Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Vattelapesca. Dialoghi ittici

2 ottobre, settimo giorno

Start

Lampedusa. 35°31’ N – 12°35’ E

Lampedusa, concepita per essere una colonia agricola, è stata ben presto caratterizzata da una lunga storia di pesca. Negli ultimi decenni, il turismo di massa diviene la principale fonte di reddito, trasformando i modi di vita dell’isola: le distanze fra i due mondi sono porose e molti capitali accumulati in mare si riconvertono a terra. Sopra Tanimar, il rombo degli aerei di ogni tipo e di ogni provenienza è continuo.

Ecco alcune voci raccolte sui moli e nei bar del porto, riorganizzate in una conversazione immaginata attorno ad alcuni temi: il futuro della pesca, l’immagine dei tunisini, i salvataggi in mare. Il discorso risente del differente posizionamento sociale in quello che è una realtà stratificata in termini di classe sociale e scala: dagli armatori ai capitani, dai grossisti ai proletari del mare, dall’artigianato all’industria.

Sul futuro della pesca

Z.: La pesca? che si può fare per migliorare? Nulla, è morta. Mezza Lampedusa sta aspettando la rottamazione delle barche. Pesce? Non ce n’è più. Vengono tutti a pescare qui, anche i mazaresi. Il gasolio costa troppo, non c’è più tempo buono. Prima potevi uscire per 30, 40 giorni consecutivi. La mia barca è ferma in porto da anni, al corpo morto. Se la vendo ci faccio 12mila euro, se la rottamo con lo stato almeno 60 mila. Poi mi vendo pure la licenza di pesca. Adesso me ne vado in pensione, prenderò 800 euro, poi ai 60 anni magari 1.200. Il pesce è morto, non si può fare niente per migliorare. Persino i mazaresi hanno ridotto le barche. Qui i grossisti la fanno da padroni, sono loro che fissano i prezzi. D’estate ancora ancora, vendiamo ai ristoranti, ma d’inverno? Che facciamo? Lo buttiamo il pesce che tiriamo su? Sono dei ladri, cambiano persino i pesi sulle bilance. Alla fine, guadagnano loro. Hanno provato diverse volte a fare la cooperativa; ma si sono rubati tutto pure quelli, non ha funzionato. La calamità? L’ultima 5 anni fa’. Mi hanno dato 26 mila euro, mi sono fatto due manutenzioni alla barca. Io ho la licenza di pesca entro le 12, ma vado spesso oltre, cernie e tonni pesco a duecento metri di profondità.

H.: Mio padre ha lasciato un peschereccio, tanti fratelli e tutti pescatori. Ma dei miei figli nessuno ha voluto continuare con la pesca… ci hanno provato, ma è un lavoro duro… e poi qua stava prendendo piede il turismo e piano piano la pesca stava scomparendo. I miei figli hanno voluto studiare e tutti e due sono andati via da Lampedusa… oggi noi stessi viviamo più di turismo che di pesca, affittiamo gli appartamenti di famiglia. Ma la pesca rimane la mia grande passione… e poi comunque devo tirare a campare fino alla pensione… La pesca in ogni caso non ha futuro, i prezzi del carburante non permettono più a nessuno di lavorare…

Y.: La mia famiglia continua ancora con la pesca. Molti pescatori hanno scoraggiato i propri figli a intraprendere questo mestiere usurante … ma per noi è stato diverso, ho trasmesso ai miei figli la mia grande passione. Purtroppo, è chiaro che tanti fattori incidono negativamente, per esempio ho sempre detto di fare un mercato ittico a Lampedusa e mai è arrivato… Abbiamo tanti pesci ma il guadagno è minimo, per non parlare del caro gasolio di oggi che ci sta ammazzando tutti. Degli 80 pescherecci che ci sono a Lampedusa, oggi 40 sono fermi…

K.: Qua prima si viveva di pesca, oggi si vive di turismo. Gli armatori non erano ricchi ma guadagnavano quel poco per avere la fiducia delle banche. Così, hanno costruito degli appartamenti e si sono buttati tutti sul turismo… Gli unici che hanno mantenuto una grande flotta sono i mazaresi… ma in ogni caso il mondo della pesca sta morendo…

R.: Tutte le tecnologie per individuare il pesce hanno distrutto la pesca e il mare. E’ una mattanza continua e il mare non si rigenera.

