dell’ultimo mese fanno sembrare il futuro molto cupo. Una nuova legge adottata l’11 novembre rende la condivisione di notizie false un reato penale, e afferma che qualsiasi cittadino che condivide informazioni false che sono “in grado di causare preoccupazione o paura nel pubblico o minare la fiducia dell’opinione pubblica nell’economia nazionale, nella capacità di difesa del paese o nella salute pubblica”, potrebbe andare incontro a multe o ad una pena detentiva fino a tre mesi. In effetti, i giornalisti ora rischiano il carcere se parlano di importanti questioni di interesse pubblico e il governo afferma che ciò che dicono è falso. Sull’argomento, la ricercatrice greca di HRW, Eva Cossé, afferma:

“Il governo greco accusa i suoi critici di pregiudizio, critica politicamente motivata, propaganda turca o errore fattuale, ma la verità è più semplice: lo stato di diritto e i diritti umani in Grecia stanno fallendo”.

Italia

Collaborazione tra Frontex e il Politecnico di Torino

Lo scorso luglio il Politecnico di Torino, in collaborazione con l’associazione Srl Ithaca, si è aggiudicato una gara da 4 milioni di euro per la produzione di mappe infografiche necessarie a supportare le attività di Frontex. Il bando di gara pubblicato da Frontex ad ottobre 2020 afferma che la produzione di servizi cartografici è necessaria per sistematizzare i diversi tipi di informazioni utili allo svolgimento delle attività dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.

Il 16 novembre gli attivisti e le ONG hanno preso posizione inviando una lettera al Rettore, al ViceRettore e a tutti i membri del Dipartimento del Politecnico di Torino. Frontex è stata ripetutamente accusata da ONG, attivisti e agenzie internazionali di essere direttamente coinvolta nei violenti respingimenti di migranti ai confini europei.

Iniziativa davanti al Politecnico di Torino

Aggiornamenti da Trieste

Nell’ultimo mese gli attivisti che lavorano in Piazza della Libertà a Trieste hanno notato una diminuzione del numero di persone in arrivo. Questa diminuzione è probabilmente dovuta al peggioramento delle condizioni climatiche e ambientali, ma anche all’intensificazione dei controlli di polizia nelle zone di frontiera.

A novembre sono stati registrati 197 arrivi in Piazza della Libertà, di cui 28 minori e 3 famiglie; tuttavia, il numero complessivo di arrivi a Trieste è potenzialmente molto più alto. Sono molte le persone che non passano per la piazza ma si dirigono direttamente verso altre città, in quanto Trieste non è più considerata un luogo sicuro dove soggiornare. L’aumento dei controlli ha anche causato l’arresto nella zona di confine di un gran numero di persone trasferite poi nei campi di quarantena in Friuli-Venezia Giulia (che ora sono pieni). Il campo di quarantena di Trieste ospitava 220 persone solo a novembre. Più di un centinaio di persone sono state arrestate nella zona di Aquilinia solo nelle ultime due settimane di novembre.

Secondo le testimonianze raccolte dai volontari in piazza della Libertà, non sono stati segnalati episodi di respingimenti da parte della polizia italiana durante il mese di novembre, nonostante l’intenzione iniziale dichiarata dal Prefetto di Trieste, subito dopo il suo insediamento, di riprendere questa pratica illegale. A seguito di tali dichiarazioni, nella conferenza stampa al termine di una visita a Trieste il 30 novembre, i parlamentari Riccardo Magi e Matteo Orfini, hanno annunciato che “questo tipo di pratica non sarà più applicata ai richiedenti asilo“, come sottolineato anche dal governo italiano in una delle sue ultime dichiarazioni sul tema.

Sebbene le riammissioni dall’Italia siano formalmente bloccate, il ruolo e il modus operandi delle pattuglie miste lungo il confine rimane poco chiaro. Attualmente operano otto pattuglie miste al mese, sei in Slovenia e due in Italia. Sono necessari ulteriori chiarimenti sul ruolo di queste pattuglie, in modo che non vengano utilizzate come uno strumenti per riprendere la pratica dei respingimenti.

Nell’ultimo mese, due diverse indagini che cercavano di criminalizzare la solidarietà nel Nord Est d’Italia sono state chiuse senza conseguenze, con l’archiviazione dei casi che coinvolgono Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi di Linea d’Ombra a Trieste e Pordenone Solidal Network nell’omonima città. Un inviato speciale dell’Ufficio del difensore dei diritti umani delle Nazioni Unite, tenuto dall’alto commissario Mary Lawlor, era in visita a Trieste per ottenere informazioni sulla criminalizzazione della solidarietà nella regione.

Lorena e Gianandrea in Bosnia Erzegovina

Glossario dei report. Novembre 2021

A novembre BVMN ha registrato 34 casi di pushback, che hanno coinvolto 1.289 migranti. Le persone coinvolte sono uomini, donne, bambini con tutori o minori non accompagnati, e provengono da Afghanistan, Iran, Siria, Sudan, Marocco, Iraq, Algeria, Pakistan e Turchia.

  • 6 respingimenti in Serbia (3 dalla Romania, 1 dalla Slovenia, 1 dall’Ungheria e 1 dalla Croazia)
  • 12 Respingimenti in Bosnia ed Erzegovina (1 dall’Italia, 1 dalla Slovenia e 11 dalla Croazia)
  • 14 Respingimenti verso la Turchia (7 dalla Grecia, 4 dalla Bulgaria, 3 dalla Bulgaria alla Turchia via Grecia)
  • 2 Respingimenti verso la Grecia (1 dalla Macedonia del Nord, 1 dall’Albania)

Border Violence Monitoring Network (BVMN)

Border Violence Monitoring Network (BVMN) è una rete indipendente di ONG e associazioni con sede nella regione dei Balcani e in Grecia. BVMN monitora le violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell'UE e si impegna per mettere fine ai respingimenti e alle pratiche illegali. Il network utilizza un database condiviso per raccogliere le testimonianze delle violenze subite da chi transita sulla rotta dei Balcani.
In questa pagina trovate le traduzioni integrali dei rapporti mensili curati da BVMN.