Sulle rappresentazioni dei tunisini

Y.: Dai racconti dei miei, c’era pace e rispetto fra le parti. La Tunisia era la nostra Sicilia di allora. C’era una stretta collaborazione con Sfax e Sousse, molti andavano a vivere lì, perché c’erano banchi di pesca molto ricchi.

H.: Quando si faceva la pesca alle spugne, noi e i tunisini pescavamo insieme. Abbiamo tutti parenti che sono nati in Tunisia. Poi c’è stata l’indipendenza, e ci hanno costretto a scegliere se essere tunisini o italiani. La maggior parte è tornata. Io al Mammellone a pescare non ci vado più da decenni, una volta ci hanno inseguito per spararci. Si piazzavano sulle secche a vivere, non facevano avanti e indietro come noi e le occupavano con le reti. Dal pesce azzurro siamo dovuti passare allo strascico, chiaramente senza licenza e ci hanno regolarizzato solo dopo più di venti anni.

Z.: I tunisini ci rubano il pesce, e noi rubiamo il pesce a loro.

J.: I tunisini sono una brutta razza… vengono a pescare da noi e noi non possiamo pescare da loro. A differenza dei neri, chi arriva qui non scappa da nessuna guerra.

K.: Io la Tunisia la conosco bene, è un popolo che non mi piace. Mi hanno sparato e messo in galera quando ero giovane… mi hanno lasciato 300 buchi sulla barca. Noi andavamo a “rubare il pesce”, però quando sconfinano loro nessuno gli dice nulla.

R.: I tunisini hanno barche più grandi e attrezzate delle nostre. Anche loro spolpano il mare, come i mazaresi. È come una pentola. Ci dovremmo vivere tutti, ma a forza di prendere e sfruttare il mare…

Sui salvataggi in mare

Z.: Meno male che c’è Salvini che ci toglie tutti questi clandestini. Vediamo questo nuovo governo. Quando c’era lui, non arrivavano più. In realtà qui li vogliamo i clandestini. Ti spiego… Noi pigliamo il pesce; loro, i finanzieri, lo stato, pigliano i clandestini. Se gli togliamo i clandestini, poi loro si occupano troppo di noi. Invece così viviamo senza legge, perché loro ci lasciano in pace e si occupano dei clandestini. È il loro lavoro. Io se mi sono trovato a dover soccorrere? Milioni, milioni di volte. E che devi fare? Io soccorro anche se mi mettono in galera. Almeno sono a posto con la coscienza, non mi interessa della galera. E poi io sto in mare. Chi mi salva a me, se io non salvo gli altri?

K.: Da quando c’è il turismo, c’è bisogno di maggior controllo. Ma che poverini? C’è un disegno dietro, questo è un traffico di carne umana. Sinché c’era Gheddafi, lui sì riusciva a tenere il Paese sotto controllo. Ora la risorsa principale sono diventati i clandestini. A Pantelleria non ci vanno, perché c’è il turismo con le ville dei ricchi.

H.: Il decreto sicurezza è stato fatto sulle spalle dei pescatori. Non facevano uscire la guardia costiera oltre le 12 miglia. Allora se vado a pescare al largo, devo decidere io se farli vivere o morire? Lo stato perlomeno deve prendersi le sue responsabilità. Nonostante a terra i pescatori ti dicono di tutto, poi a mare non possono non salvare. Se non li salvi, poi come vivi, come fai a guardare i tuoi figli? Per noi che peschiamo a strascico il vero problema della migrazione sono i relitti lasciati in mare…

J.: Bisogna difendersi. Qui siamo in guerra contro i clandestini. Però che fai se li trovi in mare? A me, come a tutti, è capitato. Ho chiamato i miei amici che mi han detto di lasciar stare. Alla fine, ho deciso di trainarli, e se fosse affondata la barca me li sarei presi a bordo. Non si lasciano le persone a mare. Quando siamo arrivati in porto, mi hanno abbracciato come un salvatore… guarda ho la pelle d’oca.

R.: Un tempo erano i pescatori di là che portavano la gente qui di nascosto. In mare ci sapevano andare, e le loro barche le volevano riportare a casa. C’era più sicurezza.

L'equipaggio della Tanimar

Siamo un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle università di Genova e Parma. Per due settimane, dal 26 settembre all’11 ottobre, attraverseremo il Mediterraneo centrale facendo tappa nei principali snodi della mobilità migrante e del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta.